- Grégoire Fray - Voce, chitarre, tastiere, compositore
- Hugues Peeters - Pianoforte, tastiere
- Julien Forthomme - Basso
- Gil de Chevigné - Batteria, elettronica
1. HTRZ
2. Rhythm.Hope.Answers
3. Keepers
4. Dédale
5. Blank Street
6. Negative Buildings
7. Traces
8. Citizen Pain
The City That Disappears
Da circa dieci anni i Thot (creatura ideata e guidata dal belga Grégoire Fray) sono impegnati in una interessante rilettura della musica industrial rock anni Novanta. Con due full-length all'attivo, vari EP pubblicati tra il 2008 e il 2012 e soprattutto grazie a remix di brani di musicisti del livello di Nine Inch Nails e Depeche Mode (indubbiamente due tra le fonti di ispirazione più evidenti per Fray, specie nel primo caso), uniti a show che conciliano musica e arte visuale, i Thot sono riusciti a farsi un nome nell'affollato underground alternativo odierno.
The City That Disappears, pubblicato dalla Black Basset Records nel 2014, è il terzo full-length del collettivo belga, e offre una proposta estremamente avvincente che recupera le sonorità dell'opera maggiore di Trent Reznor (quella compresa tra Pretty Hate Machine e The Fragile - il remix di The Hand That Feeds pubblicato nel 2010 fu realizzato proprio a causa della cocente delusione di Fray al cambio di rotta operato su With Teeth -), fatte di atmosfere aliene, suoni distorti e pesanti ben organizzati in sofisticate stratificazioni musicali, ma comunque sempre aperte a hook melodici e ritmi ballabili mutuati dalla musica elettronica e synth pop anni Ottanta.
Quel che permette a The City That Disappears di trascendere la condizione di mero oggetto per collezionisti e fan irriducibili di Reznor, oltre ovviamente all'intrinseca bontà dei pezzi e a una produzione professionale che dona potenza ai momenti più compatti e profondità alle sezioni elettroniche più distese, è comunque la creatività e l'eclettismo mostrati nell'attingere alle più disparate sonorità lungo il lavoro. Fray si dimostra infatti un divoratore di gran parte delle proposte alternative più dure degli anni Novanta, dal nu metal dei Korn (di cui recupera in particolare, oltre che la violenza in certi frangenti, soprattutto lo stile vocale eclettico e camaleontico di Jonathan Davis, per quanto non altrettanto emotivamente profondo e tormentato), allo schizofrenico mash-up di generi dei Faith No More per giungere ovviamente alla musica industriale, swingante e contaminata, di J.G. Thirlwell, oltre che conoscitore della scena elettronica e delle sue evoluzioni durante gli anni Duemila.
Così, The City That Disappears alterna agilmente esplosioni industrial rock minati da intermittenze elettroniche e sample (HTRZ, Dédale), ad aperture quasi radiofoniche (Blank Street, con pulsare elettronico, hook melodici da rave nord-europei, coda in stile The Fragile, e Negative Buildings), ad anthem elettrici come Rhythm.Hope.Answers. e Citizen Pain che, sospesi tra hardcore digitale, electro-industrial e arrangiamenti ben più sofisticati della media (sottotrame pseudo jazzate del pianoforte, strabordanti esplosioni di chitarra e synth e parentesi melodiche disturbate da glitch instabili) da far pensare addirittura a una versione per discoteche alternative dei Mars Volta, rappresentano molto probabilmente il meglio che l'album abbia da offrire.
Ovviamente, c'è spazio anche per ballate secondo la lezione del Reznor più intimista, come Keepers (con pianoforte stravolto da beat elettronici, distorsioni di chitarra e delay applicato alla voce) e Traces (ben più dura e stratificata, evolvendosi ben presto da una ballata per piano ed elettronica in un intrecciarsi di tastiere e chitarre culminante in una muraglia di distorsioni sul finale). Se non si può soprassedere sugli evidenti debiti stilistici nei confronti dei Nine Inch Nails, meno si può rimproverare ai Thot per quanto riguarda la loro capacità di realizzare un approccio all'electro-industrial creativo e sempre sorprendente, come da tempo non si sentiva.