- Padma Newsome - Voce, Violino, Viola
- Bryce Dessner - Chitarra, Ukulele
- Rachaell Elliott - Bassoon
- Thomas Kozumplik - Percussioni
1. Kapsburger
2. Canon
3. 5/4
4. 2:3:5
5. Death and the Maiden
6. Lantern
7. Tides of Washington Bridge
8. The Song of the Cricket
9. Fiddlegree
10. Compass
11. Voisins
12. Tides (Piano)
Lantern
Dannatamente intenso.
Se c'è un disco che negli ultimi anni di musica "di nicchia" può incarnare senza sbavature questo ricco aggettivo, allora si tratta di Lantern, quarto studio album dei newyorchesi Clogs nonchè opera dal fascino e dal valore inestimabile. Chi già da tempo segue i The National, allora non si sarà lasciato sfuggire questo gruppo nato proprio grazie al geniale e versatile compositore australiano Padma Newsome (famoso anche per la sua apparizione con i The Devastations e con alcune tra le più importanti orchestre sperimentali contemporanee), che della sopracitata band ha formato e forma tutt'ora la spina dorsale assieme a Bryce Dessner, anch'egli impegnato nei Clogs in veste di chitarrista. Ma guai a confondere ciò che i The National hanno fatto e composto rispetto a quello che i Clogs presentano attraverso la propria musica che in Lantern raggiunge la sua massima espressione: profonda malinconia interiore, richiami strumentali ad un folk atipico dipinto di aloni classical e intrecciato ad eleganti motivi post rock; se oggi come oggi è l'originalità che fa valere davvero un gruppo, i quattro newyorchesi ci sono allora riusciti senza la minima difficoltà, andando a costruire uno stile unico per varietà ed intensità che nello scacchiere sperimentale moderno non era mai stato presentato con così evidente efficacia.
Perchè se non vi fa effetto sentire la morbidezza di chitarre elettriche lente e sinuose abbracciarsi delicatamente a trame strumentali dominate da corni, ukulele e violini, allora Lantern non impiegherà molto nel fare silenziosamente breccia nel vostro cuore. D'altronde, di dischi così intensi e penetranti se ne vedono pochi, e quando appaiono è sempre una meraviglia da cogliere, che lo si voglia o no.
Tra esperimenti elettroacustici e sviolinate tardoromantiche, Lantern si scioglie nella brillante varietà dei suoi particolari e a noi non resta che fare lo stesso, perchè dalle dolci note di liuto della opener Kapsburger (rivisitazione moderna di un brano dell'omonimo Johann Hieronymous Kapsburger, compositore del '500) fino all'abbandonata tristezza pianistica della conclusiva Tides (Piano), il disco è un canto commosso di nostalgie e ricerche interiori, rese attraverso un linguaggio compositivo peculiare e minuziosamente attento ai particolari.
Ascoltando l'album quasi si perde ogni metro di giudizio e qualsiasi affrettato stimolo valutativo, perchè durante il suo ascolto difficilmente si può trovare il tempo per pensare, per azzardare un benchè minimo commento, perchè Lantern è un flusso continuo di emozioni e suoni toccanti magicamente incastrati tra loro. La poetica musicale dei Clogs si snoda in un susseguirsi di atmosfere rarefatte e permeate da una malinconia che come una serie di piccole goccie piovane rintocca su una superficie acquosa in cui le nostre emozioni si riflettono asimmetriche e disordinate. Ogni canzone del brano è un gioiello di rara bellezza che nasconde tra le sue note una drammaticità espressiva senza paragone: anche quando il sound abbandona completamente qualsiasi riferimento al "moderno", come accade ad esempio nelle sfumature classicheggianti di Compass, la compattezza del disco non si frammenta e prosegue la sua instancabile scalata emotiva senza esitazione alcuna. 5/4, che con le sue progressioni strumentali si pone come l'esperimento più rock e indubbiamente tra i più toccanti del lotto, rilascia aromi intensamente adornati di malinconia che nella successiva 2:3:5 ritornano trovando una propria rappresentazione ancora più fluida e timbricamente ricca: suadenti note di archi e ukulele si incastrano a leggeri fraseggi chitarristici di matrice post rock, delineando un'atmosfera pacata e avvolgente in cui i Clogs sottolineano una versatilità senza confini che va a riscontrarsi con uno stile delicato e sempre attento alle emozioni.
Come dimostra l'omonima e commovente Lantern (atmosfericamente innalzata dal sofferto cantato di Newsome), dietro, o meglio, dentro questi raffinati giochi strumentali, si celano abbaglianti riserve melodiche che si riproducono senza sosta l'una dopo l'altra, passando per stili e dimensioni diverse e in perpetua evoluzione: dal folk morbido di Tides Of Washington Bridge a quello più inquietante e ostinato della magnifica Voisins, passando per le stridenti pause melodiche di Death And The Maiden e la disorientante psichedelia di The Song Of The Cricket, in cui si perde in qualche modo l'essenza più folkloristica del disco, i Clogs creano, dipingono, ritraggono e trasformano in continuazione un palpitante limbo di idee e fantasie che trema e poeticamente si scompone non appena i suoni e le atmosfere cominciano a colorarsi.
Newsome ha saputo immettere nella musica dei Clogs le pulsioni del suo mondo (extra)musicale in cui pop/rock d'avanguardia, frammenti folkloristici presi dalle più sperdute zone del pianeta e sperimentali rivisitazioni della musica da camera coesistono senza la minima sbavatura, andando ad immortalare quella che è e che rimarrà come una tra le più interessanti proposte musicali degli ultimi anni.
Lantern è un disco imperdibile per i cultori del folk, soprattutto di quello più atipico (nulla a che vedere comunque con neo folk e simili), ma anche per tutti coloro che sono aperti a contaminazioni stilistiche e disparate fusioni cromatiche. Nulla di sconvolgente o di shockante, nessuna musica di rottura o permeata da recondite provocazioni concettuali: la libertà e il commovente intimismo con cui Newsome ha progettato nei minimi particolari quest'opera, sono una meraviglia poetica che non ha bisogno di ulteriori digressioni o analisi tecniche per essere capita, perchè basterà ascoltarlo per coglierne la magniloquenza espressiva, drammatica ed evocativa.