Omer Ephrat – chitarra, tastiere e flauto
Lior Seker – voce
Gili Rosenberg – basso
Tomer Z – batteria
1. The Show
2. Haze
3. Better Than Anything
4. Blocked
5. The Sum Of Damage Done
6. Real
No One’s Words
Ensemble israeliano quello degli Ephrat che prende il nome dal suo polistrumentista ideatore pur non risultando l’unica stella in grado di brillare lungo l’intero album. Infatti oltre le due special guest, l’infinito Gildenlow e l’introspettiva Petronella, la perla che irradia le note messe in album è rappresentata da Steven Wilson (Porcupine Tree) che riesce, anche se solo dietro al mixer, a conferire un significato musicale accattivante all’idea targata Ephrat (non disconoscendo minimamente il proprio personale background).
Un inizio quanto mai inaspettato e soprattutto fraudolento quello di No One’s Words: un prog metal rivestito da tinte dark con forti recuperi colti dal vasto campo del progressive più storico (Marillon, Yes, solo i primi che balzano in mente) è solo una prima immagine sfocata di quello che ci accingiamo a contemplare.Per nulla banali né scontati, una volta aperta la porta degli Ephrat la vista che ci si porge dinanzi è tutt’altro che attendibile e ad ogni passaggio spicca di novità e di atmosfere multidimensionali. Per comprendere ed apprezzare gli Ephrat bisogna raggiungere lo stato creativo degli A.C.T. ma con la stessa intensità immergerlo in una pentola piena di dark e new wave (è la voce di Lior su tutti a darci questo senso di scostamento dalla realtà, quasi come se Maynard Keenan fosse lì a suggerirgli le tonalità da adottare).Tutto questo e siamo solo alla prima traccia, dopo la quale la porta si tramuta in un mondo incantato dal sapore bjorkiano (se possiamo coniare questo nuovo termine) e sembra davvero essere lei a prenderci per mano e traghettarci dall’altra parte della riva. In realtà è “solo” Petronella che assolve al suo compito. Contemporaneamente gli echi dei Tool si sentono ma volente o nolente sono solo uno dei passaggi obbligati utili a comprendere il mondo degli (o di?) Ephrat, e le linee compositive si fanno sempre più intricate fino ad allontanarsi a tratti dalle tradizioni maynardiane ed abbracciare quelle degli Opeth più intimisti e di contorno.
Risulta davvero difficile premere STOP, se non altro per la curiosità di sapere cosa si nasconde dietro l’ennesima porta aperta, per apprezzare quale combinazione di note e tempi si cela dietro alle sei tracce di quest’opera e quali suoni sono prodotti dai molteplici strumenti (flauto compreso) presenti sul palco del nostro teatro immaginario. È strano ammetterlo ma le note orientaleggianti di Better Than Anything non ci stupiscono più di tanto così come fosse un parto pluriaccordi in stile The Mars Volta.Non c’è molto da descrivere, è come un quadro di un artista eclettico che può essere sottoposto a differenti e personalissime interpretazioni: la musica è lì ed arriva, senza sbavature, senza un intento cervellotico ma solo con un impatto emotivo strabiliante, limitato a chi sia davvero in grado di recepirlo ed incamerarlo. Questo è l’unico limite dell’album che per noi, però, è assolutamente un punto di forza.“Purtroppo” i tempi per nulla digeribili di Blocked non ci fanno cambiare di un briciolo idea: non è un ascolto facile questo è sicuro, ma tra le righe si colgono tantissime sfumature, ogni volta diverse, che creano valore di volta in volta, come fosse una musica uscita direttamente dalla mente di Mr. Wilson. Onnipresente.
Scelte vocali diverse tra una song e la sua successiva, timbri totalmente contrapposti, ed effetti che nella lunga The Sum Of Damage Done prendono il sopravvento (com)baciati da riff assolutamente prog, e la partecipazione di Daniel Gildenlöw non è assolutamente a caso (assolutamente magistrale nella sua interpretazione). Il tutto sopra le righe.Indecifrabilmente si giunge all’ultima lunghissima Real che sembra avvicinarsi a terreni più pop ma in realtà lo spessore resta incredibilmente invariato e le soluzioni architettoniche raggiungono l’avanguardia quando l’odore di OSI inizia a circolare nella saletta in cui ci troviamo. Ma ci accorgiamo che, ancora una volta, stiamo solo vivendo uno sprazzo di sogno.
Insomma una band che ha un’unica certezza: qualsiasi genere gli si voglia associare state pur certi che andrà a loro molto stretto!