- Gavin Hayes - Voce, chitarra
- Drew Roulette - Basso
- Mark Engles - Chitarra
- Dino Campanella - Batteria, pianoforte
1. Pariah (04:07)
2. Drunk Slide (01:27)
3. Ireland (03:41)
4. Stamp of Origin: Pessimistic (00:50)
5. Light Switch (03:30)
6. Gathering Pebbles (4:59)
7. Information (05:45)
8. Stamp of Origin: Ocean Meets Bay (00:30)
9. Saviour (03:56)
10. R U O K? (02:12)
11. I Don't Know (03:45)
12. Mourning This Morning (05:41)
13. Stamp of Origin: Take a Look Around (00:58)
14. Long Days and Vague Clues (01:52)
15. Cartoon Showroom (04:18)
16. Quotes (06:04)
17. Down to the Cellar (03:41)
18. Stamp of Origin: Horizon (02:20)
The Pariah, the Parrot, the Delusion
The Pariah, the Parrot, the Delusion (Ohlone/Independent Label Group, 2009), quarto full-length dei californiani Dredg, presenta a prima vista un inganno: la sua struttura simil-concept, con tematiche liriche ricorrenti e pezzi "reali" separati da vari brevi intermezzi, sembra rappresentare un ritorno di forti influenze prog-rock nel sound della band, che invece è cambiato poco o nulla rispetto alla svolta catchy del precedente Catch Without Arms.
Le prime tracce del disco mostrano comunque uno stile discreto, sorta di versione edulcorata dei pezzi più alternative-rock di Leitmotif, con la quasi-title-track Pariah (seguita dall'intermezzo digestivo Drunk Slide) e la successiva più coinvolgente Ireland (con seguente intermezzo digestivo Stamp of Origin: Pessimistic), arrivando a centrare il pieno coinvolgimento con l'energica ed emotiva Light Switch.
Tale incipit in realtà confonde, dal momento che pare introdurre una versione più mainstream e pop del loro capolavoro Leitmotif prendendo tuttavia almeno un po' le distanze dalle melodie più corrive di Catch Without Arms, ma i successivi pezzi mettono in chiaro che quella fastidiosa patina radio-friendly è stata tutto fuorché distanziata: Gathering Pebbles e Information riprendono esattamente quegli stessi difetti, così come la più emo-pop Saviour (che si impegna presto ad accantonare gli accenni stratificati e dissonanti sbucanti brevemente a metà traccia).
L'unico momento a portare nuovamente una certa freschezza, ovvero la coinvolgente ed energica I Don't Know, arriva prima del crollo definitivo rappresentato dalle varie Mourning This Morning, Cartoon Showroom e Quotes, semplici pop-rock con leggere influenze emo-core e alternative-rock, che nei momenti migliori sembrano un riciclo dei Taproot ed in quelli peggiori un riciclo degli U2.
Un tentativo non troppo riuscito di inglobare alcune nuove tendenze è la seguente Down to the Cellar, sostanzialmente una strumentale post-rock che ormai non aggiunge nulla a quel panorama, mentre dei vari intermezzi che ricorrono lungo il disco riescono a dire qualcosa di interessante forse solo la quasi post-rock R U O K? (con un trascinante arpeggio portante) e Long Days and Vague Clues (con violini e pianoforte da freak show).
I Dredg hanno deciso di continuare lungo la loro scia più "rock" e vicina al formato-canzone, ma senza volere o riuscire ad abbandonare l'anima più pop, noiosa e già sentita che emergeva lungo soprattutto la seconda metà di Catch Without Arms, e anzi, in molti momenti i quattro musicisti sono anche riusciti a peggiorarla, privandola degli spunti più energici e catchy che pur erano riusciti a partorire le varie Bug Eyes o Hung Over on a Tuesday; di composizioni davvero coinvolgenti (come Ode to the Sun) o davvero emotive (come Matroshka), poi, non c'è proprio traccia, e il tutto si riduce ad un alternative-rock molto radio-friendly e abbastanza spento, il cui unico pregio è di risultare più elegante e autoriale rispetto alla media del mainstream.
L'album è dedicato a Chi Cheng, bassista dei Deftones (che sono stati una delle principali influenze sui primi lavori della band) rimasto vittima di un grave incidente stradale nello stesso periodo delle registrazioni.