- Gianluca - Chitarra
- Lia - Componenti elettroniche
- Michele - Batteria
- Simone - Basso
1. i.
2. Pavement
3. Below
4. Twelve
5. Long Tail
6. From Streams to The Sea
7. Ayn Rand
We Left Our Chambers
Titolo un pò alla My Awesome Mixtape, We Left Our Chambers è il disco d'esordio degli italiani Hélas, whale, quartetto di belle speranze proveniente da Novara, con alle spalle esperienze musicali a base di post-metal e prog-rock. La loro proposta musicale assimila diverse influenze, le più disparate e non per questo non sempre ricollegabili fra di loro, tanto da essere difficilmente classificabile, persino a loro stessi. Proprio io, addetto a questa loro recensione, invece devo trovar risposta a questo quesito, cercando di diradare la nube composta da una moltitudine di generi e provando ad estrapolare le più nette e chiare influenze. L' album, composto da sette tracce, innanzitutto nasce seguendo modelli vecchi e nuovi (non solo in termini di artisti, ma anche di lavori come vedremo) del post-rock, spaziando da Mogwai fino agli Explosions In The Sky. Da qui si evolvono direttrici aventi a che fare con la sperimentazione, atmosfere e compendi ricollegabili ad ibridi come i Les Discrets e l' elettronica tipica dello slow-core, oltre che una tendenza per il math-rock e gli spigolosi intro dell' indie americano.
Partiamo subito con l' analisi della prima e dell' ultima canzone: i. dopo qualche eco di chitarre in lontananza, dalle movenze noise, si trasforma in qualcosa di veloce, anestetico e sofferente, degli Edwood impazziti che buttano fuori tutta la sofferenza che contraddistingue le loro canzoni suonando, mandando a benedire il pop e suonando puramente rock, con uno spirito allusivo ad Hardcore Will Never Die, But You Will. Pavement fonde i My Morning Jacket in versione Circuital con gli Yo La Tengo per poi scaricarsi in uno sfogo canoro da Fine Before You Came( anche se non della stessa portata) andando a terminare con tessiture chitarristiche di tutto rispetto. Da qui in poi si arriva al cuore di We Left Our Chambers, un tappeto denso di suoni rarefatti e ripartenze nevrotiche. Below è un anfratto post da cui sentono nascere voci sospese tra la naturalezza di violini e la freddezza stilistica di batteria e chitarra. In Twelve si hanno puri habitat scozzesi da Young Team, anche se le atmosfere bagnate dell' umida Glasgow naturalmente non sono nemmeno lontanamente riproducibili. Si ha poi una sfuriata in mezzo ad un parlato alla You're Lionel Richie ripreso dal film Ninotchka di Lubitsch, stavolta però meno incisiva nelle sue parti. Le varie orchestrazioni ed un ritmo più consapevole accompagnano i primi quattro minuti di Long Tail, che da lì in poi trova l' innesto del suono di chitarre, riconducibili ad esordi come quello degli If These Trees Could Talk. From Streams To The Sea ha un piglio leggermente sperimentale, ipnotica nella base quanto evocativa per il glockenspiel e la tastiera finale. Ayn Rand sembra quasi post-punk inizialmente, con un sound quadrato e asciutto ( mi vengono in mente nomi nuovi come i Teenage Panzerkorps) rilassandosi nei restanti minuti con un' atmosfera contraddistinta da un buon livello di qualità sonora e da tastiere prog.
Amano giocare fuori casa gli Hélas, whale, intraprendendo in questo We Left Our Chambers un viaggio dove sapientemente cercano di aggiungere elementi di varia natura alla fondamentale componente post-rock che domina il disco. Si divertono a ripetere le lezioni assimilate da maestri in questo campo, accelerando più volte i ritmi e mostrando svariate facce durante l' esecuzione dell' album. Da migliorare l' incisività di alcune parti, soprattutto quelle in crescendo, ma è da registrare che i quattro hanno le idee ben chiare su come agire in futuro. Buona fortuna.