- James B. Martin - chitarra
- Chuck Mosley - voce
- Mike Bordin - batteria
- Roddy Bottum - tastiera
- Bill Gould - basso
1. We Care a Lot
2. The Jungle
3. Mark Bowen
4. Jim
5. Why Do You Bother
6. Greed
7. Pills for Breakfast
8. As the Worm Turns
9. Arabian Disco
10. New Beginnings
We Care a Lot
Verso la metà dei 1980s, mentre in Europa impazzano post-punk e synth-pop, band statunitensi come Beastie Boys, Red Hot Chili Peppers, Fishbone e Living Colour si concentrano nell'incrociare funk e rap con rock e punk, inventando un cosiddetto "crossover-rock" (o, come definito in seguito, "funk-metal", termine però poco rappresentativo in quanto sembra ignorarne le radici punk/hardcore) che caratterizzerà profondamente il panorama dei vent'anni successivi. Seguendo un percorso analogo, i Faith No More, formatisi nel 1981 a San Francisco, si distingueranno dai loro contemporanei e porteranno avanti una carriera molto più brillante e originale, dapprima grazie all'ingresso in line-up del chitarrista Jim Martin e del vocalist Chuck Mosley, nel 1983, e successivamente grazie soprattutto al reclutamento del geniale e talentuoso vocalist Mike Patton, avvenuto appena nel 1989.
Il loro primo album, ovvero We Care a Lot (che si può trovare intitolato anche come Faith No More), uscito per la Mordam nel 1985, è tuttavia ancora lontano dagli schemi estremamente creativi che distingueranno i successivi lavori, ma mostra già un certo desiderio di superare una forte parentela con la new-wave industriale (Killing Joke) e influenzata da funk e dub (Gang of Four) tramite alcune sperimentazioni vocali, tastieristiche, e soprattutto chitarristiche.
L'apertura è lasciata alla title-track, un ottimo e ironico brano che diventa in breve l'inno del gruppo, caratterizzato da un andamento ritmico funk rimasticato in modo marziale, spezzato da sprazzi di violenza punk, che fa da base al decantare quasi rap di Mosley, un nuovo portavoce delle masse dall'inflessione alcolizzata ma estremamente espressiva, fino allo sfociare in un chorus esaltato da tastiere e cori vocali da pub.
The Jungle definisce la loro formula chitarristica a metà fra funk e punk, mentre una sezione ritmica martellante, le tastiere avvolgenti e la voce completamente delirante nei propri riverberi arrivano direttamente dalla dark-wave alla Joy Division.
Al contrario, la struttura di base in Mark Bowen è piuttosto influenzata dalla (all'epoca fiorente) scena glam-rock, sebbene la voce sembri decisamente un lamento punk da strada, e la batteria si esprima nuovamente in un battito sincopato affogato dai tappeti tastieristici dark-wave, creando una confusione stilistica ancora inedita.
Jim è un breve pezzo strumentale di chitarra acustica folkeggiante, totalmente inaspettato dopo le tracce precedenti.
In Why Do You Bother, Mosley torna ad utilizzare il rap nello stile della title-track, ma le tastiere gotiche e da film horror conferiscono al pezzo un'atmosfera opprimente ed angosciante, facendolo terminare addirittura su accordi barocchi di pianoforte, che lasciano spiazzati in attesa della successiva Greed, l'altro pezzo celebre del disco, un post-punk diluito nel synth-pop in pieno stile modaiolo del momento, dalle forti influenze dark-wave e rimbombante di echi vocali.
Ben più sperimentale la successiva Pills For Breakfast, un'altra traccia strumentale, che sfodera un minaccioso incedere heavy-metal in crescendo, con chitarre e tastiere sempre più chiassose, facendo strada a As the Worm Turns, una sorta di post-punk accattivante e modernizzato tramite un pianoforte iniziale sospirante note di classica romantica (con echi evidenti di Rachmaninoff), le cui stesse note si trasferiscono poi sui synth delle tastiere e vengono accompagnate da chitarra e drumming con forti influenze heavy-metal, su cui a breve il canto sgraziato di Mosley si innesta alla perfezione.
Arabian Disco è un altro brano derivato direttamente dalla new-wave, ma fatto detonare da chitarre che si concedono sfuriate hardcore-punk, mentre la voce si muove in bilico tra melodie cullate dalle tastiere e grida sostenute da ritmi trapananti.
Si arriva così alla conclusiva New Beginnings (divertente ossimoro), in cui le radici dark-wave, ancora una volta evidenti nel drumming a metronomo, vengono esasperate e superate dalle chitarre quasi hardcore-punk e dalla voce di Mosley resa più sguaiata che mai, mentre tappeti tastieristici ed echi vocali creano un altro climax stratificato e caotico fino all'implosione finale.
Sebbene il disco abbia una forte importanza storica e un indubbio valore di originalità rispetto agli standard del momento, la via che vogliono percorrere i Faith No More non è ancora per nulla chiara. L'insieme di influenze differenti suona ancora disordinato e confuso, a tratti eccessivamente grezzo, e debitore di troppi trend in voga all'epoca; in particolare, la sezione ritmica resta quasi anonima, dato che in ogni traccia si esprime ancora tramite le stesse ripetitive cadenze new-wave. Qualcosa trattiene ancora la spinta creativa del gruppo.