Best of 2011


RockLine.it dà avvio al 2012 presentando la classifica dei 10 album che si sono distinti maggiormente all'interno del panorama musicale del 2011 secondo la redazione. Le opere citate sono rappresentative di stili assai eterogenei e, pertanto, crediamo che la nostra chart possa soddisfare la sensibilità musicale della gran parte dei lettori.
Per rendere la classifica più completa e per evidenziare le preferenze di ciascun redattore, riportiamo anche le charts personali, attraverso cui il Best Of 2011 è stato realizzato.

 

 

Diamo infine spazio ad alcune pubblicazioni che hanno trovato riscontro positivo o negativo nella redazione, quali il miglior gruppo esordiente del 2011, l'ep più promettente, il full-length di spicco della scena italiana e la delusione discografica del 2011.
La redazione vi augura un felice 2012 e una buona lettura!
 

 

1

Grouper

A I A : Dream Loss / Alien Observer

Liz Harris, o degli abissi interiori. Meglio conosciuta come Grouper, lei è la bella musa della nuova estetica dark sperimentale e al suo interno si crogiola un'antologia di poesie sbiadite. Colori effimeri eppure così veri, puri, pesanti: il nero del buio sotterraneo, il bianco della lucente catarsi interiore. Labirinti infinitamente contorti, quelli dell'anima; lei lo sa e ne traduce in musica l'essenza attraverso l'isolazionismo più profondo, nido di impercettibili implosioni interiori. I suoi fiori del male esalano sgomento e un abbandono malinconico, eppure al contempo cantano con sotterraneo lirismo il risveglio dei sentimenti e la loro dolce risalita in superficie. Cenere portata all'altare dal vento.


2

Atlas Sound

Parallax

Di talenti precoci (o presunti tali) nella storia della musica se ne sono visti fin troppi, ma negli ultimi anni nessuno ha saputo brillare tanto quanto Bradford James Cox. Nato in periferia nella famosa Athens, in Georgia, fin da piccolo ha dovuto combattere con disparati avvenimenti, che lo hanno segnato umanamente e professionalmente, aiutandolo, in maniera alquanto paradossale, a diventare l'artista fuori dal comune che è adesso. Indebolito fisicamente dalla sindrome di Marfan - malattia genetica che colpisce il tessuto connettivo - ha dovuto praticamente rinunciare ad ogni contatto con l' esterno da ragazzino, quando si è accorto che il mondo lo giudicava più per quello che sembrava ( una persona magrissima dalle ridotte capacità motorie) che per quello che era in realtà.


3

Bon Iver

Bon Iver, Bon Iver

Quattro inverni fa in un desolato capanno del Winsconsin, in mezzo a sconfinate distese di neve, riscaldato ed accompagnato esclusivamente dalla sua voce, Justin Vernon plasmava quel capolavoro d'intimismo minimalista e refrattario al dolore che è For Emma, Forever Ago. La genesi del disco è stata più volte raccontata come un lenitivo alle sofferenze passate, una cura trovata nella musica: un medicinale che, da sempre e per sempre riesce a sciogliere interi blocchi di ghiaccio e tamponare ferite, anche quelle più profonde. Sono passati quattro anni da quel simulacro di perfezione che racchiudeva confessioni recondite tutt'altro che rimandanti ad alcuna realtà sotto-giacente e Bon Iver (storpiatura francese del "buon inverno") torna in veste di messia a curare quelle ferite che si sono trascinate dall'esordio; questa volta, però, sono le nostre.


4

Caretaker, The

An Empty Bliss Beyond This World

The Caretaker è il moniker dietro cui si cela l'inglese James Leyland Kirby, classe 1974 e autore di una sterminata mole di esperimenti musicali e release varie sotto vari pseudonimi (dei quali il principale resta probabilmente V/Vm).
A firma The Caretaker, Kirby approfondisce quella che resta la sua maggiore ossessione, ovvero la relazione tra musica da una parte, e memoria, perdita e archiviazione della stessa dall'altra. A partire dal 1999, con il primo album Selected Memories from the Haunted Ballroom, il suo modus operandi è stato quello di recuparare vecchia musica da ballroom dei 1920s e 1930s, isolarne campioni e motivi, e seppellirli sotto una patina atta a rappresentare la "polvere del tempo", espressa tramite droni cupi e ruvidi derivanti dallo stile dark-ambient.


5

Fucked Up

David Comes to Life

Venuti alla ribalta del fenomeno hardcore punk con una serie di promettenti demo che avevano spianato la strada al debutto su full-length, avvenuto nel 2006 con la pubblicazione di Hidden World, e affermatisi tra i massimi esponenti (e innovatori) del genere nell'ultimo decennio grazie all'hardcore "progressivo", sinfonico e riccamente arrangiato presentato nel successivo The Chemistry of Common Life del 2008, i canadesi Fucked Up ritornano nel 2011 presentando il grandioso David Comes to Life - pubblicato il 6 giugno scorso dalla stessa Matador Records che aveva pubblicato il loro ultimo album in studio - dopo un lungo concepimento di ben tre anni.


6

Tenhi

Saivo

Dopo la solita lunghissima ed estenuante lavorazione, arriva alla pubblicazione il nuovo full-length dei finnici Tenhi, uno dei gruppi Dark Folk più apprezzati dello scorso decennio.

"Maaäet" fu un album generosamente incensato dalla critica, ma col passare degli anni è finito per sembrare più la chiusura di un'era che l'apertura di un nuovo ciclo: dalla sua uscita (Febbraio 2006) il gruppo non ha registrato più nulla, ha subito l'abbandono del co-fondatore Ilkka Salminen (ad inizio 2008) e si è per anni (apparentemente) limitato a ripescare 'chicche' dal proprio passato, pubblicando un paio di compilation ("Folk Aesthetic" e "The Collected Works") e ristampando a proprio nome un disco originariamente pubblicato come side-project ("Airut: Aamujen").


7

Mastodon

The Hunter

I Mastodon tornano con il nuovo full-length The Hunter (Reprise/Roadrunner/Warner Bros., 2011) a due anni dal precedente Crack the Skye, e ancora una volta riescono a stupire il proprio pubblico con un'ulteriore svolta stilistica.
Se difatti Crack the Skye aveva visto la band entrare nel territorio del concept prog-rock, con pezzi dalla durata allungata, dalla struttura complessa e in ben due casi sviluppati in suite superanti i 10 minuti a testa, con The Hunter i quattro non solo tornano ad un maggior numero di tracce, tutte dal minutaggio breve, ma utilizzano strutture più classiche e vicine alla forma-canzone, eliminano molti degli eccessi prog e molta della pesantezza metal, e addirittura si concedono alcuni pezzi in chiave maggiore.


8

Hecker, Tim

Ravedeath, 1972

Una foto in bianco e nero, risalente al 1972, ritraente gli studenti del MIT (Massachusetts Institute of Technology) gettare un pianoforte dal tetto di un dormitorio universitario, l'ormai celeberrima Baker House. Un'immagine estremamente suggestiva che in sè raccoglie lo spirito di un'epoca a stelle e strisce e quello di un'intera opera musicale. Tim Hecker segue il viaggio di quel pianoforte e ne studia il movimento e la caduta, sondando il suo corpo fendere l'aria, gridare un ultimo, disperato lamento e impattare infine col suolo. Ravedeath, 1972 parte da quell'azione pseudo-riottosa e iconica e finisce per allargarsi all'intero pensiero umano: atto di liberazione e volontà distruttrice insieme, coadiuvati nella stessa immagine nel suo significato. Elementi che nell'album di Hecker si trasformano in un oscillare disperato tra la volontà di annullarsi e quella di resistere, tra il desiderio di liberarsi e quello di decomporre la realtà.


9

Boris

New Album

Primo album di un trittico nuovo di zecca che proseguirà - sempre entro i confini del 2011 - con Heavy Rocks (omonimo del macigno stoner/doom del 2002) e Attention Please, New Album rilancia i nipponici Boris a tre anni di distanza dall'apprezzatissimo Smile, riportando al centro dell'attenzione uno dei progetti più stravaganti delle ultime due decadi di musica sperimentale. Non è un caso infatti che, pur senza squilli di tromba e resurrezioni prepotentemente annunciate, il popolo europeo/americano si faccia sempre trovare puntuale all'appuntamento con ogni nuova uscita discografica targata Boris (e pensare che questo disco non verrà mai rilasciato al di fuori del Giappone...).
 


10

Thee Oh Sees

Carrion Crawler / The Dream

Il chitarrista John Dwyer rappresenta uno degli esponenti più prolifici dell'underground musicale statunitense del nuovo millennio.
Dapprima nei Pink & Brown e, successivamente, nei Coachwhips, Dwyer si è infatti espresso in un anarchico revival di garage, punk e noise, nel frattempo sfogando le pulsioni più psichedeliche della sua creatività nel progetto solista Thee Oh Sees (non sempre con risultati felici) e partecipando contemporaneamente alle più varie avventure musicali (dal jazz dei Sword & Sandals al pop-rock degli Up Its Alive), pubblicando in poco più di un decennio di attività quasi quindici dischi tra progetti e collaborazioni varie.
La sua già ampia discografia s'è arricchita nel 2011 di ben due opere sotto quest'ultimo moniker, con l'LP Castlemania (pubblicato a maggio) e soprattutto la raccolta dei due EP Carrion Crawler/The Dream (pubblicata a novembre), entrambi rilasciati sotto l'egida della In the Red Records.


 

 

 


 

 

Esordio dell'anno:

Weeknd, The

House of Balloons

Uno dei migliori debutti del 2011 si è senza dubbio rivelato quello di Abel Tesfaye, canadese di origini etiopi, classe 1990, lanciatosi nel mercato discografico sotto il moniker The Weeknd. In realtà i suoi primi leak risalgono al 2010, ma è solo con il mixtape House of Balloons, rilasciato l'anno seguente, che la sua fama si è rapidamente estesa.


Mini dell'anno:

Soft Moon, The

Total Decay

l secondo capitolo della saga dei The Soft Moon (divenuti un vero e proprio gruppo musicale con l'arrivo di Justin Anastasi e Damon Way al fianco del mastermind Luis Vasquez) viene pubblicato dalla Captured Tracks il 31 ottobre 2011, a un anno dall'uscita del loro sorprendente debutto eponimo.


L'artista italiano dell'anno:

Paolo Benvegnù

Hermann

Se il cantautorato italiano dei nostri giorni sta tornando a fare la voce grossa, non dobbiamo dimenticare allora chi gli ha permesso di tornare a respirare, molti anni or sono. Da segnalare infatti in uscita il terzo disco solista di Paolo Benvegnù, intitolato Hermann e ultimo lavoro di un artista nel vero senso della parola visto che, prima di mettersi in proprio ed oltre a produrre due cortometraggi, nella sua carriera iniziata negli anni '90 è stato fautore di uno dei progetti più interessanti del tempo, gli Scisma.


Delusione dell'anno:

Opeth

Heritage

Molti se lo aspettavano, tanti (forse troppi, me incluso) lo temevano, altri lo desideravano. Che la carriera degli Opeth si sarebbe infine arenata sull'ideale musicale di quest'ultimo Heritage, forse era destino. Di sicuro, la band di Mikael Akerfeldt ha dato la svolta stilistica più netta e palese della propria carriera, creando tutti i presupposti per un'uscita discografica destinata ad attirare a sè una quantità indecifrabile di diatribe e commenti. Decimo lavoro in studio della band svedese, Heritage è il punto di non ritorno di una delle più grandi formazioni scandinave degli ultimi vent'anni.


 

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