- Tim Cohen
- Secondborn
- Big Jim Kim
- The Onlys
- Noelle Cahill
- Alicia
01. I Am Never Going to Die
02. New House in Heaven
03. The Flower
04. Don't Give Up
05. Legerdemain
06. Sweetheart
07. Season of Fires
08. Hey Little One
09. The Spirit's Inside
10. Top on Tight
11. Tunnel of Love
12. I Looked Up
Tim Cohen's Magic Trick
Ci sono persone che, in musica, per egoistici quanto antipatici apriorismi ripudiano tutto ciò che è stato prodotto dal duemila ad oggi. Palloni gonfiati che si atteggiano da sbruffoni, idolatrando le magne opere del passato e buttando fango in automatico su tutte le release nuove più interessanti, o in particolare su quelle che propongono suoni avanguardisti e mai sentiti. Da quando poi questi pregiudizi sono stati diffusi a più riprese sul web, è diventata, come si compete in questi casi tutti italiani, una vera e propria moda. Insopportabili. Esiste altresì un' altra categoria di elementi che vivono, letteralmente, al passato. Riuscendo a mostrarsi in maniera incredibilmente aperta e sensibile rispetto al panorama odierno, sentono, ogni qualvolta prendono uno strumento in mano, l' impulso ossessivo di scrivere canzoni allo scopo di rievocare sapori ed emozioni perse per strada, o magari proprio trascurate con l' avvento di nuove tecniche di registrazione e strumenti potenzialmente più prestanti ad un genere come il rock.
Nel duemilaundici, l' uomo per eccellenza addetto alla mercé degli oldies sembra essere Tim Cohen. Nel caso specifico, il barbuto americano non riesce proprio a darsi una calmata. Fatto che, contrariamente ad altri casi ma in perfetta coincidenza con la Zola Jesus di due anni fa, lo sta elevando pure a cantautore di un certo livello. Non pago di suonare già con i quotatissimi Fresh & Onlys, dove collabora alla stessa maniera ( sia in fatto di scrittura che di arrangiature) con gli altri tre membri e con cui ha inciso in meno di due anni qualcosa come tre album ed una serie di EP, nelle pause che occorrono tra un concerto e l' altro trova pure il tempo per far uscire dischi da solista, coadiuvato a tratti dagli stessi Onlys, più altri membri dell' equipaggio. Solo a fine duemiladieci è stato notato anche in questa sua inedita veste e celermente "acquistato" dalla Captured Tracks, un must quando si tratta di certi suoni, peraltro in questi anni persistentemente evocati solamente dalla stessa, che può vantare in catalogo nomi come Minks, Beach Fossils, Wild Nothing, Blank Dogs, Thee Oh Sees e Craft Spells ( si spazia dal post-punk all' indie-pop, ma mantenendo sempre una determinata etica vintage). E così, a fronte di Laugh Tracks, full-lenght di debutto dove Tim univa uno psych-folk a melodie di stampo piuttosto jazzistico, ecco arrivare a braccetto Tim Cohen's Magic Trick e Bad Blood, rispettivamente un album ed un EP, contenenti l' uno dodici tracce e l' altro otto.
Andando ad analizzare nel dettaglio il suo secondo album, chiamato appunto Tim Cohen's Magic Trick, l' intento di Tim Cohen è quello di spostare l' asticella un poco più in alto, provando a sondare di conseguenza nuovi terreni, che non siano il garage sotto forma di beat di Play it Strange ( ultimo disco dei Fresh & Onlys) ma nemmeno la psichedelia affrontata in precedenza con il primo disco. Niente di tutto ciò: il suo secondo disco solista infatti si tinge con i colori dei sixties, ed in particolare con quelli di Velvet Underground, di cui si avverte un amore quasi ossessivo, del folksinger Donovan, dei Kinks ( precisamente quelli dell' immarcescibile The Kinks Are the Village Green Preservation Society) e degli immancabili Byrds. Il Nostro, che nel frattempo riesce pure a comporre testi paragonabili al John Lennon più ottimista ed emotivo, decide di trasmettere queste sonorità, già di per sé fragili di maneggiare, attraverso un cantato che, cori a parte, somiglia molto ad un eco generale, cui fa capo un mood tenuto costantemente in vita da un uso minimale delle corde vocali, mantenendo anche una presenza mai ingombrante, ma anzi essenziale e decisiva. Il folk/rock dei nomi sopra citati poi, in mancanza di altre componenti talmente decisive per poter parlare di gruppo, riesce ad amalgamarsi ad una strana forma di pop da cameretta, che in Tim Cohen's Magic Trick riesce a galleggiare sapientemente tra esecuzioni acustiche ed altre giocate sulle componenti elettroniche.
Ed è proprio nel mantenere una certa omogeneità tra brani non sempre suonati allo stesso modo che l' album conquista, riuscendo a portare su disco una estetica lo-fi ed un modo languido nel cadenzare gli strumenti tipiche proprio degli anni sessanta. La opener, I Am Never Going to Die, sintonizzerà le giovani menti sui canali condotti dai Sonny & The Sunset per la flemma country-rock e le pause tra un verso e l' altro ben cadenzate. New House in Heaven stende un tappeto di psichedelia brillantinata, che a dispetto dei sinth ricorda una versione meno distratta dei Tame Impala, mentre la successiva The Flower, riprendendo gli abbinamenti precedenti, si rivela in realtà un giardino ricco di tanta acustica ben curato da un Tim Cohen qui in versione Lou Reed. In Don't Give Up persiste il dolce profumo di ambrosia floreale, ma l' impressione stavolta è quella di avere davanti una rilettura della rilettura fatta dai Bird and the Bee a Daryl Hall e John Oates, non fosse per il cantato rauco che qui mal si sposa con la facilità pop del pezzo. Legerdemain è uno dei picchi massimi dell' album, perfetto nei rimandi nemmeno troppo velati a Ty Segall ed altrettanto ordinato nell' inserimento di fiati e cori gospel nel crescendo finale di rumori. E se Sweetheart ripete i primi passi del disco, Season of Fire sembra uscita da una jam session tra un blues-man ed un cantore il cui tasso di espressività emotiva ha raggiunto livelli insostenibili, producendo tra l' altro una gradevole dipartita di garage 'n' soul. Hey Little One è l' ennesima prova che i DIY lo-fi man del calibro di Moldy Peaches e Dan Johnston abbiano portato in dote molto al panorama americano odierno, ma che anche i Coral, nel loro piccolo, abbiano dato una scossa decisiva per il recupero della prima forma di post-punk, meno caotico e più ipnotico ( aggiungete dei tamburelli per avere The Spirit's Inside). Top on Tight, montata su una base hip-hop, è un compendio composto solamente da una semplice melodia, dai tratti vagamente napoletani, mentre la successiva Tunnel of Love è una delle poche tracce suonate con gli Onlys, e non c'è affatto bisogno di andare a leggerlo sulle info ( la tipica melodia beach folk è chiara e ben impressa).
La fine del disco, coincidente con la ballata riassuntiva I Looked Up, riesce a mantenere, se non rafforzare, i singoli posizionati tutti all' inizio, riuscendo pure ad alzare il tiro in un paio di occasioni ( Season of Fire, Tunnel of Love) prima di spegnersi con i tamburelli finali. La musica di Tim Cohen, per quanto già sentita ed obsoleta, riuscirà a scorrere sincera e fluida persino alle orecchie dei più grandi, abituati di fronte a questo tipo di dischi a storcere il naso. Tim Cohen's Magic Trick invece rafforza la mia convinzione che aveva preso forza con le ultime sue uscite: Tim Cohen è uno dei pochi personaggi del panorama indie che sà scrivere ed arrangiare canzoni con la stessa identica maestria. Onnipresente, sembra aver vissuto abbastanza per raccontare e collegare i barlumi psichedelici dei sixties con il folk americano degli anni novanta. E tutto questo non può che coincidere con un bel voto.