- Mike IX Williams - Voce
- Scott Kelly - Chitarra, voce
- Bruce Lamont - Sassofono, voce
- Sanford Parker - Tastiere, drum programming
1. Serve or Survive
2. Bullets and Graves
3. Party Leg and Three Fingers
4. Run Through the Night
5. Dirt Poor and Mentally Ill
6. Hallows of the Stream
7. Last City Zero
8. Drapes Hung by Jesus
Last City Zero
I Corrections House sono un supergruppo formato nel 2012 da alcuni dei nomi più altisonanti della scena metal sperimentale, vale a dire Mike IX Williams, cantante degli Eyehategod, Scott Kelly, chitarrista dei Neurosis, Bruce Lamont, mastermind degli Yakuza, e Sanford Parker, bassista dei Minsk (qui addetto agli interventi elettronici di tastiera e al programming della drum machine).
Pubblicato per la Neurot Recordings il 28 ottobre 2013, Last City Zero ne segna l'esordio su full-length. L'album sembra quasi un'ucronia dell'evoluzione stilistica dei Neurosis, e un antidoto al sound innocuo sviluppato negli ultimi anni (culminato nel mediocre Honor Found in Decay). Ciononostante, è fallace ridurre l'opera dei Corrections House a un mero spin-off della musica dei Neurosis. Last City Zero è infatti una vera e propria somma diretta delle esperienze dei quattro musicisti: i Corrections House sfoderano qui un sound monolitico e oscuro, che assorbe sì il senso di incombente apocalisse dei Neurosis, ma anche il cantautorato intimista e tragico degli album solisti di Kelly, le collisioni metalliche sludge degli Eyehategod, il fatalismo dell'opera di Lamont (invero mutuato maggiormente dal notevole Feral Songs for the Epic Decline del 2011 piuttosto che dal sound degli Yakuza) e gli arrangiamenti esotici dei Minsk, dovuti principalmente alle tastiere e all'elettronica di Parker, che conferiscono un'atmosfera industriale (piuttosto che psichedelica) al sound dei Corrections House.
Già con l'apertura dell'album, la band sfodera uno dei numeri più creativi e intensi che qualsiasi membro dei Corrections House possa vantare nel proprio repertorio da almeno un lustro: la mesmerizzante trenodia di Serve or Survive riassume già tutti i diversi umori esibiti da Last City Zero, dapprima immergendo il soliloquio di Scott Kelly in un tessuto di rumori, effetti e atmosfere elettroniche pennellate dalle tastiere di Parker, per poi evolversi in una granitica marcia industrial/sludge metal che, con il passare dei minuti, si dirige sempre più verso lo spettro Godflesh.
Merito soprattutto dell'alchimia tra i quattro membri del progetto, che riescono a convogliare in un unico organismo coerente e ben congeniato le diverse strade intraprese negli anni nelle loro carriere, dando vita a un disco dall'impronta riconoscibilissima eppure estremamente fresco e originale.
Questo aspetto è particolarmente evidente in Party Leg and Three Fingers, trionfo definitivo dell'operazione Corrections House, in cui le apocalissi post-sludge dei Neurosis vengono tempestate dai turbinii e dalle distorsioni cataclismatiche delle tastiere di Parker, su cui aleggiano, in secondo piano, le evoluzioni spettrali del sassofono di Lamont, nella migliore tradizione Yakuza; o, ancora, in Dirt Poor and Mentally Ill, dal baricentro questa volta più spostato sul versante sludge di Eyehategod e Melvins, ma sempre irrimediabilmente compromesso dagli arrangiamenti quasi cosmici di Parker (qui improvvisandosi novello Noah Landis) e da una ferocia nichilista che rievoca i fantasmi dei primi Swans.
A questi incubi di post-metal industriale, i Corrections House alternano sfuriate elettroniche di scuola Ministry e Nine Inch Nails (Bullets and Graves) a numeri di folk e americana intimisti presi in prestito dalla carriera solista di Kelly (Run Throught the Night, dalle invadenti intermittenze di tastiere e conclusione con catartici riff a cascata di chitarra, la polverosa title-track e soprattutto la morriconiana Hallows of the Stream, accompagnata da sax e percussioni ossessive verso il tramonto). L'album si conclude degnamente con la funerea Drapes Hung by Jesus, che tra droni di tastiere, ritmi cibernetici di drum machine, cadenze industrial/sludge asfissianti degne di Justin Broadrick, motivi metafisici di sassofono e agghiaccianti latrati distorti e mutilati dall'elettronica, ribadisce nuovamente la coesione e la lucidità creativa del supergruppo.
Last City Zero entra così di diritto tra i titoli di metal estremo migliori dell'anno.