STORIA DELL'ELETTRONICA II
Superati gli anni ’90, ad esplodere nel nuovo millennio attraverso una nuova, folgorante carica energica è stato il revival electroclash/electrohouse/dance-punk, diffusosi principalmente in Gran Bretagna e Francia e tuttora attivissimo a livello tanto underground quanto mainstream. Un atto d’amore per le sonorità di fine anni ‘90 che, dopo la grande stagione di Cassius e Daft Punk da una parte, Prodigy e Fatboy Slim dall’altra, si è affermato con una forza sconvolgente, tanto da tirare fuori dal sottosuolo europeo e americano una quantità impressionante di giovanissimi talenti tutti synth roboanti e chitarroni distorti. I Does It Offend You, Yeah? sono uno dei gruppi di punta di questo grande revival sintetico, grazie alla pubblicazione del trascinante gioiellino electro-punk You Have no Idea What You’re Getting Yourself Into, una vera esplosione di big beat, electrohouse e indie-punk divertente e ballabile. Sulla stessa scia – seppur sotto differenti fattezze – si collocano gli operati di moltissimi altri progetti che, in brevissimo tempo, hanno infiammato strade e discoteche di mezza Europa: il dance-punk dei londinesi Klaxons (Myths of the Near Future, 2007) il rombante electroclash dei tedeschi Digitalism (Idealism, 2007), il più violento newrave/grime degli inglesi Hadouken! (Music for an Accellerated Culture, 2008), il delirante synthpop dei Late Of The Pier (Fantasy Black Channel, 2008) l’house travolgente e daftpunkiana dei francesi Justice (Cross, 2007) e quella più technoide del teutonico Boys Noize (Oi Oi Oi, 2007) sono solo gli esempi più lampanti di questo shockante revival che ha completamente invaso le discoteche meno convenzionali e l’underground di mezza Europa, risultando al contempo come uno degli scenari più attivi e di moda degli ultimi anni.
Anche la folktronica – denominazione con cui si intende per l’appunto una simbiosi tra strumentazione reale folk e apparecchiature elettroniche – ha trovato negli anni 2000 l’ambiente e l’atmosfera perfetta per esprimere tutto il proprio potenziale. Ironicamente profetizzato dall’album Folktronic di Momus (2001), questo genere ha avuto col tempo un’impennata di audience e un’espansione artistico-commerciale tutt’altro che trascurabile, finendo per inglobare nelle sue magiche atmosfere act del calibro di Patrick Wolf (l’ultimo, splendido The Bachelor, in cui l’elettronica si fonde con un cantautorato sinuoso e decadente), del duo inglese Goldfrapp (giunto su lidi folktronici con Seventh Tree), degli islandesi Múm (espressione fiabesca della simbiosi acustico-elettronica del Nord Europa con l’ultimo Sing Along to Songs You Don’t Know ma anche abili musicisti glitch/sperimentali), del folle producer statunitense Dan Deacon (che ha portato alle estreme conseguenze il mix di elettronica e folk in un linguaggio giocoso ma al contempo martellante), dei newyorchesi Department Of Eagles e dei post-rockers danesi Efterklang. Leader e cantante dei Coheed and Cambria, Claudio Sanchez – nascosto sotto il monicker The Prize Fighter Inferno – è un altro elemento chiave della scena folktronica, sebbene abbia portato a termine un solo full-leght (My Brother’s Blood Machine, 2006) che gli è però bastato per rappresentare uno dei volti più freschi del genere; alla stessa maniera, un’apparizione fugace nella galassia folktronica l’hanno fatta i Matmos col bizzarro The Civil War, alienante fusione di r&b, musica medievale ed elettronica. Vicino a questa impostazione compositiva fatta di continue contaminazioni folk-sintetiche, Four Tet è un’altra figura assolutamente indipendente e originalissima del panorama elettronico del 2000: un’esperienza ormai decennale che ha testimoniato su piano internazionale il talento e la grande versatilità compositiva del producer britannico, rinomato per le sue fantasiose miscele sonore di jazz, d&b, folk e IDM immortalate nei suoi piccoli gioielli Dialogue, Rounds, Everything’s Ecstatic e Pause (Four Tet è noto anche per aver remixato brani di Aphex Twin, Radiohead, Black Sabbath e Bloc Party).
I Notwist, tedeschi per nascita ma inglesi per adozione artistica, sono un altro grande esempio di indipendenza nello scenario europeo indie-elettronico (l’enorme e indefinibile calderone dell’indietronica – nel quale vengono, molto alla rinfusa, racchiusi Isan, Stereolab, Domotic, Lali Puna, Nathan Fake, Micamat, American Analog Set, The Album Leaf, Postal Service etc – li vedi infatti come protagonisti di spicco). Partiti come band grunge-metal ad inizio anni ’90, i Notwist hanno col tempo coniato un toccante linguaggio a cavallo tra un’elettronica leggera e sinuosa (che ha non poco influenzato molti dei gruppi prima citati) e un indie-rock dalle tinte profondamente emotive che ha in poco tempo aperto al complesso teutonico le porte del successo internazionale, grazie soprattutto al rinomato Neon Golden del 2003.
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