Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Etichetta: 
Southern Lord
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Greg Anderson – Chitarra, Basso
- Stephen O'Malley – Chitarra

Principali ospiti:
- Eyvind Kang – Arrangiamenti, Violino
- Oren Ambarchi – Elettronica, Chitarra
- Attila Csihar – Voce
- Dylan Carlson – Chitarra
- Steve Moore – Tromba, Trombone
- Julian Priester – Trombone
- Stuart Dempster – Trombone
- Jessica Kenney – Voce, Direzione Coro

Tracklist: 

1. Aghartha (17:34)
2. Big Church [megszentségteleníthetetlenségeskedéseitekért] (09:43)
3. Hunting & Gathering (Cydonia) (10:02)
4. Alice (16:21)

Sunn O)))

Monoliths & Dimensions

Eccolo, il ritorno col botto dei sacerdoti del Drone.
Un ritorno strabiliante, poiché Stephen O'Malley e Greg Anderson danno una virata prorompente al suono, alle atmosfere, alle stesse basi concettuali del gruppo. Evolvono, stupiscono, mutano.  
E pubblicano qualcosa che va maledettamente vicino ad essere il miglior disco di sempre dei Sunn O))).

Ma andiamo per gradi. Riguardando la carriera del gruppo, si nota chiaramente come, fin dai tempi di “Flight of the Behemoth”, il duo americano cerchi di trovare vie alternative alle premesse iniziali della propria band: via via meticciando la propria musica, collaborando con un numero esponenzialmente crescente di musicisti esterni ed allontanandosi inesorabilmente dal minimale Drone-Metal nudo e crudo di album di culto come “Grimmrobe Demos” o “ØØ Void”.
Insomma, il percorso di evoluzione verso sonorità sempre diverse era tracciato già da diversi anni. “Monoliths & Dimensions” è però il passo risolutivo che porta i Sunn ad una maturazione straordinaria, trasformando definitivamente quello che era un rustico duo di metallari cloni degli Earth in un ensemble sperimentale che incorpora felicemente influenze che vanno dall'avanguardia colta al free jazz, dal metal pesante a sinuosi arrangiamenti orchestrali e corali.

L'esperienza collettiva maturata nel bel live-album dello scorso anno “Dømkirke” è messa nettamente a frutto in questo nuovo album, ma se in quel caso a ad appoggiare le chitarre era soprattutto il possente organo da chiesa ed in passato erano stati gli strumenti tipici del Rock (batteria, synth e tastiere, ammennicoli elettronici vari), in “Monoliths & Dimensions” Anderson e O'Malley si volgono invece al mondo dell'acustico come complemento per i loro amplificatori: viola, violino, arpa, un trio di contrabbassi e fiati a profusione (clarinetto, tromba, trombone, corni, oboe).
E questa compenetrazione tra acustico ed elettrico, mai tentata prima su così larga scala dai Sunn, dà risultati magnifici.

Ma su questo torneremo dopo, poiché in realtà l'album inizia in maniera 'classicamente Sunn', ovvero con una singola, solitaria chitarra che muggisce vigorosamente: è “Aghartha”, primo e più tradizionale brano del lotto; nota di colore, ma utile a comprendere uno spicchio di più delle influenze di Anderson/O'Malley, “Aghartha” è anche il titolo di un live-album di Miles Davis, e non è l'unico particolare interessante – praticamente tutti i titoli di questo album dei Sunn hanno riferimenti a dischi, brani o musicisti dell'ambito jazz. Back to the music: l'opener è inizialmente una purissima Drone-Metal track, che passa però successivamente ad un suono più vicino a “Dømkirke”, con il vocalist magiaro Attila Csihar a declamare, con ritmo lentissimo e funereo, le sue liriche davanti ad un lugubre pianoforte cimiteriale e a striduli, scricchiolanti accompagnamenti di chitarre, sound-samples (registrati con un idrofono) e archi dissonanti in sottofondo. Insomma, un inizio cupo come non mai, ma che già anticipa la rivoluzione che sta per arrivare: la conclusione del monologo di Attila è infatti condotta dal profondissimo, tremolante, tetro soffiare dei corni anziché dalle consuete, vibranti distorsioni di chitarra.

I due brani centrali compongono il nucleo del nuovo suono “Monoliths & Dimensions”: “Big Church [Megszentségteleníthetetlenségeskedéseitekért]” è caratterizzata dalla presenza di un coro femminile austriaco a metà tra la solennità clericale e l'avanguardia classica contemporanea, ma anche qui Csihar non si fa attendere e, come preannuncia il titolo, si mette a sproloquiare prolissamente in ungherese, in una maniera che ricorda molto certe soluzioni demoniache dei primissimi Current 93 (presente gli ospiti vocali in “Nature Unveiled”?). La paranoica vocalità di Csihar e la perfetta coralità femminile vanno quindi in naturale, piacevole contrasto con i fischi e i droni delle sei-corde dei quattro dell'apocalisse (con i guru Carlson e Ambarchi in aggiunta ai due Sunn), amalgamandosi in un brano dal taglio piuttosto sperimentale.
Un riff marcatamente Doom apre invece “Hunting & Gathering (Cydonia)”, ancora con Csihar sicuro protagonista mediante la sua voce roca ed infernale, alternata questa volta sia ad un composto coro maschile che ai possenti interludi degli ottoni (Steve Moore degli Earth al trombone) e dei sintetizzatori (Moog Voyager e Korg Ms20): soluzioni, queste, che creano un feeling maestoso, pomposo e spaziale, quasi da colonna sonora di qualche kolossal americano su conquiste galattiche o amenità simili.

Ma la trasformazione completa dei Sunn, e il capolavoro del disco (e, forse, dell'intera discografia di O'Malley/Anderson!) è l'ultimo dei quattro brani, “Alice” (il riferimento, ovvio, è ad Alice Coltrane, pianista del marito John e poi solista – oltreché dal brano in generale, viene omaggiata anche da un curioso e breve passaggio d'arpa a metà brano, essendo quello uno degli strumenti da lei prediletti).
“Alice” è la rivoluzione del mondo Sunn O))) come lo conoscevamo. Laddove c'erano chitarre che soffocavano, premevano, annichilivano, ora si aprono vastità immense, spazi enormi, silenzi di una maestosità superba. Che, pur rendendomi perfettamente conto della blasfemia del paragone, a caldo mi hanno fatto pensare a "In a Silent Way" (guarda caso, anche quello un disco di profondo cambiamento e transizione, dall'acustico all'elettrico).
Un brano che nella sua prima frazione fa duettare le bordate di chitarra/basso con gli arrangiamenti per viola e violino del prestigioso ospite Eyvind Kang (già solista rispettato, oltreché collaboratore con Patton, Beck, Zorn, Animal Collective): respiri cosmici di una pazienza infinita, una lentezza sostenuta da una gioiosa vitalità (e non da soffi di morte come poteva essere, anche solo poco fa, in “Aghartha”) e pace. Sì, pace, rilassamento, una sensazione di quiete onestamente impronosticabile per un gruppo il cui ultimo album era il terrorizzante “Black One”. La magia è però portata al culmine nella seconda metà del brano, in cui gli archi vengono man mano sostituiti dai fiati, dai più leggeri oboe e corno inglese fino ai più gravi e toccanti tromboni, quest'ultimi suonati non solo dal già citato Steve Moore ma anche da due ospiti dalla caratura storica superiore: Stuart Dempster, invischiato da decenni nella classica contemporanea e nell'Ambient music (“Deep Listening” dell'89, in trio con Panaiotis e la Oliveros è un must per tutti gli appassionati del genere) e Julian Priester, che tra gli anni '50 e '70 accompagnò nell'ordine monumenti come Sun Ra, Max Roach, John Coltrane, Duke Ellington ed Herbie Hancock. Mentre tutti gli altri strumenti piano piano lasciano il campo, spetta proprio al trombonista jazz il compito di condurre il finale del brano, utilizzando toni meditativi, speranzosi, delicatissimi, ad accompagnarsi al sempre più “fragoroso” silenzio che si va dipanando attraverso le maglie del brano.

Una chiusura in grande, grandissimo stile, che suggella la conclusione di un disco sorprendente, coraggioso e riuscito a puntino: un passo in avanti straordinario non solo per i Sunn O))) ma anche per il Metal sperimentale, che dimostra di potersi unire proficuamente a settori d'avanguardia con una storia ed un pedigree ben più nobili del suo.
“Monoliths & Dimensions” lascerà ovviamente delusi i fan più intransigenti, quelli che vorrebbero Stpehen e Greg fare i grezzi metallari ad oltranza; mentre chi apprezza il versante più sperimentale della musica dei Sunn avrà in mano il disco più vario (in termini di atmosfere, influenze e sonorità esplorate) e musicale della discografia del duo statunitense.

Ultima nota: si badi che, nonostante i cambiamenti, si tratta sempre dei Sunn O))) e il vecchio adagio di sempre non ha da essere modificato: e quindi “Maximum Volume Yields Maximum Results”.
Ora e sempre, nei secoli dei secoli, Amen.
 

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