- Jørgen Munkeby - Voce, chitarra, sassofono
- Håkon Sagen – Chitarra
- Tor Egil Kreken - Basso
- Torstein Lofthus - Batteria
- Bernt Moen - Tastiere, sintetizzatori
1. I Won't Forget
2. The One Inside
3. My Dying Drive
4. Off the Hook
5. Blackjazz Rebels
6. How Your Story Ends
7. The Hurting Game
8. Walk Away
9. Paint the Sky Black
One One One
A tre anni dalla pubblicazione di uno dei dischi più particolari e notevoli di tutto il panorama metal contemporaneo, vale a dire il grandioso Blackjazz che nel 2010 aveva scombussolato la scena estrema più sperimentale con uno schizoide mix di free jazz, black metal, harsh noise e futurismo industriale, gli Shining norvegesi firmano il loro sesto capitolo discografico con One One One, rilasciato dalla Prosthetic Records l'8 aprile 2013.
Per quanto superficialmente l'album sembri muoversi con una certa continuità rispetto alle coordinate del precedente Blackjazz, gli Shining di One One One sono un gruppo più fiacco nel dispiego dei mezzi e più prevedibile negli sviluppi delle composizioni. Gli arrangiamenti cervellotici e le strutture non lineari che avevano fatto la fortuna di Blackjazz, per quanto forse eccessivamente autoindulgenti in certi momenti, fornivano alla musica degli Shining una dimensione monolitica, oltre che una personalità indiscutibile: al contrario, One One One compie numerosi passi indietro, riducendo l'impatto distruttivo del loro muro sonoro e banalizzandone la formula. È così che il sassofono del leader Jørgen Munkeby viene relegato a ruoli di secondaria importanza, giusto a guidare le linee melodiche come fosse una terza chitarra, ergendosi su un impianto musicale che, lontano dalla devastazione dei dischi precedenti, devolve ora a connubio di certo industrial metal (memore un po' dei momenti più cibernetici dei Meshuggah, un po' dei momenti più violenti di Nine Inch Nails e Ministry) e di una versione edulcorata del mathcore degli ultimi, sterili, Dillinger Escape Plan.
Ma alla fine la sensazione che rimane è quella di star ascoltando un disco che si sta sforzando di ripercorrere una strada ormai fuori dalla portata del complesso: ciò che si avverte, sotto ai poliritmi della batteria triggerata e agli assoli dissonanti della chitarra, è un gruppo stanco che cela attraverso queste finezze tecniche una mancanza di idee preoccupante, oltre che una linearità e vacuità musicali ben più pronunciata di quanto gli Shining stessi vorrebbero far credere.
In effetti, spogliando i brani dei vari orpelli elettronici e degli assoli di sassofono, ne rimane una struttura annacquata che ricalca ora i clichè dell'hard rock, ora quelli dell'ala più vicina alle classifiche dell'alternative rock (in certi momenti, addirittura, il termine di paragone più vicino sembra essere la musica dei Muse), e anche il minutaggio (ridotto drasticamente rispetto a quanto mostrato su Blackjazz) tradisce la banalizzazione delle strutture dei brani e l'allontanamento dal free jazz in favore di un approccio ben più accessibile.
Non mancano comunque occasionali lampi di creatività che testimoniano come, nonostante tutto, quelli di One One One siano gli stessi Shining di Blackjazz: in particolare nella seconda metà del disco (con picchi in How Your Story Ends, che introdotta da un solo di sax si evolve in uno schizofrenico brano metal a metà strada tra le disarmonie dei Voivod e l'epilessia degli Strapping Young Lad, e dall'esplosione industriale di The Hurting Game, stravolta da delle strazianti partiture di sassofono - forse le uniche che mostrino effettivamente l'esperienza maturata dagli Shining come complesso free jazz durante la fase embrionale della loro carriera -), gli Shining sembrano risollevarsi dalla mediocrità che generalmente domina i pezzi di One One One; ma all'ascolto di brani come I Won't Forget, The One Inside oppure Off the Hook è difficile non avvertire l'idea che la band non stia facendo altro che tentare di spacciare brani in certi momenti quasi radiofonici per composizioni ambiziose e cervellotiche.
In tutto questo, c'è spazio perfino per una citazione diretta a Blackjazz in Blackjazz Rebels, giusto per confermare un'ultima volta come One One One ne sia una diretta emanazione pensata per coloro che non hanno intenzione di farsi venire il mal di testa ascoltando pezzi come Omen o Blackjazz Deathtrance. Blackjazz trovava il suo limite in un oltranzismo spietato, che alle volte dava l'idea di un gruppo alle prese con un esperimento di cui non conosceva ancora i possibili risultati; in One One One il gruppo risolve infelicemente calando quel suono futuristico e moderno su uno scheletro di rock scontato e prevedibile, mantenendo quindi i passaggi a vuoto del capitolo precedente e al contempo cassando ciò che più di ogni cosa ne rendeva stimolante l'ascolto: la sua indecifrabilità.