- Bradford Cox - Musiche, testi
01. The Shakes
02. Amplifiers
03. Te Amo
04. Parallax
05. Modern Aquatic Nightsongs
06. Mona Lisa
07. Praying Man
08. Doldrums
09. My Angel Is Broken
10. Terra Incognita
11. Flagstaff
12. Nightworks
Japanese edition bonus tracks:
13. Quark Part 1
14. Quark Part 2
Parallax
Di talenti precoci (o presunti tali) nella storia della musica se ne sono visti fin troppi, ma negli ultimi anni nessuno ha saputo brillare tanto quanto Bradford James Cox. Nato in periferia nella famosa Athens, in Georgia, fin da piccolo ha dovuto combattere con disparati avvenimenti, che lo hanno segnato umanamente e professionalmente, aiutandolo, in maniera alquanto paradossale, a diventare l'artista fuori dal comune che è adesso. Indebolito fisicamente dalla sindrome di Marfan - malattia genetica che colpisce il tessuto connettivo - ha dovuto praticamente rinunciare ad ogni contatto con l' esterno da ragazzino, quando si è accorto che il mondo lo giudicava più per quello che sembrava ( una persona magrissima dalle ridotte capacità motorie) che per quello che era in realtà. Non da meno, pochi anni dopo si è sopraggiunta la separazione dei suoi genitori; costretto ancor più a condurre una vita del tutto autonoma Bradford, in compagnia della sua chitarra, inizia ad occuparsi di musica, principalmente per comunicare i suoi pensieri nella maniera più diretta e semplice che esista. A seguire diverrà sessualmente ambiguo, fattore che amplierà le sue vedute artistiche, unicamente di stampo mesto ed infelice, arrivando a comporre con la sua band di sempre, i Deerhunter, un disco intitolato Halcyon Digest, da annoverare tra i masterpiece indiscussi che l' indie-rock abbia mai prodotto, toccando l' apice creativo nello stupendo outro He Would Have Laughed, dedicato allo scomparso Jay Reatard, uno dei suoi pochi amici.
Proseguendo in parallelo anche con l' esperienza solista Atlas Sound - moniker che usa fin da quando era un ragazzo - Bradford Cox da prova del suo sconfinato talento registrando un altro disco immaginifico, perfetto. Parallax (4AD, 2011) senza dubbio si pone come l' opera più completa e toccante del nostro, che se in precedenza si era (pre)occupato di fondere con titoli del calibro di Microcastle / Weird Era Cont. la distorsione hypnagogica della psichedelia e l' irriquietezza malsana del punk, adesso oltre che fornire una meritata dimensione indipendente al suddetto progetto si spinge ancora una volta oltre e, con la tipica tranquillità che da sempre lo contraddistingue, riesce a trovare il filo conduttore adatto per miscelare insieme la musica ambient e il pop di sana derivazione folk.
Per la prima volta le geometrie ( già di per se decisamente anticonvenzionali) del minuto trentenne di Athens lasciano spazio ad un lirismo a tutto campo, dove il flusso di coscienza e la pratica escapista raggiungono livelli impensabili: le atmosfere sono candide, pure, come immerse in una placenta in cui solo all' interno della quale sembra possibile praticare l' arte riflessiva. L' estraniamento dalla realtà e le derive pop sono da sempre il fulcro fondamentale delle teorie di Cox, ma con l' aiuto della mistica 4AD incredibilmente si riesce a scavalcare il surrealismo del dream pop, approdando ad una forma sperimentaloide dell' ambient classico. Tutti i canoni dell' estetismo pop saltano ancora una volta di fronte a questo gioco di de-costruzioni e distruzioni, ma non disdegnano di ripresentarsi in nella loro efficacia ogniqualvolta si senta la necessità di dare un impronta personale da parte di Atlas Sound ( emblematico in questo senso è il folk-rock di Mona Lisa, molto simile a quello dei newyorkesi Real Estate). Ma se da una parte i Rare Book Room Studios di Brooklyn e la schietta produzione del consolidato Nicholas Vernhes in fase di produzione hanno giocato un ruolo alquanto fondamentale, dall' altro lato bisogna attribuire grande merito al lavoro di rifinitura dello stesso Bradford Cox, che per la prima volta lima a dovere gli angoli grezzi pieni di sporcizia lo-fi che, se sono stati parte integrante del successo dei suoi primi EP da Deerhunter ( come ad esempio Fluorescent Grey) al tempo stesso hanno contribuito al ridimensionamento del progetto Atlas Sound, precedentemente attivo con i due modesti dischi Logos e Let the Blind Lead Those Who Can See but Cannot Feel, entrambi editi per la Kranky.
La voce soffusa e dimessa funge infatti spesso da apripista per gran parte delle melodie - perfetto compromesso tra i Cocteau Twins, gli ultimi Low e la classica meno ancestrale di Jóhann Jóhannsson - che andranno ad intersecarsi, nella loro diversità, lungo l' arco delle dodici tracce ( quattordici nell' edizione giapponese); ma le stesse fragili quanto particolari corde vocali sapranno incantare anche quando dovranno animare - insieme ad una componente corale che talvolta fa la differenza - i mood alienati del disco. Pensiamo ad esempio alla versione decisamente più in palla degli Wilco di The Whole Love espressa nella opener The Shakes, oppure ai balearici dolori di Amplifiers, e ci si potrà benissimo accorgere di come il tema della rarefattezza dei tessuti compositivi canonici sia alla base del bellissimo Parallax. Il bello dell' album sta anche e soprattutto nel fatto di saper alternare le diverse etiche ( tutte quante anti commerciali) che i mondi del rock, del folk e dell' avanguardia si portano dietro: è il caso dell' intrigante Te Amo (in origine nominato solamente Untitled), dalla cui base in molti avrebbero estrapolato un singolo di successo, oppure di tracce come Lightworks, molto più vicine per l' efficacia della strumentazione ai Deerhunter.
Il picco massimo del tema estasiante, però, paradossalmente lo si ha dalla metà in poi, quando la fortuna di aprire l' ennesimo teatrino carico di psichedelia glo-fi tocca a Praying Man. Ecco, proprio da qui in avanti il pathos si caricherà di un intenso significato, dovuto nella fattispecie alla ricercata sfera sensibile di Cox e ad ogni sua piccola epifania, molto spesso di carattere malinconico o nostalgico. Sentire per credere Doldrums, con le sue orchestrazione prepotenti ( secondo le ambizioni del personaggio), oppure Flagstaff, abile nel perseguire la vecchia forma arty di Eno e soci. Apice del disco infine sono senza dubbio Angel Is Broken e Terra Incognita, caparbiamente fide della tipica smania astrattiva di Atlas Sound. La prima è un pezzo da opera, robusto ed imperioso nella sua tristezza decadente, tanto da sembrare a primo impatto la colonna sonora ideale per un futuro film su E L' Asina Vide L' Angelo ( primo romanzo scritto da Nick Cave), non fosse per la mancanza di un risvolto wave, mentre Terra Incognita regala sei minuti di testamento autobiografico, soffuso su di un Eden dai contorni fanciulleschi, che abbaglia per intensità ed ammalia per la parte finale, dove tiepidi riff di chitarra fanno lievitare i rintocchi di sottofondo.
Science Fiction: la definizione data dalla stessa casa discografica non sfigura affatto l' indubbia potenzialità evocativa che Bradford Cox ha voluto raffigurare nel suo ultimo Parallax, la prova della maturità e della raffinata particolarità di stile ormai raggiunte anche sotto il moniker di Atlas Sound. Lo "spiattellamento" delle personali liriche autobiografiche riesce ad enfatizzarsi al massimo, trovando come abito perfetto le armonie dell' album, che, come detto, spaziano, anche nel giro di un solo brano, dai concettualismi ambient-pop fino a soluzioni provenienti dal mondo indie o elettronico, tanto che non si potranno negare delle affinità con gli introspettivi Radiohead. Lo Ian Curtis della musica moderna brilla qui letteralmente di luce propria, forte forse la sua consapevolezza sull' infallibile modus operandi perseguito da sempre, abile nell' inventarsi una musica propria, arrivata a perfetto compimento grazie al definitivo assottigliamento delle irrequietezze rabbiose. Di buon auspicio per i sentimenti e le visioni di Bradford Cox giunge infine l' artwork, in cui il fotografo Mick Rock, ispirandosi a Raw Power dei leggendari Stooges (altro suo famoso scatto) , ha saputo immortalare nient' altro che il genio dietro cui si nascondono nuove formule musicali del tutto inedite già pronte ad infettare il sistema musica. E forse anche a cambiarlo. In meglio, si intende.