- Hauschka - Piano preparato
- Samuli Kosminen - Batteria
- Joey Burns - Polistrumentista
- John Convertino - Polistrumentista
1. Radar
2. Two AM
3. Girls
4. Ping
5. Cube
6. Subconscious
7. No Sleep
8. Tanzbein
9. Taxitaxi
10. Sunrise
Salon Des Amateurs
Volker Bertelmann, in arte Hauschka, è un compositore tedesco con base a Düsseldorf. Famoso per aver applicato alle corde del suo pianoforte "preparato" pezzi di metallo, plastica e quant' altro, giunge con questo Salon Des Amateurs al suo nono album in studio, preceduto da album cardine del Volker pensiero come The Prepared Piano, la cartolina con cui presentò la sua innovativa proposta musicale, e Ferndorf, apprezzato in particolare anche dal pubblico indie. Ma, di sicuro, la popolarità è l' ultima cosa di cui il Nostro sembra aver bisogno. D' altra parte, non deve essere così difficile farsi conoscere quando si appartiene a due scene musicali contemporaneamente. Per quanto apparentemente diverse ( oppure no?), il fattore principale che da qualche anno a questa parte sembra accomunare la neoclassica e l' ambiente elettronico si chiama infatti proprio Hauschka. E quando si hanno simili responsabilità la pressione deve essere tanta, e non riversare tutte le preoccupazioni e le ansie su disco appare impresa ardua. A meno che, verrebbe da aggiungere, non si abbia la fortunata possibilità di poter trattare di musica in un ambiente a dir poco fertile come quello tedesco, meglio se a Berlino, dove molti artisti neoclassici hanno il proprio studio. Ed anche il fatto di poter riporre le proprie registrazioni ad una label rinomata come la FatCat records, che dopo qualche mese passato a sondare il nuovo genere formatosi si è buttata a capofitto, assicurandosi le prestazioni di nomi a dir poco prestigiosi prodotti tal volta in specifiche costole ( in questo caso è la 130701 l' etichetta ad aver inciso il disco), oltre a poter vantare nomi del calibro di No Age, Panda Bear e Frightened Rabbit, che in quanto a feedback non scherzano.
In particolare, Salon Des Amateurs scorre benissimo ed è un toccasana per la mente. Non si tratta di elaborate composizioni post-classiche, ma di veloci guizzi fatti di trombe, violoncelli, elettronica e pianoforte. Nessuna influenza post-rock alla Ólafur Arnalds, lontani dalla cupezza cosmica di Jóhann Jóhannsson; semmai un mix tra la classica di Max Richter e la schematicità dei Kraftwerk, peraltro suoi concittadini. Un divertimento ( in finlandese il suo moniker significa questo...) composto da melodie paradossalmente semplici per chi le ascolta ma complicate da pensare e successivamente definire per un artista. Un' essenzialità nella forma abbacinante. Un piano che domina le atmosfere, da lui stesso delineate: sì, perché la durezza nell' esibirsi con decisione in alcune tracce è pari a quella di una chitarra elettrica in un pezzo rock. Ad accompagnarlo stavolta non ci sono mixer o amplificatori ma bensì una batteria e i più disparati strumenti, la prima diretta da Samuli Kosminen, in prestito dai compagni di major Mùm, e i secondi gestiti dal tandem dei Calexico Joey Burns e John Convertino.
Evocativa dei suddetti suoni la opener Radar, un vera e propria ordinata accozzaglia di rumori, tra cui corde suonate a metà, timidi sintetizzatori, tromboni e piano, qui sommesso ma dal gradevole retrogusto esotico. Più cinica Two AM, che facendosi strada tra un crescendo di suoni riesce ad intrattenere con una metrica da musica house per quasi cinque minuti l' ascoltatore, sbalordito e divertito. Ma questi status, come avrete capito, si fanno avanti un pò lungo tutto il disco, che sembra godere di energia e vitalità propria nella maggior parte dei quaranta minuti abbondanti. Si passa dall' incedere classico di Girls, con tanto di violini a impartire nuove cifre stilistiche pop-ular( anche se questo termine và leggermente stretto) alle sperimentazioni di Ping e Cube, la prima almeno in apparenza simile ad alcune sample di musica jazz. L' altra parte del disco torna a calcare le idee di pezzi house e dance, dimostrandosi più compatta anche se a sprazzi troppo leziosa: come ad esempio Subconscious, via di mezzo tra questi due aggettivi altisonanti. Tanzbein aiuta a capire perché mi ostino a parlare di generi che hanno a che fare con l' elettronica, presentando, come la sua precedente No Sleep, melodie arrangiate e intessute con qualità ed innovazione. Da elogiare infine anche Taxitaxi, col suo solenne intro di trombe, e Sunrise, che grazie ai piatti della batteria ci riporta alla mente bei ricordi come quel Go di Jónsi.
La nuova uscita dell' artista tedesco si chiude come si era aperta, con in testa armonie e percorsi sonori da seguire e melodie su cui insistere, con la convinta idea di inserire strumenti tali da dimostrarsi adatti ad un capitolo prettamente sperimentale qual'è questo Salon Des Amateurs. Per niente prolisso, ma anzi agevolmente pop, elastico nella sua media da quattro minuti per brano, e dotato di una freschezza che rende l' album irrinunciabile in vista di questi mesi caldi e frustranti. Una gemma, luccicante ma nemmeno troppo preziosa da custodire nelle tasche ed assaporare nei momenti meno postivi per cercare ispirazione. E magari un punto di partenza per l' approfondimento di una nuova corrente che trasuda aria di innovazione da tutti i pori.