-Justin Warfield
-Adam Bravin
01. Take the World
02. Kiss Me
03. Up in Flames
04. Must be the One
05. Not Just a Girl
06. Reasons
07. Little Stars
08. Suck it Up
09. Holiday Song
10. Maybe She's Right
Valleyheart
Sono ormai trenta anni che l' anima leggendaria ed altrettanto autodistruttiva di Ian Curtis se ne è andata per sempre in paradiso. Tanto è stato scritto e illustrato, e tutti dovrebbero essere in grado di capire la sua indubbia importanza all' interno di un contesto musicale come quello del secolo scorso. Tuttavia, non capisco gli entusiastici ideali di chi ancora non si vuole arrendere a riprodurre un certo tipo di musica difficile, se non impossibile, da trasmettere integralmente solamente per il phatos( le qualità delle registrazioni sono la prima causa di ciò). Se poi band come gli Interpol hanno provveduto già a far riecheggiare il meglio del post-punk e della new wave, il compito prefisso sembra ancora più arduo. Ma se qualcuno di questi svantaggiati come i Glasvegas, con intelligenti campagne pubblicitarie prima ancora che con singoli originali, è riuscito a farsi conoscere in tutto il mondo ( non senza essere beccato più volte da riviste che vivono di questo pane, vedi Pitchfork), è lecito chiedersi quale sorte toccherà a chi dopo il terzo album ancora fa fatica a proporre un prodotto mediocre, rimanendo a dir poco nell' anonimato. È il caso degli She Wants Revenge, un duo proveniente da Los Angeles, il cui esordio di cinque anni tondi tondi aveva in qualche modo risvegliato chi ancora credeva in questa forma particolare di Post-Punk elettronico, facendoli ripiombare in un sonno profondo dopo un' ora piena di alternative rock appesantita in maniera spropositata da sintetizzatori ( si ascolti Tear you Apart, brano di maggior efficacia del gruppo), dimostrandosi di essere in grado di far da spalla al massimo a band come gli I Love you but I've Chosen Darkness.
Valleyheart, il nuovo album, si libera degli orpelli elettronici ( ad eccezione di qualche flebile base), provando a donare al gruppo l' ennesima faccia per poter sfondare, ovvero quella di rocker oscuri e maledetti. I ritmi si fanno più pressanti, mentre le liriche continuano a mantenersi su un livello medio-basso, con forse qui più passi banali che negli altri casi. I motivetti si dimostrano ancora una volta molto adolescenziali, tanto da indurmi a sconsigliare l' ascolto ai maggiori di 18 anni, ed anche quando i due provano ad alzare l' asticella di difficoltà emergono fin troppo chiare le loro influenze. Come ad esempio Up In Flames, uno scadente concentrato di Black Rebel Motorcycle Club e Depeche Mode, oppure la conclusiva Maybe She's Right, con evidentissimi rimandi a Placebo e Kills. Anche nei pezzi più logorroici, come Suck it Up, rivelano una certa passione per la darkwave, che dopo pochi minuti preferiscono mutare in effetti stilistici puramente Klaxoniani. In Holiday Song rivisitano i National con un anthem trash, ed anche l' arrendevolezza da pop song di Not Just a Girl non impressiona affatto. Alla fine, paradossalmente, le più convincenti sono Kiss Me, con cui entriamo in pieno catalogo Brandon Flowers, e Reasons, a dimostrazione della stessa pochezza delle loro fonti, che in questo caso corrispondono al nome di White Lies.
Sinceramente non riesco a trovare un senso a questo Valleyheart, forse perché davvero un senso non ce l' ha. Le mezze idee di base dovrebbero costituire solide fondamenta per un album dalle così alte aspettative non riescono nemmeno a nascondere le gravi carenze in termini di personalità, lasciando i due ragazzi ormai persi a navigare in un oceano di indecisione ed imbarazzo. Se ci avessero detto che le cose si sarebbero messe così male per loro, a questo punto saremo stati disposti pure a farci piacere il disco di debutto.