- Jonathan Davis - voce, cornamusa
- Head - chitarra, voce
- Munky - chitarra
- Fieldy - basso
- David Silveria - batteria
Guests:
- Fred Durst - voce
- Ice Cube - voce
- Tré Hardson - voce
- Cheech Marin - voce
- Justin Z. Walden - batteria, programmazione
13. It's On! (04:28)
14. Freak on a Leash (04:15)
15. Got the Life (03:45)
16. Dead Bodies Everywhere (04:44)
17. Children of the Korn (03:52)
18. B.B.K. (03:56)
19. Pretty (04:12)
20. All in the Family (04:48)
21. Reclaim My Place (04:32)
22. Justin (04:17)
23. Seed (05:54)
24. Cameltosis (04:38)
25. My Gift to You (+ Earache My Eye) (15:40)
Follow the Leader
Dopo Life Is Peachy, i Korn si accorgono di essere sull'orlo di un ristagno creativo, così decidono di dare la prima svolta al loro sound.
Innanzitutto cambiano produzione, abbandonando Ross Robinson in favore di Steve Thompson e Toby Wright; in secondo luogo scrivono canzoni molto più "heavy" e "metal" nel senso classico del termine, ma anche più sonoramente mature e potenti, innestandole con più distorsioni, dissonanze, e svariati effetti elettronici; ed infine, amplificano la componente hip-hop del proprio sound (ad ogni modo sposandola alla perfezione con la componente inquietante/dark e la violenza da incubo).
Il risultato è Follow the Leader (Immortal/Epic, 1998), terzo album del gruppo e disco della loro consacrazione totale (vendite superiori ai 5 milioni di copie solo negli USA).
Follow the Leader non solo sdogana il sound cosiddetto nu-metal alle masse e al mainstream, ma negli anni subito successivi sarà preso alla lettera come un libro sacro che detta le coordinate stilistiche a chi vuole suonare questo genere, raggiungendo un estremo livello di influenza. E mai titolo fu più azzeccato: "Follow the leader" è una vecchia filastrocca infantile, quindi simbolica delle ossessioni di Davis (soluzione ripresa da Shoots and Ladders, uno dei pezzi più rappresentativi del loro primo disco), ma è anche una frase di auto-affermazione nel calderone andatosi a creare nell'alternative-metal, dal momento che senza dubbio i Korn sono leaders, e non followers, all'interno dello stesso, e vogliono evidentemente rendere chiaro il concetto.
Il disco comincia con la traccia numero 13. Le precedenti 12 sono dei brevi silenzi che, tutti assieme, formano un minuto; questo minuto di silenzio è dedicato a Justin, un giovane fan che in punto di morte espresse il desiderio di vedere i Korn, e a lui è anche dedicata la ventiduesima traccia, dal titolo Justin.
L'album si apre dunque in realtà con It's On!, la tredicesima traccia, che fa notare subito il rinnovato stile della band, dalle cadenze panzer estremizzate nella potenza grazie ad un nuovo tipo di produzione. Ad ogni modo tutto ciò è più chiaro nella successiva Got the Life, in cui le chitarre suonano distorte in modo quasi elettronico, mentre Davis narra un testo sull'ego e sulla religione lasciandosi andare al consueto mix di melodie, sospiri, urla e vocalizzi borbottanti in stile Twist, e il battito della batteria di Silveria rasenta quasi la disco-music.
La successiva Freak on a Leash, che diviene in breve un celebre singolo, resta probabilmente il miglior pezzo mai scritto dai Korn dopo Daddy; infarcito di effetti elettronici su chitarre e voce, sfodera melodie memorabili, repentini cambi di ritmo, bassi acuminati, e dopo il secondo chorus esplode con una carica devastante e inarrestabile.
Segue a ruota Dead Bodies Everywhere, violento dramma malato introdotto da un carillon, in cui Davis descrive i propri incubi e visioni di morte e cadaveri, simpatici ricordi che gli ha lasciato il mestiere di coroner quando era forse troppo giovane per cose simili.
Children of the Korn, prima traccia in cui può essere sentita esplicitamente la grossa importazione di rap e hip-hop nel sound della band, vede ospite al microfono Ice Cube, che rappa delle violente strofe sulla mancanza di ideali e abbondanza di deviazioni nelle nuove generazioni, mentre Davis si diverte a distorcere la voce emettendo versi e grida sempre più bizzarri; la musica è sostenuta ancora una volta da una sezione ritmica pesante e tagliente, dalle opprimenti distorsioni chitarristiche e dagli effetti elettronici.
B.B.K. e Pretty sono altri due episodi positivi, il primo abbastanza catchy e compiaciutamente grottesco, il secondo più maturo e complesso, nonché immerso in una fluidità schizoide.
All in the Family è la seconda traccia rap-metal del lavoro; stavolte ospite è Fred Durst dei Limp Bizkit (gruppo "lanciato" dagli stessi Korn), che si alterna al microfono con Davis in una serie di intricati rap che hanno come scopo parodiarsi ed insultarsi a vicenda. L'originalità (rispetto agli standard del periodo) viene intaccata solamente dal chorus, che melodicamente suona quasi identico a quello della precedente Children of the Korn.
L'album prosegue con la devastante triade di Reclaim My Place (folle, carica di rabbia e frustrazione), Justin (distorta digitalmente, disperata, cadenzata in modo iper-violento a mo' di panzer) e Seed (leggermente più catchy delle precedenti, ma altrettanto violenta), che mantiene il disco su di un ottimo livello qualitativo.
Poco prima della chiusura è presente Cameltosis, un'altra traccia di rap-metal (stavolta come guest al microfono c'è il rapper Tré Hardson dei The Pharcyde), interessante nei suoi esperimenti melodici, ma nel complesso non al livello delle altre due.
Il disco termina poi con la cupa e apocalittica My Gift to You, pezzo di una violenza maestosa grazie alle pesanti e lente ritmiche (e ad un riff portante che ricorda la Seasons in the Abyss slayeriana, ma in versione ancora più opprimente e pesante), in cui la voce di Davis suona tetra, bassa e infernale, e le cornamuse che avvolgono l'efferatezza degli strumenti non fanno che accrescere il senso di angoscia trasmesso.
Dopo un lungo silenzio, arriva la solita traccia nascosta: stavolta consiste in un demenziale dialogo che introduce Earache My Eye, vero punto finale del disco, una cover ultra-violenta del tema musicale del film Up in Smoke, datato 1978; in questa traccia ognuno dei componenti dei Korn suona uno strumento differente dal suo solito, a dimostrare ancora una volta la versatilità del gruppo.