Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Etichetta: 
Brutal Panda
Anno: 
2014
Line-Up: 

Josh Holland - guitar/vocals
Noah Burns - drums
Jeff Johnson - bass

Tracklist: 

1. The Wrecking Ball Unchained (06:19)
2. Shadow Deserts (04:44)
3. Blood Maker (05:15)

Wild Throne

Blood Maker

Il trio dei Wild Throne è composto da ferrati musicisti di Bellingham (Washington, USA) con alle spalle un decennio a testa di attività in varie band solidamente affermate a livello locale.
Le varie esperienze hanno portato ad un certo punto Josh Holland (chitarra e voce), Noah Burns (batteria) e Jeff Johnson (basso) alla decisione di unirsi in un progetto che superasse in originalità e impatto ogni cosa da essi fin lì fatta.

Possiamo dire che l’obiettivo per il momento pare raggiunto: l’EP Blood Maker (che può essere considerato il loro vero esordio, dopo due release underground introvabili nei due anni precedenti), uscito per la Brutal Panda (nome di label migliore di sempre), può indubbiamente già essere collocato tra i migliori EP metal del 2014.

I tre pezzi di cui è costituito sono farciti d’idee brillanti e convoglianti stili diversi, ma soprattutto hanno ben chiara la necessità di darsi una misura per mantenere una struttura coerente ed esteticamente appagante: tra i punti musicali di riferimento del trio vi sono infatti, a orecchio, sicuramente The Mars Volta e Protest the Hero, ma le influenze che da loro prendono arrivano in dose controllata, e si ritrovano ad essere sostenute e ben bilanciate da un impianto hardcore massiccio, caldo e quasi sludge, strizzante l’occhio ai Mastodon.

Un altro punto che i Wild Throne segnano decisamente a loro favore sta nell’efficacia melodica, derivante da una ormai mutata geneticamente tradizione emocore (che si riconosce nell’intensità drammatica dei vocalizzi e nelle dissonanze metalliche dei riff), ed espressa magistralmente grazie alla notevolissima capacità vocale di Holland: il memorabile chorus di Shadow Deserts ne è l’esempio più immediato, ma ancor di meglio si trova nella più complessa title-track.

La tecnica strumentale dei tre, assolutamente degna di nota, poteva finire per farli strafare ed esagerare (sia nella struttura dei pezzi, sia nei giochetti virtuosistici di facile impressione), ma viene usata in maniera nobile e pragmatica per trovarsi un proprio stile, che prende dal prog metal come dallo sludge, dal thrash come dal post-hardcore, e mettere sempre in primo piano passionalità e schiettezza.

Alla riuscita del “pacchetto” concorrono due nomi ben noti come Ross Robinson (la riuscita produzione, in bilico tra hardcore e metal senza abbaracciare né l’uno né l’altro) e Orion Landau (il gran bell’artwork).

Non resta che attendere con curiosità e buone aspettative il debutto su full-length.

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