STORIA DELL'ELETTRONICA II
A fare da cardine di questa nuova espressione del suono elettronico furono due città statunitensi in particolare: Chicago per l’house (che prendeva il nome proprio dallo storico locale Warehouse), Detroit per la techno. ovvero le ‘town’ che al meglio e in maniera assolutamente originale erano state in grado di assorbire e rielaborare le lezioni sintetiche dei Kraftwerk, di Giorgio Moroder (il fondamentale From Here to Eternity) e di tutta la disco music esplosa verso la fine degli anni ’70. Per la prima volta non era più la Germania a mantenere le redini dell’elettronica: gli Stati Uniti ne avevano preso il controllo ed erano pronti a diffondere nel mondo una nuova tendenza musicale ma anche sociale, un fenomeno generazionale insomma.
Quando a Chicago l’house esplose veramente erano i primi anni ’80, grazie soprattutto all’estensione del genere alle comunità gay e latino-afro-americane: dopo i primi esperimenti settantiani di Dj Franckie Knuckles e Larry Levan, l’house music conobbe i suoi anni di grazia – dopo una continua crescita – nel 1986 e nel 1988, momenti in cui vennero definitivamente stabiliti i codici del genere che si espanse a macchia d’olio non solo in America (grazie a Lerry Heard, JM Silk, Marshall Jefferson e Steve Hurley) ma anche in Europa e soprattutto in Gran Bretagna, dove prese piede una rielaborazione del sound di Chicago grazie al contributo di Marrs, S’Express, Paul Oakenfold e Danny Rampling.
Nel frattempo a Detroit, sempre nella prima metà degli anni ’80, Derrick May, Kevin Saunderson e Juan Atkins diedero il via all’esplosione della techno, intesa come un particolare mix di synth pop, Kraftwerk e Italo Disco che qualche anno più avanti (con la seconda ondata Detroit Techno di Jeff Mills, Robert Hood e Mike Banks) si aprirà anche a sonorità industriali ed EBM, affiancando l’house nella grande scalata ai vertici di tutto il suono elettronico, espandendosi giorno dopo giorno e diventando sempre più un vero e proprio fenomeno culturale underground.
In tutto questo, però, la Germania – parzialmente messa in secondo piano dall’esplosione house/techno a stelle e strisce – non stava a guardare e nel suo inquietante immaginario post-industriale preparava una nuova, brillante rinascita sintetica. Qui si collocano infatti le invenzioni elettroniche minimali della Neue Deutsche Welle (D.A.F., Die Krupps, Liaisons Dangereuses), fondamentale per l’espansione definitiva della cosiddetta Electronic Body Music (EBM, a sua volta imprescindibile per la nascita della goa trance, del futurepop e dell’electropunk), nuovo genere di netta impronta tedesca che, partendo dalle seminali lezioni della NDW e riassemblando lo sperimentalismo industrial di Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, codificò una tipologia di sound elettronico ballabile senza precedenti. Seppur provenienti dal Belgio, i Front 242 (assieme ai Nitzer Ebb, altro progetto non tedesco bensì inglese) furono i massimi esponenti della prima ondata EBM, riassumendo i canoni del genere in una manciata di album seminali (Geography, No Comment, Official Version, Front By Front); voci e atmosfere oscure, aperture cosmiche, beat martellanti e profondi, tappeti di synth ipnotici e pad roboanti costituivano l’esoscheletro di questo genere sintetico alienante e in cui rivivevano splendidamente il mood, le inquietudini e le innovazioni della Germania di fine anni ’70, seppur filtrate attraverso gli occhi di artisti esteri.
Nella seconda metà degli eighties l’EBM conobbe una seconda imponente ondata di gruppi dediti ad approfondire ulteriormente le lezioni sintetiche di Front 242 e della Neue Deutsche Welle: grazie ai lavori dei tedeschi Paranoid e Bigod 20, degli svedesi Pouppèe Fabrikk e dei belgi Vomito Negro, l’EBM conosceva la sua più grande espansione artistica e commerciale (poi ulteriormente stimolata dal successo dei tedeschi Haujobb), diventando il fiore all’occhiello dello scenario elettronico più industriale e oscuro, fungendo d’altra parte da vero e proprio trampolino di lancio per il cosiddetto aggrotech, per la dark electro e per il futurepop (VNV Nation) che si svilupparono nei primi anni ’90.
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