- Bobby Krlic - musiche, violino, programming, percussioni, pianoforte
1. Raven's Lament
2. An Archaic Device
3. Burning Torches of Despair
4. Disorder
5. The Fall
6. The Growing
7. In Memoriam
8. Parting Chant
The Haxan Cloak
I sentieri, infiniti, della perdizione interiore. A nome The Haxan Cloak, prende vita una delle profezie musicali più inquietanti degli ultimi anni. A farla riemergere dal sottosuolo sono violini trasfigurati, ritmi ancestrali, rumorismi elettronici e drone provenienti da un mondo in cui è difficile separare il valore della vita da quello della morte. Bobby Krlic, giovane deus ex-machina del progetto, fino a poco tempo fa sconosciuto home made musician residente a Londra, appare ormai come uno dei profeti più visionari dell'underground europeo. La sua prima fatica, quasi ad enfatizzarne il valore, porta il nome del suo neonato progetto solista. Una danza macabra tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra la superficie terrestre e le catacombe, traduce in musica delle visioni musicali maledette in cui il confine tra realtà e incubi notturni si assottiglia fino a scomparire del tutto. Il viaggio sperimentale di Krlic, per quanto farà la solita eccessiva fatica per emergere, è destinato a rimanere immortalato nella memoria dell'avanguardia musicale moderna come una stele piovuta dal cielo, indecifrabile e misteriosa.
Nei suoi otto frammenti strumentali, The Haxan Cloak stravolge splendidamente i canoni dell'avanguardia contemporanea, costruendo passo dopo passo un altare monumentale all'inquietudine e al lamento universale. E' proprio un lamento, infatti, ad aprire le fauci del disco e a farne disperdere nell'aria il malessere di cui è impregnato: è Raven's Lament, pacata ma alienante, sorretta da una marcia di violoncelli, xilofoni e musique concrete che, con fare enigmatico, apre i cancelli di The Haxan Cloak. Sentori e premonizioni strumentali che An Archaic Device prima irriggidisce e che Burning Torches of Despair (tra i momenti più visionari dell'album) fa infine letteralmente esplodere, aprendosi in un enigmatico drone violoncellistico-elettronico.
Gli archi, sfigurati e sradicati dal loro contesto strumentale originario, assumono le sembianze di una fitta coltre di nebbia e tenebre che oscilla, si sposta lentamente, oscurando il cielo nella sua infinità . Quando poi è il turno della suite Disorder, The Haxan Cloak sprofonda nel suo nero più denso e mistico: undici minuti di violini laceranti, drone e atmosfere opprimenti che paralizzano, graffiano, scuotono. Poi, come un richiamo evangelico, appare il gioiello The Fall, commovente litania di voci angeliche e violoncello che pare prendere The Haxan Cloak ed elevarlo verso uno stato di preghiera assoluto e finora sconosciuto. Ma nell'immaginario dell'album, di redenzione e salvezza per le anime umane non c'è la minima traccia. Dopo un'improvvisa sospensione spirituale, si sprofonda nuovamente nel vuoto: è The Growing, agghiacciante esperimento ambient-elettronico in cui Krlic continua a dimostrare la propria maturità compositiva e la validità delle proprie intuizioni. Quasi ulveriana per il taglio gelido e metropolitano, The Growing è la Perdition City del musicista londinese, il suo sussulto più freddo e disincantato. Quando poi Parting Chant viene chiamata a chiudere la litania di Krlic, The Haxan Cloak si trasforma in una cerimonia decadente totale: voci fantasmagoriche, rintocchi metallici, sottofondi rumoristici da cui emergono lentamente violini danzanti. Se la morte avesse un tema che la rendesse riconoscibile, allora si tratterebbe proprio della perla conclusiva di questo disco irreale.
The Haxan Cloak è un abisso visionario che viaggia dritto e a fari spenti tra i drones "neoclassici" degli ultimi Sunn O))), decostruzioni cameristiche krengiane, ambientazioni gotiche e cornici elettroniche antartiche, rielaborando il tutto con impressionante maturità compositiva. Freddo e maledetto, scritto con l'inchiostro più nero e denso che esista, The Haxan Cloak è un viaggio nei cunicoli più bui e nascosti dell'anima umana, proprio lì dove si annida il terrore più ancestrale, lì dove esplodono silenziosamente la tensione interiore più primitiva e lo smarrimento emotivo più profondo.