Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Caldo Verde
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Justin K. Broadrick - voce, chitarra, programming, musiche

Tracklist: 

1. Fools

2. Birth Day

3. Sedatives

4. Broken Home

5. Brave New World

6. Black Lies

7. Small Wonder

8. December

9. King of Kings

10. Ascension

Jesu

Ascension

Superata la fatidica soglia dei quarant’anni, la figura di Justin Broadrick sembra essere sempre più circondata da un alone mistico e da un fascino solitario, essenziale, intimo. Il tempo passa anche per i mostri sacri, e rimanere immuni allo scorrere dei giorni è cosa fuori dalla portata di qualunque essere umano, anche del più grande tra gli artisti. Sulla sua fronte cominciano ad appesantirsi le rughe e lo stesso percorso d’invecchiamento si ripercuote sulla sua musica: Ascension – quarto album a nome Jesu – è l’anelito ad una pace mentale ed emotiva tipico di un uomo il cui spirito è stato solcato da tante, troppe esperienze. Broadrick si mette alla ricerca del proprio letto interiore e, con voce sempre più dolente, canta della solitudine, delle menzogne, della capacità di meravigliarsi ancora delle cose quotidiane.

I lidi quasi epici e dalle dimensioni colossali che Infinity (senza riuscirci) tentava disperatamente di evocare, vengono qui spazzati per far spazio ad un’approccio più intimo, trascinato comunque da un sound ancora una volta plumbeo, pesante e distorto. Per la seconda volta sotto l’egidia della Caldo Verde di Mark Kozelek (Red House Painters e Sun Kil Moon), Broadrick cerca di scavare negli antri più dolci e sensibili del proprio cuore e di portare ad uno stadio ancora più romantico quel contrasto tra la ruvidità strumentale e la pacatezza vocale-melodica che già Jesu (2005) e Conqueror (2007) avevano splendidamente declinato.

Dopo il mezzo flop di Infinity, però, il risultato è ancora una volta scadente.
Molte canzoni sono sconclusionate, con melodie spesso senza capo né coda (Fools, Brave New World) e atmosfere - ora plumbee ora più eteree – che nulla aggiungono e nulla tolgono a quanto già fatto vedere da Broadrick in passato. Il suo stile si dimostra così rimasto vittima della sua stessa, originaria alchimia: dall’omonimo gioiello del 2005, l’ex Godflesh e Napalm Death  sembra essersi profondamente alienato in una ricerca sonora autoreferenziale, chiusa e ormai divenuta stantia. A mutare lievemente è solo il sound, meno fumoso del passato e continuamente sospeso tra linee chitarristiche plumbee e distorte e rintocchi melodici lucidissimi, quasi angelici ma fin troppo ripetitivi (Birth Day, Broken Home). La fragilità interiore di Broadrick si ripercuote ancora una volta nella sua voce dolce ma fiacca, sovrastata dalle imponenti distorsioni di chitarra sottostanti che ne oscurano qualunque tentativo di risalita. Ascensioncerca di evocare tutta la dolcezza e il cuore più sensibile di Broadrick (December, la sbilenca Small Wonder), senza però mai riuscire a lasciare testimionianze realmente intense e vibranti di un linguaggio già invecchiato.

Il formato più rock del piacevole Opiate Sun viene qui riproposto solo in parte, mancando però dell’essenziale vis melodica e della densità atmosferica su cui si reggeva il precedente Ep: unico episodio strutturato in questa direzione è infatti Sedatives (peraltro vetta qualitativa del disco), che azzarda una simbiosi tra sound distorto e linee ritmico-melodiche decisamente più (alt) rock, uptempo e dal retrogusto malinconico.

Dopo la piacevole Sedatives, a brillare rimane solo ed esclusivamente il capitolo di chiusura dell’album, l’omonima Ascension, unico episodio a rendere realmente tangibile l’elevazione interiore tanto anelata da Broadrick: una breve cornice strumentale, intima e pacata, che chiude l’album in un sussurro, quasi a volerci far dimenticare forzatamente il disordine e il caotico linguaggio del disco.

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