- Paul Masvidal – Chitarra, Voce
- Sean Reinert – Batteria, Tastiera
- Sean Malone – Basso, Chapman Stick
- Tymon Kruidenier – Chitarra, Voce growl
1. Nunc Fluens (2:56)
2. The Space for This (5:46)
3. Evolutionary Sleeper (3:35)
4. Integral Birth (3:53)
5. The Unknown Guest (4:13)
6. Adam's Murmur (3:29)
7. King of Those Who Know (6:09)
8. Nunc Stans (4:13)
Traced in Air
“Traced in Air”: Cynic, parte seconda, quindici anni dopo...
Sempre con un dipinto di Robert Venosa come copertina e sempre con l'affiatato nucleo di Paul Masvidal e Sean Reinert a condurre i giochi, ed ancora con il maestro Sean Malone al basso (ma senza Jason Gobel alla seconda chitarra, impossibilitato per motivi di famiglia e lavoro): è il ritorno dei Cynic, fino a pochi anni fa ritenuto un miraggio per pochi nostalgici ed arrivato invece a materializzarsi a poco a poco, prima con un tour che riproponeva i brani del leggendario “Focus” e poi con questo nuovissimo “Traced in Air”, composto e registrato in un annetto di lavoro sfruttando, tra le altre cose, anche alcune vecchie idee degli anni '90 rimaste incompiute.
I Cynic di oggi suonano come un ibrido tra quello che furono e quello che potrebbero essere, con alcune soluzioni ovviamente figlie del prestigioso (ma ingombrante) nome stampato in copertina ed altre derivate dalle esperienze maturate dai membri della band in questi tre lustri: tra il Pop etnico e mistico dei Portal, il Rock etereo e sfumato degli Æon Spoke, il Progressive Rock dei Gordian Knot e il Prog Metal degli Aghora, il calderone è abbastanza ampio da poter tirarci fuori (quasi) di tutto: in “Traced in Air” i Cynic hanno ricercato un equilibrio tra tutti questi elementi, senza però inserire novità sostanziali ed impreviste nel loro progetto, diversamente da quanto successe all'epoca dello sperimentale “Focus”.
Come era facilmente intuibile, il primo elemento a cedere il proprio posto è la componente Death Metal, praticamente svanita: il riffing odierno si orienta verso un Progressive Metal dai rivolti Fusion decisamente tecnico e tutto sommato fluido, ma non sorprendente né innovativo: i classici arpeggi 'liquidi' tipicamente Masvidaliani intervallano le rapide e dinamiche ondate di chitarra, culminanti spesso in fugaci assoli, talvolta intricati, altre volte maggiormente consapevoli e soddisfacenti, ma sempre caratterizzati da una musicalità attenta a coniugare dettaglio melodico e difficoltà esecutiva.
Tra le qualità del disco, spicca quella per cui le melodie dei brani sono sovente avvolgenti ed indovinate, permettendo al disco di scorrere con discreta naturalezza nonostante la complessità: in questo è forte, come era logico aspettarsi, l'influenza del lavoro svolto da Reinert e Masvidal negli Æon Spoke, gruppo dal quale i 'nuovi' Cynic ereditano in parte l'atmosfera agrodolce, introversa e cristallina, in questa occasione riadattata ai volumi e all'impetuosità del Metal.
L'attuale stile vocale di Paul è la più lampante conseguenza del tempo trascorso a suonare per gli Æon Spoke: eliminato il vocoder robotico che rese unico “Focus”, nel nuovo disco gran parte delle tracce vocali sono in pulito, ma sono spesso leggermente filtrate per dare loro un tono più metallico e affilato (quasi come fosse un debito verso il passato?), scelta che tuttavia penalizza l'espressività e il calore del disco e mortifica i miglioramenti melodici effettuati dal vocalist floridiano in questi ultimi anni.
Sempre a proposito di decisioni prese tenendo troppo da conto l'ingombrante passato, passiamo ad un tasto nettamente dolente: il classico cantato in growl è ancora presente, ma è ora una semplice, fastidiosa e ridondante appendice ad un suono che non è più intimamente collegato ad esso: oltretutto, questo tipo di canto non è più utilizzato in maniera coerente e significativa (ovverosia per portare avanti melodie attraverso versi e strofe) ma è invece dispensato 'ad arte' (?) qui e là, con sparsi ruggiti piazzati a irrobustire i momenti con particolare significato (la fine del chorus, l'inizio del brano dopo l'introduzione, l'ultimo verso della strofa...): soluzione poco felice poiché palesemente posticcia oltreché deleteria ai fini della costruzione di quell'atmosfera sognante tipica di "Traced in Air".
Si conferma eccellente la sezione ritmica, con la batteria di Reinert che si prodiga in un accompagnamento solido e completo e il basso di Malone meno appariscente e protagonista rispetto a “Focus” ma ancor più veloce e preciso nelle sue linee: tra la pletora di cambi di tempo sbucano spesso ritmi capaci di farsi apprezzare (quello simil-tribale all'inizio della bella “Integral Birth”, quello jazzy che appare e scompare nell'altrettanto buona “King of Those Who Know”), anche se i rari spazi atmosferici non sfruttano fino in fondo le finezze che i due Sean potrebbero apportare sotto il profilo della delicatezza e dell'eleganza: in questo, il disco è inevitabilmente “Metal” (in questo senso, paradossalmente, anche più di "Focus"!), rumoroso e muscolare, più propenso all'attacco che al ripiegamento.
A penalizzare un album che possiede comunque delle indiscutibili virtù è la personalità dei pezzi, imparagonabile a quella dei brani storici dei Cynic che furono: praticamente ogni brano di “Focus” aveva una sua caratteristica unica e peculiare a differenziarlo dagli altri, situazione molto meno accentuata invece in questo “Traced in Air”, più omogeneo e sciolto ma anche meno speziato, meno particolare nei suoi singoli segmenti – manca il carisma del singolo brano, insomma, manca un groove vincente su tutti i fronti e la melodia capace di rapire i cuori, vittime di una freddezza cerebrale che non riesce ad essere spazzata via dalla chitarre, contemporaneamente troppo e troppo poco abrasive, e tantomeno da quei growl da “obbligo contrattuale” che infastidiscono la musicalità del tutto.
“Focus” era (ed è) grande anche perchè avanti di dieci anni rispetto alla maggior parte del movimento musicale (Metal) dell'epoca: altrettanto non si può dire di questo nuovo disco, che pur rimanendo un buonissimo capitolo, suonato con estrema perizia e composto con discreta abilità (e, più in generale, realizzato con una classe ben superiore alla media delle Technical Metal bands di oggi), non soddisfa fino in fondo chi dai Cynic si aspetta sempre quel “qualcosa in più” che si chiede solo ai veri maestri – i Cynic lo sono, ma stavolta non l'hanno saputo dimostrare in pieno.
Quello che rimane è semplicemente un buon disco, e forse è giusto così: quelle di “Focus” erano altre situazioni musicali, altre visioni, altre idee... altri tempi.