- Frank Turner – vocals, guitar
- Ben Lloyd – guitar, mandolin, harmonica
- Tarrant Anderson – bass guitar
- Matt Nasir – piano, organ, guitar, vocals
- Nigel Powell – drums, percussion, vocals
01. Live Fast Die Old (4:16)
02. Try This At Home (1:53)
03. Dan’s Son (1:57)
04. Poetry Of The Deed (3:25)
05. Isabel (4:06)
06. The Fastest Way Back Home (3:26)
07. Sons Of Liberty (4:28)
08. The Road (3:58)
09. Faithful son (3:35)
10. Richard Divine (3:49)
11. Sunday Nights (4:04)
12. Our Lady Of The Campfire (3:59)
13. Journey Of The Magi (4:16)
Poetry of the Deed
La vena creativa dei cantautori, quando è in piena, è ben difficile da arginare, tanto più se la natura prima di quest’ultimi si nutre di vita vissuta e di esperienze quotidiane, unendole secondo l’immaginario collettivo proprio degli ultimi retaggi della famigerata beat generation, secondo quella mentalità ribelle e bucolica al contempo tanto cara ai songwriters del primi anni ’70. 3 anni, 3 album, una crescita umana ed artistica tangibile tanto nelle partiture quanto nelle liriche: stiamo parlando di Frank Turner, 27enne folk singer britannico (compirà 28 anni esattamente il 28 dicembre prossimo), ex leader della hardcore band Million Dead, e del suo nuovissimo Poetry Of The Deed. L’aspetto più interessante di quest’ultimo lavoro è certamente l’approccio corale col quale il musicista inglese abbandona definitivamente la propria dimensione da menestrello scanzonato e solitario per approdare ad un livello cantautoriale superiore, più articolato, forse meno spontaneo ma certamente più ragionato, del quale riesce ad avere immediatamente, e con sorprendente naturalezza, ragione. Dopo un esordio intimista e carezzevole quale il debut Sleep Is For The Week e la definitiva apoteosi di Love, Ire & Song, molto più robusto ed elettrico del suo predecessore, Poetry Of The Deed prosegue magnificamente il percorso di crescita di questo giovane songwriter originario della terra d’Albione, per la prima volta alle prese con una vera e propria band alle sue spalle e strumenti musicali certamente inediti per un artista di spiccata formazione hardcore, come possono essere gli archi o lo stesso pianoforte (i romantici saliscendi di Isabel).
Il risultato di questa vera e propria sfida, artistica e personale, è un album sovente complicato, più spesso ammaliante, di quando in quando spinoso, che lancia schegge di nostalgico folk rock (il breve duetto tutto chitarra e armonica della dolcissima Dan’s song), che si abbandona ad energici assalti street punk (l’ironica Don’t Try This At Home, dai richiami quasi country), che sa destreggiarsi con innata disinvoltura dentro ammalianti frammenti indie, pop e persino blues, senza mai scadere nel ritrito, nel superfluo, nell’eccesso. Elemento dominante della scena sono, come sempre le chitarre acustiche, sempre in primo piano, rigorosamente in bella vista, le quali, insieme ad una batteria finora mai così presente, danno vita a coinvolgenti anthems di natura tipicamente rock ma dalle studiate reminiscenze folk, come l’ironica opener Live Fast Die Old, dove si odono brillanti rintocchi di pianoforte e fa la sua prima comparsa persino l’organo hammond, o la trascinante titletrack Poetry Of The Deed, in assoluto uno dei migliori episodi dell’album, così come la sensazionale The Road, doverosamente primo singolo estratto.
Purtroppo non mancano però momenti meno convincenti, soprattutto nella sezione centrale del disco, laddove l’innata spontaneità di Frank Turner sembra inchinarsi a strutture canore eccessivamente studiate, talvolta un po’ soporifere, talaltra persino posticce: è il caso soprattutto di The Fastest Way Back Home, del tutto incolore e monotona; della prima parte della militaresca Sons Of Liberty, almeno fino al trionfale ingresso in scena dei violini, che, in un intermezzo trepidante e coinvolgente, rendono straordinario omaggio alla terra di San Patrizio; della già citata Isabel, piacevole senz’altro ma ugualmente abbastanza derivativa.
Ciò che rende meglio l’idea della crescita artistica del cantautore londinese è la coppia costituita da Faithful Son e Richard Divine: mentre la prima ci riconduce con la memoria alla delicatezza intimista del debut album, riproponendo in tutta la sua purezza la simbiosi primitiva di un uomo e la sua chitarra, la seconda ci offre invece un’atmosfera completamente inesplorata nei precedenti lavori, dove una batteria quasi marziale si intreccia alle trame di un pianoforte mai così incisivo (soprattutto nell’intermezzo, da apoteosi) producendosi in ritmiche saltellanti dai volteggi quasi blues. Fascino stilistico e intensità emotiva non mancano nemmeno alla tracce conclusive: la malinconica e accomiatante Sunday Nights e l’intrigante e suggestiva Our Lady Of The Campfires sull’onda della succitata Richard Divine, l’avvolgente e sussurrata Journey Of The Magi sulle note di Sleep Is For The Week.
Questa contrapposizione così netta rivela forse nella sua evidenza il grande dilemma che soggiace ad un lavoro intenso come Poetry Of The Deed: se, da un lato, è certamente encomiabile l’idea di esplorare nuovi orizzonti stilistici, introducendo letteralmente nuovi strumenti al proprio repertorio di one man band, dall’alto lato pare ogni tanto che l’autore perda di vista la propria originaria genuinità, struggendosi in strutture canore in apparenza troppo cerebrali e al contempo con troppo poco mordente, insomma inadeguate per un artista che fa dell’impatto, della brillantezza, di un coinvolgimento quasi cameratesco e certamente familiare l’essenza stessa della propria musica. E’ il primo album nel quale Frank Turner inserisce in maniera compiuta strumenti come la batteria, il pianoforte, il violino, e si cimenta nella costruzione di vere e proprie orchestrazioni musicali, dando alla propria proposta uno spessore corale finora inedita: se è vero che Poetry Of The Deed non manifesta ancora la pienezza di un songwriting maturo e perfettamente consapevole, eppure si lascia letteralmente divorare nel lettore cd, non deve esserci traccia di delusione o rammarico nelle nostre parole, perché significa che il percorso di questo funambolico cantastorie britannico non è ancora concluso, che la strada è ancora lunga, che…
…”the horizon is my home”.