- Paul Masvidal - Voce, chitarra
- Sean Malone - Basso, chapman stick
- Sean Reinert - Batteria, tastiere
1. True Hallucination Speak
2. The Lion's Roar
3. Kindly Bent to Free Us
4. Infinite Shapes
5. Moon Heart Sun Head
6. Gitanjali
7. Holy Fallout
8. Endless Bountiful
Kindly Bent to Free Us
L'atteso terzo full-length dei Cynic (ormai ridotti definitivamente a trio: Paul Masvidal alla voce e chitarra, Sean Malone al basso e chapman stick, Sean Reinert alla batteria e tastiere) viene pubblicato dalla Season of Mist a oltre cinque anni dall'ultimo Traced in Air, con il titolo di Kindly Bent to Free Us (in onore degli insegnamenti buddhisti di Longchenpa e della sua opera Kindly Bent to Ease Us).
Decidendo di non proseguire nel sentiero tracciato con il men che mediocre Carbon-Based Anatomy del 2011 (che anzi lo stesso Masvidal ha definito come uno sfogo a sé stante dovuto alle difficoltà che il gruppo stava incontrando al tempo), i Cynic - pur non rinunciando alle aperture più ariose tipiche del progetto Æon Spoke mostrate nell'EP - reintegrano nel proprio sound la componente metal, avvicinandosi stilisticamente a una versione ulteriormente delicata e introversa di Traced in Air (non è esagerato ipotizzare un'ascendenza indie e post-rock nel suono dei Cynic del 2014).
Ciononostante, Kindly Bent to Free Us riesce comunque nella difficile impresa di risultare ancora meno valido di Carbon-Based Anatomy, ponendosi con prepotenza come la release peggiore mai partorita dai Cynic.
Una semplice minor creatività in fase di composizione non basta però a giustificare un tale disastro: è infatti Masvidal che, quasi autonomamente, condanna l'album, a causa del suo spiritualismo che finisce per permeare indelebilmente la musica dei Cynic, sia nei testi (un imbarazzante accumulo di riferimenti a filosofie orientali e misticismi vari, con alcuni dei versi più patetici mai pensati da una band) sia soprattutto nella musica, che grazie anche alla complicità delle tastiere di Reinert spesso è ridotta a una versione progressive metal della più innocua e annacquata new age da ascensore. A delle sonorità tanto melense, Masvidal aggiunge la prova vocale peggiore di tutta la sua carriera, accantonando gli effetti elettronici con cui ha filtrato la propria voce in passato ed esibendosi perlopiù in pulito, in tal modo scoprendo tutti i suoi limiti (sia a livello melodico che timbrico) come vocalist.
Nemmeno i pochi pregi del disco (ovvero l'esecuzione strumentale del trio, che per quanto non ai livelli di eccellenza di Focus - specialmente per quanto concerne la solistica di Masvidal - ancora dà prova di un'enorme competenza tecnica) vengono valorizzati abbastanza, a causa di una produzione ovattata e non all'altezza.
I primi tre pezzi di Kindly Bent to Free Us sono stati anche quelli che, a partire da metà dicembre 2013, sono stati pubblicati dalla Season of Mist per pubblicizzare l'uscita dell'album.
Di questi, la title-track è forse il migliore, e non a caso quello più vicino come sensibilità a Focus (come dimostrano le complesse ritmiche serrate, la composizione dei riff, ma soprattutto i diversi umori che colorano il brano, tra aperture melodiche jazzate e strofe progressive metal), per quanto assolutamente non paragonabile per ispirazione e qualità; d'altra parte, True Hallucination Speak cita Focus con simile convinzione (l'intro in particolare sembra un rimaneggiamento della storica Veil of Maya, se non fosse per le linee vocali sciroppose e totalmente inadatte di Masvidal), ma dove Kindly Bent to Free Us era solo una mediocre composizione per gli standard passati dei Cynic, questa sfodera momenti (come la sezione centrale giocata su coretti sdolcinati e languidi arpeggi di chitarra) di rara bruttezza.
È solo il primo singolo, The Lion's Roar, a superare di varie spanne il limite della decenza, con le sue strofe dall'atmosfera pseudo-misticheggiante e un riffing sconclusionato, coronato infine da uno dei testi più patetici che storia ricordi, ispirato agli insegnamenti di Chögyam Trungpa, ma che non rifiuta aperte citazioni alle teorie pseudoscientifiche di Terence McKenna (con climax di orrore in «Animals / Are something invented by plants / To move seeds around / An extremely yang solution / To a peculiar problem / Which they faced»). Talvolta, assale il dubbio che The Lion's Roar non sfigurerebbe su uno degli ultimi album dei Muse.
Il resto dell'album non mostra una creatività tanto maggiore di quanto esibito nei primi tre pezzi. In particolare, Infinite Shapes è se possibile ancora più imbarazzante di The Lion's Roar, questa volta per meriti squisitamente musicali, grazie a uno degli arrangiamenti più di cattivo gusto di tutto l'album (merito delle tastiere di Reinert e delle parti di chitarra di Masvidal, che culminano negli ululati involontariamente esilaranti del solo).
A fronte di questo disastro, perfino dei numeri di progressive metal anonimo e insignificante come Moon Heart Sun Head, Gitanjali e Holy Fallout non sembrano tanto terribili; anzi, nonostante sample di discorsi del filosofo Alan Watts, assoli poco ispirati e armonie vocali eunuche, la prima e l'ultima di queste vanno forse annoverate come i momenti più "riusciti" del disco.
Il mantra conclusivo di Endless Bountiful, per tastiere, chitarra e voce, torna però sulle sonorità meditabonde della prima metà dell'album, e non basta una timida incursione jazz rock nel finale per redimere un brano tanto narcolettico.
Raramente un ritorno tanto atteso si è rivelato così pessimo, pretenzioso e poco ispirato. Non si può (e non si deve) nemmeno applaudire al fantomatico coraggio necessario per attuare un cambio di rotta stilistico del genere: il suono di Kindly Bent to Free Us è il prevedibile punto di arrivo per un gruppo che sembra ormai sempre più guidato dalle ideologie di Masvidal piuttosto che da un qualche tipo di interesse musicale.
Un album del genere sarebbe un pessimo ascolto anche senza un passato glorioso alle spalle.