- Rober Plant - voce, armonica
- Jimmy Page - chitarra
- John Paul Jones - basso, organo
- John Bonham - batteria
1. Immigrant Song
2. Friends
3. Celebration Day
4. Since I've Been Loving You
5. Out On The Tiles
6. Gallows Pole
7. Tangerine
8. That's The Way
9. Bron-Y-Aur Stomp
10. Hats Off To (Roy) Harper
Led Zeppelin III
Dopo il grandissimo successo dei due lavori precendenti (I e II), e un anno di tourneè intorno al mondo, i Led Zeppelin di Jimmy Page e Robert Plant erano sulla cresta dell’onda. Ormai portabandiera di quella cultura che tanto stava spopolando sia in America che nel vecchio continente, vale a dire quella Hippie, si erano guadagnati un posto particolare nel cuore di tutti i giovani dell’epoca che vedevano negli assoli di Page e nella voce di Plant i mezzi per estraniarsi da quella realtà tanto dura quanto triste.
Non contenti di ciò, i quattro musicisti, nel 1970 si chiudono in isolamento a Bron-Y-Aur, un villaggio sperduto nella campagna gallese e incidono il loro terzo capolavoro di fila, Led Zeppelin III. Il disco segna una grandissima evoluzione nel sound della band, che allarga i suoi orizzonti musicali verso il folk e il country, inserendo svariate chitarre acustiche nelle canzoni e attuando una ricerca sonora non indifferente.
Le prime note che si sentono quando si preme il tasto Play sono inconfondibili. E’ Immigrant Song, grande classico della band e pezzo monolitico del rock in generale. Il riff di Page che si ripete per tutta la canzone è sostenuto da un basso avvolgente e da un grandissimo Bonham, mentre Plant ci racconta di eroi e guerrieri della mitologia nordica. Da qui poi si riesce a intravedere il grande amore di Plant per la storia e per le leggende folk. Forse un pezzo troppo breve, ma comunque una giusta opener, dotata di grandissima presa.
L’acustica di Page introduce Friends, pezzo in crescendo basato sulla tastiera orientaleggiante di Jones e dagli accordi di chitarra, che parla della gioia di vivere e dell’amicizia tra gli uomini. A seguire Celebration Day, gran pezzo hard-rock nel quale le singole individualità vanno salendo, creando quel feeling tra gli strumenti che fanno di questo uno tra i migliori pezzi dell’album. Si arriva velocemente alla quarta traccia, Since I’ve Been Loving You, pezzo più lungo del platter, ma anche il più bello e coinvolgente. La chitarra sofferta di Page ci introduce alla strofa, dove Plant da sfogo alla sua ugola d’oro, riuscendo a interpretare il testo del chitarrista, creando delle atmosfere blues calde e passionali. L’assolo è uno tra i migliori del disco, commovente. Ancora una volta Page si dimostra un genio delle sei corde, capace di far parlare i suoni delle vibrazioni di alcune corde di metallo.
Il tappeto è dato dall’organo di Jones, che arrangia il pezzo inserendo molte chicche che stupiscono l’ascoltatore anche dopo i primi entusiastici ascolti.
Out Of The Tiles si presenta come uno tra i pezzi più “violenti” del disco, costruito sui riff acidi e psichedelici di Page e la batteria di un Bonham particolarmente ispirato, capace di fare i numeri dietro le pelli. Pezzo validissimo, riporta alle atmosfere rockeggianti dei dischi precedenti. Da sottolineare la grandissima prestazione vocale di Plant, sempre più icona del gruppo.
Da Gallows Pole inizia la sequela di brani acustici di Led Zeppelin III. A dir la verità, tale sequenza non poteva iniziare meglio. Gallows Pole si presenta come una canzone varia, molto sentita da Robert Plant, e che riprende le atmosfere folk tanto care a Page. Non a caso, l’innesco di chitarre country e di strumenti “non convenzionali” nella musica rock, rende il pezzo interessantissimo, una sorpresa continua. Gran finale con cori e assolo fantastico. Si arriva a Tangerine, vera e propria perla del disco. La canzone, forse troppo breve, è una vera e propria opera dove tutti gli strumenti si fondono perfettamente in un'unica grande forza che non può non puntare direttamente al cuore. Infinitamente sottovalutata, riflette l’atmosfera trasognata che si avverte per tutta la sua durata. L’arpeggio iniziale, nella sua semplicità riesce a portare l’ascoltatore nelle campagne gaeliche, in mezzo alla natura. La chitarra elettrica di Page ci riporta sulla terra, ma solo dopo ci rendiamo conto di essere alcuni centimentri al di sopra del terreno, ad occhi chiusi.
That’s The Way è una ballata soffusa, con un bellissimo testo, che si incastona perfettamente con il resto delle traccie, non stonando per niente col contesto del disco. La sua leggerezza e purezza si porta avanti per tutti i cinque minuti di durata, senza un attimo di incertezza. La sequenza di acustiche si chiude con Bron-Yr-Aur Stomp, canzone gradevolissima e spensierata, che vede la partecipazione di Bonham alle vocals. Sicuramente non un capolavoro ma una chicca che vede un Plant in una prestazione molto “simpatica”, mentre il sonaglio e lo scocchiar di mani scandisce il tempo nella piena tradizione rock n’ roll americana.
Hats off to (Roy) Harper è il brano di chiusura dell’album, e si presenta come il più particolare di tutti. La vena psichedelica tanto cara ai Led Zeppelin qui ha forse la più grande esplosione della carriera, portando la canzone in questione ad essere una tra le più interessanti del platter.
Intendiamoci, non è affatto un capolavoro, anzi…Le frasi di Plant ripetute all’infinito sembrano vibrare come note di armonica e fanno di tutto per non uscire più dalla testa, mentre la chitarra di Page, seppur acustica sembra distorcersi e le corde sembrano suonare in maniera quasi innaturale.
Il disco in questione si presenta come il più particolare e atipico della produzione zeppeliniana, ricco di milioni di sfaccettature diverse. La grande sfida dei Led Zeppelin è stata più che vinta: la loro evoluzione verso sonorità diametricalmente opposte all’Hard Rock sparato a mille dei primi album è valsa al gruppo la creazione di un album ricco di sentimento e di continua scoperta. Poche band riescono a comporre tre capolavori di fila…