- Geoff Tate - vocals
- Chris De Garmo - guitars
- Michael Wilton - guitars
- Eddie Jackson - bass
- Scott Rochenfield - drums
1. Best I can
2. The Thin Line
3. Jet City Woman
4. Della Brown
5. Another Rainy Night (Without You)
6. Empire
7. Resistence
8. Silent Lucidity
9. Hand On Heart
10. One and Only
11. Anybody Listening?
Empire
La domanda giusta è: “è possibile realizzare un album più “commerciale” restando sempre all’altezza delle proprie uscite?”. Una domanda che spesso ci offre una sola chance di risposta, ma Empire fa eccezione. Dopo aver inanellato capolavori su capolavori, i Queensryche effettuano l’ennesima virata come tante nella loro carriera: il loro progressive marcatamente settantiano affonda in un hard rock consapevole come in passato ma molto più accessibile e non per questo meno piacevole; le chitarre, sempre taglienti, i tempi prog come da copione, la voce di Geoff d’incanto, tutto ben chiaro fin dal primo ascolto, senza bisogno di metabolizzare delle opere stupende ma non intricate, costantemente appassionanti.
Infatti mentre l’immenso Operation: Mindcrime era stato l’album della consacrazione, questo risulta l’album del successo grazie al quale i Queensryche sono andati in giro per il mondo da headliner riproponendo un repertorio che dopo soli tre album studio ed un EP ha un intero vocabolario di parole da dire.
Già con i primi due pezzi si radica la consapevolezza dell’essenza dei nostri grandi eroi di Seattle, la presenza come un albero secolare all’interno della scena, un intero combo compattissimo e davvero affiatato che soprattutto con The Thin Line e Jet City Woman conquista anche chi è avverso alle sonorità progressive. I tempi stoppati ma digeribilissimi, il basso profondo, gli effetti di chitarra ben calibrati da un De Garmo come sempre ispiratissimo ed un Geoff Tate che sperimenta armoniosità vocali recitate più che cantate: non può essere che un sogno.
Della Brown stupisce proprio in tal senso: un riff di basso che scende giù fin dentro l’apparato digestivo per maciullarlo ed annullarne le sue funzioni vitali mentre ancora una volta le parole esprimono emozioni anche senza conoscerne il significato; i tempi intricati ed i cori (in genere mai d’accordo) sono sempre di splendida fattura ma tutto al servizio dell’ascolto non impegnato. Empire sprigiona fascino già dopo una manciata di pezzi e quando gli assoli si spiegano si intuisce che l’immortalità di alcune note è molto più forte delle tendenze (ancora di più in un periodo in cui il rischio di produrre un album con sonorità fuori epoca era enorme). Il romanticismo malinconico resta conservato all’asciutto fin quando giunge d’assalto Another Rainy Night che con un infinito collante tra musica e parole descrive un momento di solitudine di un uomo abbandonato, il quale rivive tutti i suoi ricordi durante una dolorosa giornata di pioggia.
È giunto il momento, l’antipasto è stato servito ed i timpani sono stati deliziati; adesso è tempo della title-track che sconvolge per il suo realismo fatto di criminalità e di omicidi (ed in questo sa molto del lavoro di due anni prima) esaltati ed interpretati da una grancassa profonda come il colpo di una tamburo calibro 8 ed un incedere genuino che disegna perfettamente la scena: la città è in mano alla criminalità, la guerra è aperta, un uomo uccide suo fratello solo per soldi, e tutta la rabbia sfocia in Resistence che mostra un suono sempre più graffiante e la sezione ritmica equilibrata e caparbia nell’inasprirsi dinanzi alla forza emotiva e personale dei due chitarristi.
Dopo tanta rocciosità resa elegante da un sound sopraffino arriva uno dei pezzi più importanti dell’album, Silent Lucidity, una ballad con un sapore immenso, ancora più impegnativa del suo significato, un viaggio verso un posto incantato da ascoltare ad occhi chiusi e da apprezzare a fondo in tutte le sue più piccole sfumature. Un taglio netto rispetto al viaggio che i nostri affronteranno nel successivo album Promise Land e solo il contrasto con quest’altro lingotto d’oro della musica targata Queensryche ci fa capire quanto i nostri valgano.
Così è anche Hand On Heart che si lancia in un incedere dalla forza irruente proprio come i due guitar men che non accennano la pur minima stanchezza e propongono assoli secolari custoditi da arrangiamenti ricchissimi in ogni istante. Non si può tralasciare la bellissima One And Only, forse una delle canzoni più sottovalutate del gruppo ma purtroppo è colpa della concorrenza tra le opere d’arte date alla luce dalla band: il senso di compattezza che sprigiona questa traccia è tale da lasciare l’ascoltatore impallidito (l’ultimo minuto parla da sé), mentre le note lo trasportano in una “new dimension”. Meglio valorizzato invece il brano in chiusura, Anybody Listening? che tocca una profondità unica, introversa come impareremo a ricevere da loro, abile nell’invogliarci a vivere ed a sognare nella stessa misura in cui nessuno debba curarsi dell’opinione altrui (“judging eyes”).
Insomma se non vi siete innamorati dopo l’ascolto di questo album, vivamente consigliato a chi vuole avvicinarsi al prog passando dall’hard rock, allora la situazione è davvero grave.