Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

- James LaBrie – vocals
- John Petrucci – guitar
- Mike Portnoy – drums and backing vocals
- John Myung – bass
- Jordan Rudess – keyboards


Tracklist: 


Disc 1
1. A Nightmare to Remember
2. A Rite of Passage
3. Wither
4. The Shattered Fortress
5. The Best of Times
6. The Count of Tuscany

Disc 2
1. Stargazer
2. Tenement Funster/Flick Of The Wrist/Lily Of The Valley
3. Odyssey
4. Take Your Fingers From My Hair
5. Larks Tongues In Aspic Pt. 2
6. To Tame a Land

Disc 3
1. A Nightmare To Remember (Instrumental)
2. A Rite Of Passage (Instrumental)
3. Wither (Instrumental)
4. The Shattered Fortress (Instrumental)
5. The Best Of Times (Instrumental)
6. The Count Of Tuscany (Instrumental)

Dream Theater

Black Clouds & Silver Linings

Siamo giunti alla decima puntata del “Teatro dei Sogni” che ci ha sempre, nel bene o nel male, stupiti e la cui maturità negli ultimi tempi ha indiscutibilmente scosso il modo di interpretare il progressive metal moderno.

Ascoltando l’album si percepisce dal punto di vista compositivo una sorta di senso di responsabilità verso il proprio pubblico, pubblico che adesso è diventato ben più vasto che in passato: infatti dalle parti canoniche, come le prime strofe di una canzone o i ritornelli, si nota che la stravaganza creativa volta a soddisfare i palati più raffinati si è notevolmente ridotta a (s)vantaggio di sonorità più accessibili, più armoniche e digeribili, per abbracciare adesso un orecchio molto più variegato rispetto ai pochi fan del passato.
Ciò non vuol dire che siano meno “heavy” ma solo che stanno cercando di muoversi su una scala di sfumature molto più ampia che in passato, musicalmente parlando, agevolati dalle illimitate capacità tecniche di cui i cinque dispongono e processo questo in corso secondo una progressione (appunto) continua negli anni. Ciò spiega anche le numerose parti strumentali ancora all'altezza di album di caratura superiore, segno che il gusto per le proprie radici non è per nulla svanito, nonostante spesso i paragoni con il pacato Octavarium siano scontati.
In altri termini Black Clouds & Silver Linings potrebbe essere accostato ad un viaggio la cui meta non è per nulla cambiata rispetto ai suoi più vicini predecessori (Systematic Chaos in primis) ma il cui tragitto è più ampio e variegato; è come se avessero puntato la bussola verso la medesima destinazione ma, osservando la cartina, avessero optato per un sentiero molto più arzigogolato e sicuramente più lungo (6 tracce da 75 minuti) e di conseguenza discutibile (talvolta possiamo dire che si sono davvero smarriti).

In questo viaggio naturalmente si percorrono sentieri piacevoli ed altri un pò riduttivi ed evitabili. Tra i primi troviamo sicuramente l'iniziale A Nightmare To Remember, probabilmente il pezzo più convincente, groove e prog al tempo stesso, e The Count Of Tuscany che presenta dei forti richiami ai primi due periodi della longeva discografia dei Rush con l'aggiunta del classico tiro heavy per cui invece i canadesi non hanno mai optato.
Purtroppo ci sono dei passaggi meno d’impatto e molto più studiati che fanno pensare: sicuramente il singolo A Rite Of Passage ne fa parte con il suo incedere attendibile, la romanticissima The Best Of Times dedicata a Portnoy Senior (colui il quale, non dimentichiamolo, propose l'attuale nome della band dopo l'iniziale Majesty) e l’inascoltabile Wither che riprende qualcosa da The Ministry of Lost Souls e rende la restante parte più smielata e marcatamente pop.
Completamente diverso invece il discorso per The Shattered Fortress che va a costituire la quinta puntata della suite la cui composizione è iniziata con Six Degrees Of Inner Turbolence. In realtà, ascoltandola singolarmente, risulta essere un collage degli altri quattro brani che fanno parte della suite stessa: possiamo trovare interi saccheggi dai riff melodici ed orientaleggianti di This Dying Soul (Train Of Thought), ritornello e parte finale da The Glass Prison (Six Degrees Of Inner Turbolence), bridge da Repentance (Systematic Chaos) e un secondo bridge da The Root Of All Evil (Octavarium); e così la canzone letta singolarmente risulta essere solo uno strange deja vu, per dirla alla loro; la curiosità è che tutti insieme i brani sono divisi in sezioni (come tradizione progressive rock ed operistica ci insegnano), dodici nello specifico, ognuno delle quali ha l’iniziale del titolo per “R”. La scelta di una suite così composta è certamente una sorpresa molto apprezzata ma probabilmente studiata per un suo impiego in sede live.

Ma veniamo ai due album compresi nell’edizione tripla.
Il secondo album è un insieme di cover di band i cui echi si sentono lungo l’intera discografia e più genericamente nel sound dei DT. Purtroppo anche qui alcuni passaggi suonano abbastanza superflui nonostante la scaletta sia davvero originale: Stargazer degli intoccabili Rainbow ne è un esempio ed anche il medley dei Queen non brilla (in realtà le canzoni già sono proposte in sequenza su Sheer Heart Attack del ‘74), sicuramente più convincente è Odyssey di Steve Morse che è fisiologicamente scritta per essere vestita sul prog metal dei Nostri e ci getta nel rammarico per i tempi (progressivi) che furono. Positiva anche Take Your Fingers From My Hair, davvero bella la scelta di Larks' Tongues In Aspic Pt.2 come richiamo di una band fondamentale del genere (King Crimson) anche se non aggiunge nulla all’originale, pur troppo semplice nella sua riproduzione; strabiliante la scelta di To Tame A Land degli Iron Maiden dei quali già proposero nel lontano 2002 The Number Of The Beast per intero (interessante l’accostamento Dickinson/LaBrie).
In generale le tracce, molto simili alle originali, godono di una produzione di alto livello che sicuramente farà storcere il naso ai rocker di vecchia data, coloro che quelle canzoni le hanno viste nascere, ma forse potrebbe essere una buona occasione per aprire la strada della conoscenza ai neofiti. Solo per veri fan.

Il terzo album non è altro che un Black Clouds & Silver Linings strumentale, privo appunto dell’apporto di LaBrie, il che permette di dare spazio a luci ed ombre e capire per bene quali siano i punti delicati di questo decimo lavoro. L’apporto compositivo è davvero semplificato, le strutture delle strofe sono strette all’osso; spesso si ricorre al riffing heavy per attirare l’attenzione e sempre più raramente sulle doti della coppia Portnoy/Petrucci. Per il resto nulla cambia, le impressioni precedenti restano tali.

In conclusione possiamo dire che non restiamo molto stupiti da questa uscita e che speravamo in una dose maggiore di coraggio e di imprevedibilità da chi, musicalmente, si può permettere qualsiasi cosa (almeno sulla carta o sul pentagramma).

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente