01. The Black Keys - Dearest (2:06)
02. Fiona Apple and Jon Brion - Every Day (2:19)
03. Paul McCartney - It’s So Easy (4:35)
04. Florence + The Machine - Not Fade Away (4:02)
05. Cee Lo Green - (You’re So Square) Baby, I Don’t Care (1:31)
06. Karen Elson - Crying, Waiting, Hoping (2:25)
07. Julian Casablancas - Rave On (1:55)
08. Jenny O. - I’m Gonna Love You Too (2:11)
09. Justin Townes Earle - Maybe Baby (2:06)
10. She & Him - Oh Boy (2:18)
11. Nick Lowe - Changing All Those Changes (1:41)
12. Patti Smith - Words Of Love (3:20)
13. My Morning Jacket - True Love Ways (3:25)
14. Modest Mouse - That’ll Be The Day (2:15)
15. Kid Rock - Well…All Right (2:09)
16. The Detroit Cobras - Heartbeat (2:20)
17. Lou Reed - Peggy Sue (3:19)
18. John Doe - Peggy Sue Got Married (3:57)
19. Graham Nash - Raining In My Heart (3:30)
Rave On: Buddy Holly
Domanda ricorrente: chi era Buddy Holly e che cosa ha lasciato a questa beneamata musica? Copio-incollo un' affermazione di Gerard Cosloy, membro della Matador records, che lo stesso pronunciò quando i Sonic Youth nel 2009 si accasarono alla suddetta label dopo nientemeno che vent' anni alla Geffen, sostituendo solamente il nome dell' artista: "Buddy Holly helped create the environment we live in now". Nulla di insensato. Prima di lui infatti nessuno aveva saputo suonare rock senza comportarsi da rockstar. Giacca, cravatta, ciuffo e occhiali da nerd: fuori dal palco probabilmente avrebbe preso più schiaffi che applausi. Un Sinatra con la chitarra, che faceva del rock una forma di espressione affatto brutale. Scriveva ballate, ma odiava il lento. Più precisamente, odiava fare il solista. Rock, anche per questo: è stato sempre accompagnato da una band, che siano stati i Crickets ( vitali per il suo lancio e sviluppo) o i The Three Tunes ( con cui condividerà comunque poco tempo).
Nel 1956, dopo che la Decca Records lo mette sotto contratto, forma un quartetto che solo in seguito assumerà appunto il nome di Crickets, e con il quale muoverà i primi e decisivi passi. Le attività di recording - all' epoca molto più complesse e difficoltose - permettono di appurare il talento di Holly ( chitarra, voce), Niki Sullivan ( chitarra), Joe B. Mauldin ( basso) e Jerry Allison ( batteria), quattro ragazzi amanti del rock and roll di Elvis e Chuck Berry ( proprio in quegli anni usciva con la doppietta terrificante Maybellene - Roll Over Beethoven) che sembrano essersi impossessati delle migliori anime bluegrass e folk, le cui prime manifestazioni, Blue Days, Black Nights e Modern Don Juan, evidenziano tutto il potenziale di cui erano capaci, potenziale che sfocierà ad esempio nel finale con la versione di I Fought the Law, una canzone che viene tutt' ora tramandata di gruppo in gruppo ( se non erro, gli ultimi dovrebbero essere i THE GANG). Il proseguo della sua fulminante carriera narra di un Buddy Holly sempre più solista approdare persino al Greenwich Village per suonare e registrare nuovi pezzi semi-acustici, tra cui il più brillante sarà senza dubbio Crying, waiting, hoping. Il suo percorso, iniziato nel 1957 con l' album The "Chirping" Crickets, subisce una tragica svolta il 3 Febbraio 1959, a causa di un incidente aereo.
I soli tre anni di attività, per rispettivi tre album, saranno sufficienti ad incoronarlo come icona rock e successivamente farlo entrare nella prestigiosa Rock and Roll Hall of Fame. Nemmeno un mese dopo la sua morte usciva The Buddy Holly Story, la prima di una serie infinita di raccolte ( circa ventitre in totale) mirate a ricordare uno dei personaggi più importanti del rock, senza dimenticare la celebre Buddy Holly dei Weezer, anch' essa passata per gli annali della storia. Per chi non ne ha mai abbastanza, ma anche per coloro il cui eco non è ancora pervenuto, in occasione del suo 75° compleanno virtuale arriva Rave on: a Tribute to Buddy Holly, una raccolta di diciannove cover effettuate da grandi ( Lou Reed, Paul McCartney, Graham Nash, Patti Smith), giovani, per lo più appartenenti al mondo indie ( Black Keys, Florence + the Machine, Fiona Apple, Modest Mouse e She & Him) e soliti irriducibili ( Kid Rock, My Morning Jacket e Julian Casablancas). Ecco, Rave On: a Tribute to Buddy Holly dovrebbe servire a questi e a quelli per far capire che un ponte che colleghi gli anni '50 con i suoni odierni esiste, ed è pure credibile. Gli artisti della raccolta invece paiono più intenti a mettersi in mostra con cover ruffiane e affatto spontanee, in cui ognuno prende il suo pezzo preferito e lo violenta a sua immagine e somiglianza, facendo scaturire alla fine da questo un quadro alquanto eterogeneo e caotico, dove chi prevale alla fine è un nonsense dettato esclusivamente da egoismi che aiuta solo a mettere in cattiva luce gli autori di questo omicidio ai danni di Buddy Holly. Le canzoni, più o meno le solite note, suonano in modo diverso l' una dall' altra, tanto che sembra impossibile capire a primo impatto le più credibili e gustose.
Il brano che lascia più di qualche spanna a tutti gli altri è quello suonato dall' ex-scarafaggio Paul McCartney, che memore delle fortunate cover effettuate in passato ( il bersaglio preferito era Chuck Berry) rende i quattro minuti di It's So Easy una delizia in un formato snello di cantautorato, manifestando allo stesso tempo una naturale attitudine nella ballata con un rock potente e corale. Una parte di quello che era Buddy Holly: ci voleva tanto? Agevole anche il pianobar adornato allo stile dei fifties che i talentuosi She & Him evocano attraverso la cover di Oh Boy!, effettuata con garbo e senza per altro snaturarsi troppo. L' impronta che il duo ha lasciato all' America attraverso i due loro dischi purtroppo è presente anche in questo volume, e si manifesta in maniera pedissequa con gli interventi di Karen Elson ( la moglie di Jack White, per la cronaca) e Jenny O., autrici rispettivamente di Crying, Waiting, Hoping e I'm Gonna Love You Too, due brani in fotocopia, solo che il primo viene di poco attualizzato con violini e fiati e l' altro suonato con un mood western. Pessime anche le versioni di Dearest e Everyday da parte dei Black Keys e del duo Fiona Apple and Jon Brion, che riescono a far assopire l' ascoltatore persino in apertura con due esecuzioni effettuate con l' entusiasmo di chi timbra il cartellino, con i primi che riescono pure nell' intento di evocare ( inutilmente) i Vampire Weekend. Not Fade Away, a cura dell' albionica Florence Welch, viene trattata almeno in modo simpatico, ma la sensazione è quella di assistere a qualcosa di incoerente e molto lontano al pragmatico Buddy Holly. Inutili e sbrigativi gli apporti dati da Cee Lo Green e Julian Casablancas, che improntano con il loro solito stile le versioni di ( You're so Square) Baby, I Don't Care e Rave On, facendolo però con troppo poco nerbo.
Arrivando alla seconda parte del disco, improntato su un alternative-country di puro stampo americano, da segnalare l' onesta esibizione di Justin Townes Earle in Maybe Baby e lo scatenato power pop delle origini di Nick Lowe, impegnato nella rivisitazione di Changing all Those Changes. L' eterea Patti Smith nella sua personale Words of Love da poetessa qual'è inizialmente sparge in circolo fumogeni carichi di pathos, per poi rimboccare le coperte al finale con un pop cullato e cantato alle stelle. I camaleontici My Morning Jacket invece creano tutt' altro umore, irritando nei tre minuti di True Love Ways per il folk scontato rigurgitato sottoforma di anthem, adatto solamente per un' ulteriore soundtrack di Balla coi Lupi. L' impronta lasciata dai Modest Mouse invece è inconfondibile e chiara: That' ll Be the Day in mano loro diventa uno dei loro spigolosi anfratti indie/rock, che in un' esibizione forse fin troppo sbrigativa lascia anche un alone malinconico perfetto. Il confusionario Kid Rock macchia Well... All right di un southern rock senza capo nè coda, che si estingue in due minuti scarsi di handclapping snob, mentre i Detroit Cobras con un insipido pop-rock in Heartbeat riescono pure a mettere in cattiva luce la loro già pessima reputazione di garage-rocker di secondo livello. Lou Reed, uno dei più attesi ( anche perché, non lo dimentichiamo, alle prese in questo momento con il migliore album di sempre), alla fine risulta il peggiore dei diciannove artisti ( meglio mettere un forse, perché tra tanta penuria ci si può anche sbagliare...) trasformando la cristallina Peggy Sue in un pezzo di rock classico dal sapore di falso, mantenendo fino alla fine lo stesso incedere robotico che caratterizza i primi caotici secondi. Il naturale sequel Peggy Sue Got Married, a carico di John Doe, viene sciupato dallo stesso, che per tutta l' esibizione non fa altro che scimmiottare Bob Dylan, mentre nel finale Graham Nash solleva di poco le sorti della raccolta con un discreto act voce e piano per Raining in My Heart, rappresentando almeno una valida alternativa all' originale.
Alla fine dei cinquanta minuti - che divisi su diciannove brani risultano davvero scarsi - Rave On: Buddy Holly dimostra di essere una compilation troppo diversa nelle sue singolari parti, accogliendo nelle nomenclature un numero troppo alto di artisti che, a causa di una sfrenata passione per Buddy Holly o semplicemente per interventi volutamente poco curati o addirittura trascurati, steccano clamorosamente non riescono nemmeno ad accappararsi una mai come in questi casi facile sufficienza. Tutto ciò evidenzia il chiaro fatto che Buddy Holly, grandi e giovani che siano, lo hanno ascoltato un pò tutti, ma, all' interno di questa raccolta, sono davvero pochi quelli che sono stati influenzati ( direttamente o indirettamente) dalle lezioni di uno dei maggiori esponenti del rock corretto. Il mio consiglio è quello di godere di questi singolari episodi, senza pretendere troppo da una raccolta che, tutto sommato, nonostante il messaggio che si era preposta, non ha molto da dire.