STORIA DELL'ELETTRONICA II

(DEVO, PERE UBU, SUICIDE ETC..): L'ELETTRONICA NEL PRIMO POST-PUNK
 
Grazie agli anni ’70 in cui si consumarono splendidamente le immortali invenzioni di Kraftwerk, Tangerine Dream, Brian Eno e di altri compositori più o meno importanti (tra cui spiccano le seminali colonne sonore di Vangelis e la - allora ancora embrionale -  lucentezza sintetica di Jean Michael Jarre), gli anni ’80 si ritrovarono di fronte uno scenario musicale completamente trasformato e innovato dalle imponenti evoluzioni tecnologiche degli ultimi anni del decennio precedente. Sintetizzatori e campionatori all’avanguardia, drum machine, sequencer sempre più sofisticati: a nascere era una vera e propria, nonché avanzatissima, strumentazione sintetica che di lì a pochi anni cancellerà parzialmente l’assetto rock tradizionale, tanto nell’aspetto quanto nei concetti e negli stimoli compositivi. L’elettronica, dopo un lungo periodo di esperimenti germinali e d’assestamento, era ormai una tendenza onnipotente in grado di travolgere qualsiasi stile, qualsiasi impostazione creativa e concettuale; il synth pop (che verrà approfondito in un articolo a parte) ne fu l’esempio lampante ma al contempo quello meno visionario. Grazie ai Kraftwerk l’elettronica non era più un affare per soli intellettuali ma un cibo di cui poteva nutrirsi chiunque e l’estensione del suono sintetico al Pop ne fu la tangibile dimostrazione: miriadi di musicisti, ma anche totali ignoranti in materia, si avvicinarono all’elettronica e ne estirparono il cuore più semplice, diretto ed orecchiabile, dando di fatto il “via” alla sterminata stagione electro pop che continuò a fare proseliti per tutto il decennio (Spandau Ballet, Heaven 17, Human League, Duran Duran, Ultravox, Soft Cell, Culture Club, Eurythmics, Depeche Mode) mostrando i primi segni di cedimento solo col sopraggiungere degli anni ’90 e di un nuovo armamentario rock anti-sintetico (grunge, crossover et similia).
Ma l’elettronica di quel bizzarro periodo che va – più o meno – dal 1977 al 1985 non va identificata solamente con l’ottimismo e la lucentezza del synth pop, poiché alcuni dei suoi migliori e più visionari risultati si ebbero in concomitanza con la nuova, urticante ondata d’avanguardia che travolse il post-punk. Un nome su tutti – al di là delle geniali e inquietanti intuizioni industriali dei Cabaret Voltaire - i Devo della grande famiglia Mothersbaugh/Casale, progetto che col celeberrimo Q: Are We Not Men? A: We Are Devo non solo rivoluzionò le gerarchie della new wave ma diede nascita ad una delle più peculiari sperimentazioni elettroniche del periodo, sebbene all’interno di un discorso ancora rock (un po’ come accadde con le immortali paranoie effettistiche del genio Allen Ravenstine dei Pere Ubu).  Peccato che i Devo, com’è noto a tutti, abbandoneranno molto presto questa strada per dirigersi verso un synth pop pacchiano e diametralmente opposto alle proposte e alle invenzioni incastonate nel capolavoro del 1978, distruggendo quasi sul nascere una delle espressioni che al meglio avevano mostrato le potenzialità della nuova sperimentazione elettronica.
Alla stessa maniera i newyorkesi Suicide si avvicinarono all’universo sintetico in maniera assolutamente indipendente e originale, sfornando nel 1977 il loro omonimo gioiello, un concentrato di velvetiana e irreale psichedelia, delirio concettuale e di un’elettronica mai usata in maniera così straniante e ruvida. Come nel caso dei Devo si trattò però di una testimonianza unica e di un capolavoro irripetuto nella discografia del progetto, che continuò ad attraversare gli anni ’80 in maniera piuttosto obliqua, dando vita ad un pop futurista brillante ma non per questo privo della solita inquietudine e dei soliti incubi metropolitani.



 
Devo


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