- Ihsahn - Voce, Chitarra, Tastiere, Basso
- Asgeir Mickelson - Batteria
Guest:
- Garm - Voce su Homecoming
1. Invocation (05:04)
2. Called by the Fire (04:50)
3. Citizen (05:22)
4. Homecoming (04:20)
5. Astera ton Proinon (05:10)
6. Panem et Circenses (04:57)
7. And He Shall Walk In Empty Places (04:47)
8. Will You Love Me Now? (04:57)
9. The Pain is Still Mine (10:04)
The Adversary
"A purpose, a sacrifice
or merely temptation?
Is my solitude anything but a perversion
of my vanity?"
Quando ho sentito della pubblicazione di un disco solista di Ihsahn, leader di quegli Emperor leggende nel panorama norvegese per tutti gli anni ’90, non ho potuto trattenere la mia curiosità. A che pro, una pubblicazione simile? Sfruttare l’onda lunga della reunion temporanea degli Emperor, voler evadere dagli stilemi cui si deve attenere con i Peccatum? Continuare il discorso che aveva iniziato e interrotto con “Prometheus”, ultimo disco dell’Imperatore? Voglia di farsi conoscere personalmente, attraverso l’utilizzo del suo nome?
Mi sono quindi avvicinato a The Adversary con grandi speranze e grandi timori: le capacità musicali e compositive di Ihsahn non si discutono, ma temevo un disco-pubblicità, dallo scarso valore artistico. Così non è stato.
The Adversary mostra Ihsahn come una delle più importanti personalità solistiche del panorama metal scandinavo, uno dei pochi rimasti su grandi livelli, uno dei pochi che emerge con la sua personalità e il suo carisma.
Ed ecco quindi la risposta che mi sono dato alla domanda posta a inizio recensione: gli anni d’esperienza accumulati con Emperor, Peccatum e Thou Shalt Suffer si fanno sentire, e probabilmente Ihsahn si è sentito pronto per presentarsi con un disco che lo rispecchiasse completamente, senza vincoli di genere, collaboratori o attese.
“The Adversary” è una prova personalissima, inclassificabile e quindi priva di una catalogazione precisa, concepita per essere una “summa” del metal estremo.
Una specie di Prog Metal mischiato, in ordine di importanza, al Metal Sinfonico, al Metal Estremo, al Gothic, all’Heavy, al Black.
I testi trattano più o meno tutti dell’esaltazione dell’individuo, delle sue capacità, raffigurano la visione di un “singolo” distanziato dalle “masse”, che ricevono un trattamento non proprio gentile per tutto il disco.
Le tracce vanno viste singolarmente, date le loro peculiarità: fornire una spiegazione d’insieme sarebbe confusionario e difficoltoso. Inizio quindi col dire che non ci poteva essere opener migliore di Invocation: un brano che riprende il filo spezzato di “Prometheus”, lo riannoda e continua, ampliandole, le sperimentazioni di quel full-lenght. Devastante il momento, al minuto e mezzo, in cui il pezzo letteralmente “esplode”, con un ispiratissimo urlo “Let it all come down!”: una sfuriata così da parte sua non la sentivo dai tempi di pezzi quali “Curse you all Men!” e “Ye Entrancemperium”.
Nella parte centrale, si segnala un bel break atmosferico in voce pulita, con Asgeir Mickelson a dare spettacolo con la sua tecnica e la sua complessità dietro le pelli. E’ infatti il drummer degli Spiral Architect l’unico compagno di Ihsahn, e il suo apporto è davvero di buon livello, azzeccato e raffinato ma non fine a sé stesso; un contributo importante anche se non fondamentale, a differenza di quanto accade negli Spiral: qui tutta l’attenzione è focalizzata su Ihsahn.
La seconda Called By Fire cambia repentinamente la carte in tavola: è un pezzo Heavy, quasi Speed Metal, con Ihsahn che, nel suo tipico cantato in falsetto, paga tributo al maestro King Diamond e in parte anche a Rob Halford, che è egli stesso un grande ammiratore dell’artista norvegese: s’era fatto anche il suo nome, per quanto riguardava una partecipazione vocale sull’album, ma non se n’è fatto nulla. Ad ogni modo, un grande pezzo, con un assolo davvero splendido nella seconda parte (riscontrabile l’ispirazione dei Mercyful Fate) che mostra come Ihsahn sappia mescolare alla perfezione i vari sottogeneri del Metal.
La terza Citizen, splendida nei suoi riffs velocissimi cui rispondono i fills di Mickelson, mostra la visione individualista di Ihsahn, che a metà canzone ci diletta con un triste intermezzo di pianoforte e chitarra solista, seguito da una lenta parte in clean voice e da un finale nuovamente aggressivo.
Con Homecoming ci avviciniamo nuovamente al capolavoro: l’introduzione intricatissima, con Mickleson protagonista, lascia campo a una chitarra malinconica, che introduce una voce diversa da quella di Ihsahn, ma ugualmente familiare: è Krystoffer “Garm” Rygg a ipnotizzarci con la voce. Questa traccia mi ha fatto provare una sensazione stranissima: come se stessi ascoltando gli ultimi dischi elettronici degli Ulver (i meravigliosi “Perdition City” e “Blood Inside”) rivisti in chiave metallica. Ancora una volta il tema è la solitudine del singolo uomo di fronte alle verità collettive di un’umanità in cui si è persa ogni fiducia: “Homecoming” materializza alla perfezione il testo, e l’atmosfera è davvero palpabile e superba... Sì, superba, più o meno come la prova di Garm, altro artista che ha pochi eguali.
Passiamo alla prossima traccia, cui spetta il difficile compito di seguire un brano portentoso; ma Astera Ton Proinon non delude e mostra un volto più vicino al Gothic e al sinfonico, con un inizio oscuro davvero da brividi.
Altre tre canzoni, che esplorano in modo diverso alcuni degli ambiti già visitati da Ihsahn, sono le seguenti Panem et Circenses, And He Shall Walk In Empty Places e Will You Love Me Now?, tutte di buonissimo livello, riescono nel fondamentale obiettivo di non far calare l’attenzione,cosa che per esempio non riusciva ai brani finali di “Prometheus”.
E che dire della conclusiva The Pain is Still Mine?
Introduzione di pianoforte, sinfonie classiche, voce sussurrata o recitata teatralmente come nemmeno ne “La Masquerade Infernale” degli Arcturus, precedono l’esplosione rabbiosa di uno scream, a sua volta seguito dalla precisissima batteria di Asgeir, con la quale poco dopo la chitarra di Ihsahn improvvisa un duetto; l’assolo è ubriacante e dimostra che anche tecnicamente l’ex-Emperor è migliorato moltissimo nel corso degli anni.
Dieci minuti di superbo metal sinfonico; anzi, di Metal di classe.
Il disco è complesso, difficile, introspettivo e personale: quattro parole che renderanno il disco un’esperienza ardua da digerire per chi non gli dedicherà la necessaria concentrazione, ma che, combinate, costituiscono un’affascinante e gustosa sfida per chi cerca un disco profondo e ricercato. E... sì, forse ogni tanto c’è troppa presunzione o sicurezza dei propri mezzi, ma sono difetti che si perdonano: Vegard Sverre Tveitan, in arte Ihsahn, non si nasconde, e mostra orgoglioso la propria opera; a noi non resta che ascoltare le sinfonie sapientemente composte che escono dalle casse dello stereo.
"Remember this, you others;
The fire and the fury,
the strength and defiance,
this you admire, this you desire
I had to win them for myself"
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