Voto: 
9.5 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Etichetta: 
Verve
Anno: 
1968
Line-Up: 

John Cale - voce, viola elettrica, organo, basso, effetti
Sterling Morrison - voce, chitarra, basso, effetti
Lou Reed - voce, chitarra, pianoforte
Maureen Tucker - batteria, percussioni

Tracklist: 

1. White Light/White Heat (2:47)
2. The Gift (8:18)
3. Lady Godiva's Operation (4:56)
4. Here She Comes Now (2:04)
5. I Heard Her Call My Name (4:38)
6. Sister Ray (17:27)

Velvet Underground, The

White Light/White Heat

Il periodo successivo alla pubblicazione del full-length di debutto The Velvet Underground & Nico vede i rapporti tra la band e l'artista-manager Andy Warhol deteriorarsi: l'album aveva avuto un indesiderato ritardo di pubblicazione lungo diversi mesi, produttori e manager si erano dimostrati poco fiduciosi nel progetto conducendo un'esile e svogliata campagna marketing, tutte le copie erano state ritirate per un presunto problema di copyright sull'immagine della back-cover.
Le tensioni tra la band e Warhol giungono all'apice lungo il tour del 1967, dopo il quale Reed licenzia il manager e separa definitivamente il suo quartetto dalla cantante Nico, nonostante nel frattempo quest'ultima fosse divenuta ottima amica di John Cale.

Il nuovo disco White Light/White Heat viene registrato nel settembre 1967 in soli due giorni, raccogliendo appositamente il materiale e le idee più radicali emerse durante le ultime tese performance della band; la pubblicazione avviene nel gennaio 1968, ancora una volta per la Verve.
Pur non raggiungendo la profonda sensazione di equilibrio perfetto e innovazione eclettica della precedente opera, si tratta in ogni caso di un lavoro monumentale, egualmente fresco e inedito, nonché forse anche più eversivo.
Più influenzata dagli esperimenti sopra le righe e "freak" di Frank Zappa (il quale nel frattempo aveva fatto uscire anche il suo secondo disco Absolutely Free) rispetto all'esordio, e avendo maturato sentimenti più ribelli e anarchici, la band si fa ora trainare soprattutto dalle velleità sperimentali di John Cale, approfondendo il più possibile il discorso "psych-noise" intrapreso con i pezzi European Son e The Black Angel's Death Song.

Nel frattempo il panorama musicale si era rapidamente evoluto, e sia le provocazioni liriche (bissate dalla poesia maledetta di Jim Morrison), sia i livelli cacofonici della loro psichedelia (bissati dalle terrificanti orge dei Red Crayola) non apparivano più come innovazioni sensazionali; restavano tuttavia ancora uniche la loro etica nichilista, la loro influenza drone-minimalista mutuata da La Monte Young, e la loro insuperata nevrosi esistenziale, perfetti simboli dell'alienazione provocata dalla civiltà occidentale.
White Light/White Heat da una parte cede ad una tendenza psych in voga tra molti sperimentatori musicali della controcultura (quella di incorporare un eccentrico e neodadaista spirito "freak", nello stile di Frank Zappa e The Fugs, nella propria formula sonora), dall'altra esplode in una netta affermazione personale che rigetta tutte le caratteristiche aggiunte da Nico al precedente disco: la melodia passa in secondo piano rispetto ai paranoici tappeti e arrangiamenti rumoristici, la voce diventa solo maschile, gli spleen onirici vengono cancellati, spazio completo viene conferito a ipnosi inquietanti e baccanali dissonanti.

Con tali premesse, White Light/White Heat diventa ancora una volta uno degli album più sperimentali e influenti dell'epoca, non solo una delle più forti ispirazioni per il futuro sound "punk", ma soprattutto quello che può esser definito come il primo disco noise-rock della storia (assieme a Parable of Arable Land dei Red Crayola, album tuttavia più legato all'avanguardia e alla cultura freak): le costanti e abrasive distorsioni chitarristiche diventano infatti fondamento e anima dei pezzi, elevando il "rumore" a nuovo manifesto estetico per l'era contemporanea.
Il rumore funge soprattutto da tappeto e arrangiamento nella title-track (un rock'n'roll martellante e catchy), nella lunga The Gift (un racconto tragicomico scritto da Reed e narrato dalla voce di Cale) e in Lady Godiva's Operation (un blues-rock rimasticato e decadentemente spompato), per poi quasi scomparire nell'attimo di respiro onirico Here She Comes Now (mini-mantra che sembra un po' la versione paranoica e angosciata degli spleen del disco precedente), prima dell'apocalittico blues-rock I Heard Her Call My Name, nel quale diventa tema principale e fine ultimo delle scorribande chitarristiche.
Il gran finale e vertice dell'opera sono tuttavia i 17 minuti e mezzo della conclusiva Sister Ray, uno dei massimi capolavori della band e forse il massimo capolavoro e manifesto di tutto il noise-rock: un osceno e burroughsiano testo recitato da Reed, composto da frammenti visionari descriventi una sorta di orgia sotto sostanze stupefacenti ("He cocks and shoots between three and four, he aims it at the Sailor, shoots him down dead on the floor... Oh, you shouldn't do that, don't you know you'll stain the carpet? [...] Now who is that knocking? Who's knocking at my chamber door? Now could it be the police? They come and take me for a ride-ride... Oh but I haven't got the time-time. Hey hey hey she's busy sucking on my ding-dong. She's busy sucking on my ding-dong. Aw now do it just like Sister Ray said. I'm searching for my mainline, I couldn't hit it sideways"), è il collante che tiene assieme la terrificante jam strumentale del quartetto, un'improvvisazione trascinante, blueseggiante, e allo stesso tempo continuamente straziata e contorta da dissonanze e scariche elettriche.
La jam noise coniata con European Son acquista così una nuova coscienza, diventando un monumento all'alienazione, alla frustrazione, al nichilismo, all'orgia post-industriale, all'eros-thanatos; Sister Ray si addentra in una seduta psicanalitica indotta dal trip da eroina, allo stesso modo in cui la poco precedente The End dei The Doors si addentrava in una seduta psicanalitica indotta dagli allucinogeni.

L'importanza storica, sonora e stilistica, dell'album non sarà però (ancora una volta) premiata dal grande pubblico.
Le seguenti session vedranno Lou Reed spostarsi verso uno stile molto più melodico e pop-oriented, tentando appunto una volta per tutte di ottenere un riconoscimento dal mercato musicale, ma tale direzione sarà violentemente ostacolata dal più ambizioso e intellettuale John Cale, che proprio per questo, verso metà 1968, verrà estromesso dalla formazione da Reed stesso.
Senza più il timone sperimentale della band, l'alchimia unica che aveva portato alla nascita dei primi due album si perderà per sempre.
 

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente