- Gioele Valenti - voce, chitarra, altri strumenti
1. 5.38/Dawn In My Garden
2. Hidden
3. Waterline
4. Day Goes By
5. Report
6. July 2, By The Lake
7. Stoned
8. Stand In A Graveyard
9. Perpetual/Youth
10. To Become A Trappist/Aerolith
God Is A Major
Progetto particolare questo di Herself: sotto questo pseudonimo si nasconde Gioele Valenti, musicista Folk e scrittore di racconti Gothic-Pop, che dopo l’esordio Please please please, leave now torna con questo disco intimista e nudo, disperso in un folk solitario, agrodolce, ipnotico e catturato da un registratore a quattro piste in una stanza di una fatiscente stamberga abbandonata.
E’ questo il modus operandi dell’unico musicista presente in questo disco, che tuttavia si avvale di amici/collaboratori durante le sessioni live, arricchendo una proposta volutamente spoglia e ossuta, dal retrogusto Low-Fi.
Fruscii di sottofondo e mixaggio assolutamente crudo sono perciò le cicatrici autoinflittesi da Herself, che decide di aprire il disco con una breve introduzione strumentale prima di tuffarsi a capofitto nelle atmosfere a tratti claustrofobiche della sua musica.
Bastano i primi secondi di Hidden per ascoltare gran parte di ciò che ha da offrire questo disco: una chitarra acustica ricama un sottile tappeto di suono ripetendo in loop il suo scarno lavoro lasciando che la voce si appoggi su di essa, cadendo lieve ed eterea quasi come fosse sussurrata all’ascoltatore.
Viene accennato un ritornello che ritorna due volte nel corso della canzone giusto per non far addormentare l’ascoltatore e si passa a Waterline che appare ancora più monosei minuti della canzone, solo una batteria rarefatta ci salva per qualche secondo dall’intorpidimento.
Finalmente Report sguinzaglia una chitarra più movimentata che talvolta si apre per ospitare motivi vagamente orecchiabili.
July 2, By The Lake si mostra più accessibile delle precedenti, nuotando in un malinconico arpeggio di chitarra piacevole e melodico la voce torna a recitare con i suoi toni lievi, sfiorando più volte l’attenzione dell’ascoltatore.
Il primo singolo estratto, Stoned, è una canzone tradotta in una tipica forma cantautoriale e accompagnata da batteria e lontane tastiere giocattolose, caratteristiche che la discostano dalle scelte precedenti, rendendola il pezzo più appetibile del disco.
Ed è una batteria a trainare Stand In A Graveyard, dai toni più elettronici e sperimentali fino a Perpetual, Youth pezzo interamente strumentale che si spezzetta sul finale in un beat elettronico.
To Become A Trappist/Aerolith è il pezzo più sporco, movimentato e Low-Fi dell’intero album.
Abbandona totalmente i toni Folk per entrare in una dimensione Electro-Punk casalinga e rudimentale, stupendo l’ascoltatore con una batteria grezza ed uniforme, ed una chitarra che disegna groove piacevolmente rancidi.
Non è un disco per tutti questo God Is A Major.
Assume raramente forme ricordabili o anche solo orecchiabili, stemperandosi passivo in canzoni dalla durata media di 5 minuti e più, che si ripetono nello stesso giro di chitarra dall’inizio alla fine troppo spesso per emozionare. Inoltre la voce leggera e cullante ci trascina velocemente verso l’ipnosi, rendendo il tutto fin troppo morbido e lento.
E’ un disco che va ascoltato come accompagnamento mentre si fa qualcosa di rilassante e spensierato,
relegandolo al compito di “sottofondo musicale”.
Solo per veri appassionati del genere.