Voto: 
6.3 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Etichetta: 
Victory
Anno: 
2009
Line-Up: 

Otep Shamaya – Voce
"Evil" J. McGuire – Basso, cori
Rob Patterson – Chitarra
Mark "Moke" Bistany – Batteria

Tracklist: 

1. Rise Rebel Resist - 3:59
2. Sweet Tooth - 4:21
3. Smash the Control Machine - 3:44
4. Head - 5:11
5. Numb & Dumb - 4:26
6. Oh, So Surreal - 4:21
7. Run for Cover - 3:35
8. Kisses & Kerosene - 4:12
9. Unveiled - 3:28
10. UR A WMN NOW - 4:19
11. Serv Asat - 2:30
12. Where the River Ends - 11:57
13. I Remember - 8:34 (Hidden Track)

Otep

Smash the Control Machine

Cos'è cambiato in casa Otep dal precedente The Ascension? Semplice, la band è passata alla label Victory e ha ripreso in line-up il chitarrista Rob Patterson e il batterista Mark "Moke" Bistany, già colonne portanti di Sevas Tra, debutto e capolavoro della band.
Arriva quindi inevitabile un cambiamento nel sound, che con il precedente disco si era improvvisamente spento in un'auto-imitazione dalla minor efferatezza, freschezza e passione: con Smash the Control Machine prendono ancora più piede i momenti melodici rispetto ai momenti metal (con forse disapprovazione del loro pubblico tipico), forse per venire incontro al catalogo della nuova label o forse per una semplice maturazione anagrafica dei membri, ma contrariamente alle aspettative le dosi di violenza psicologica e di "groove" aumentano.

Dopo un paio di parentesi ricalcanti in troppi momenti il sound degli Slipknot, gli Otep riscoprono ora i loro primi padrini Korn e Mudvayne non spingendo più tanto sulle ritmiche martellanti e sui growl quanto sull'angoscia e sulle atmosfere thriller.
Chiara dimostrazione ne sono pezzi come Numb & Dumb, aperta da una scarica di furia metal che si spegne immediatamente nelle strofe inquietanti recitate a denti stretti, prima di un chorus abrasivo a metà strada tra il grunge dei Nirvana e il thrash, per far esplodere la tensione metal solo nella coda finale; strutture simili sono un lusso se paragonate ai pezzi più metal e più monotoni dei precedenti album.
La frenetica opener Rise, Rebel, Resist pare invece, assieme a Run for Cover, un nostalgico tuffo nei vecchi rapcore gotici e urlati alla Sevas Tra, se non fosse per la violenza in confronto edulcorata, che però torna anch'essa in nuova veste nelle successive Sweet Tooth, Head (detonata da un'epica progressione armonica che sfocia da strofe in continua tensione), Oh, So Surreal (con un classico climax psicotico e un'esplosione di ritmiche schizoidi in coda), Serv Asat (altro anagramma di "art saves" e quindi altro esplicito rimando al primo periodo del gruppo) e Unveiled (dall'aggressività straziata come negli episodi migliori di House of Secrets).
La title-track provvede a convogliare un catchy rapcore politicizzato con piglio hardcore e voce alla Guano Apes, ma la vena "poetica" maledetta tipica della Shamaya ha piuttosto modo di sfogarsi nei cupi psicodrammi Kisses & Kerosene e Where the River Ends (quasi sicuramente il capolavoro dell'album, anche se debitore a iosa dalle tracce lunghe dei precedenti dischi), oltre che nella traccia nascosta I Remember, queste ultime due sugli 8 minuti a testa.
Un'inaspettata ballad melodica dal titolo UR A WMN NOW (con guest di Emilie Autumn al violino e Koichi Fukuda degli Static-X al pianoforte), oltre a presentare momenti emotivi assolutamente più convincenti e personali rispetto alla mediocre ballad Perfectly Flawed del precedente album, sembra poi dimostrare che in fin dei conti tutta questa rabbia derivi da una fragilità spezzata che vorrebbe solo ritrovarsi in pace con se stessa.

Smash the Control Machine non cerca nemmeno per sbaglio il capolavoro, né consegna tracce che possano anche lontanamente rivoluzionare lo stile della band, ma nell'ascoltarlo si avverte una felicemente ritrovata verve e alchimia tra i membri; inoltre, Shamaya e soci focalizzano la propria violenza sul carico psicologico (supportato da un'urgenza lirica di voler dire qualcosa, discutibile o meno che possa essere) e sul giusto bilanciamento tra quiete e furia piuttosto che sulla continua fragorosità sonora martellante, cosa ormai rara e apprezzabile in un panorama a stragrande maggioranza piatto, monotono e superficiale come quello del metal anni 2000.
Tuttavia, anche negli episodi migliori, dà un certo fastidio la produzione purtroppo decisamente non azzeccata, che stacca tutta la sezione strumentale in un mix separato dalla voce, facendo tiranneggiare quest'ultima su tutto come nei dischi emo-pop.
 

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