- Gunnhild Sundli - Voce
- Sveinung Sundli – Violino, Tastiere
- Magnus R. Børmark – Chitarra, Chitarra sintetizzata, Synth
- Gjermund Landrø – Basso
- Martin V. Langlie – Batteria
1. Bendik og Årolilja
2. Snåle mi jente
3. Til deg
4. Springleik
5. Stengd dør
6. Kara tu omna
7. Jygri
8. Bruremarsj frå Jämtland
9. Skrømt
10. Inga Litimor
11. Margit Hjukse
12. Solbønn
Jygri
Ottenere un disco di platino in madrepatria, vincere il premio Spellemann (una specie di Grammy norvegese) come migliore ‘new sensation’ dell’anno, balzare al top delle charts dopo nemmeno dieci giorni dalla pubblicazione: non sono cose da tutti, queste. Ottenere tutto ciò con il proprio disco di debutto, anche in un paese ‘piccolo’ come la Norvegia, è impresa ancora più difficile, ma è sembrato uno scherzo riuscirvi per la band che vi sto presentando, i Gåte, quintetto proveniente dalla regione del Trøndelag capace di raccogliere un plauso unanime dalla critica con questo “Jygri” e il suo esplosivo incrocio di Rock alternativo e tradizione Folk, ma intelligenti nel venare il loro sound anche con la durezza del Metal e la dolcezza dell’Elettronica.
La band, fondata sul finire del millennio dal violinista Sveinung Sundli e da sua sorella Gunnhild (classe ’85), si fece subito notare positivamente con un EP omonimo (2000) che le valse un contratto prestigioso con la divisione locale della Warner Bros; un secondo EP omonimo, del 2002, mostrò il potenziale musicale e commerciale della band, arrivando a conquistare un apprezzamento dopo l’altro e buone posizioni in classifica: lo stesso anno i Gåte torneranno in studio per registrare e pubblicare questo “Jygri”, primo full-length: il successo fu clamoroso, e oltre agli elogi elencati ad inizio recensione, la bontà di questo disco permise alla band di esibirsi al rinomato festival danese di Roskilde l’anno successivo.
I Gåte hanno nel loro patrimonio genetico sia un amore innato per le tradizioni musicali della loro terra, sia la capacità di rivederle attraverso un sound moderno ed accattivante, per nulla stantio ed abusato: quasi tutti i brani di “Jygri” derivano direttamente sia le liriche che le melodie dalla tradizione popolare, mentre i restanti sono composti ex novo dal gruppo, ed abbinati alle poesie della scrittrice loro conterranea Astrid Krog Halse: è però praticamente impossibile discernere gli uni dagli altri, dato che gli arrangiamenti curatissimi di Sveinung danno un tocco retrò alle nuove composizioni e modernizzano con sapienza le ballate Folk della loro terra: melodie che nel recente passato hanno avuto la possibilità di uscire dalla penisola scandinava solo grazie all’interessamento di rinomati artisti Jazz (il nome di Jan Garbarek penso sia sufficientemente significativo) o di giovani bands provenienti dal panorama Metal.
A dominare la scena è tuttavia il carisma della giovanissima Gunnhild, abile nel modulare la sua voce in interpretazioni dalla grande potenza, ma capace anche di affrontare paesaggi più delicati (“Stengd Dør”): pur peccando talvolta di inesperienza (alcune melodie in “Snåle Mi Jente” lasciano perplessi), la bionda norvegese ha una verve inesauribile e contagiosa, e raccoglie meritati applausi per tutto il corso del disco, a partire dalla fenomenale opener “Bendik og Årolilja”, dall’inizio rarefatto e Folkeggiante (con tanto di vocalizzi orientati alla tradizione) ma dallo sviluppo colorato e coinvolgente: diluite chitarre sintetizzate e violini impazziti sostengono le evoluzioni di Gunnhild per un brano perfetto nel catapultare l’ascoltatore diversi paralleli più a Nord.
Ma il brano forse più atipico e affascinante è l’ottavo, “Bruremarsj frå Jämtland”: letteralmente, una marcia nuziale della regione dello Jämtland, che con lenti movimenti a spirale costruisce un panorama d’amorevole dolcezza dalla rara intensità: la vocalist si limita a seguire le melodie dipinte dalle corde del violino con le proprie corde, quelle vocali, alternando sospiri soavi a esplosioni di poetica maestosità; e se la furiosa strumentale “Springleik” rivede in chiave Hard-Rock le intuizioni che furono di Hedningarna e Garmarna, le ballate “Stengd dør” e “Skrømt” godono di una raffinatezza suprema. Un altro highlight è “Kara Tu Omna”, riecheggiante Enya nella sezione introduttiva, ma pronta a srotolarsi in un brano variopinto, sempre in equilibrio precario, ondeggiante tra le sfibranti incursioni elettriche delle chitarre e le eleganti e danzanti intuizioni Folk di violino e tastiere.
Nel finale, il riffing squadrato, granitico, tipicamente Metal degli otto minuti di “Margit Hjukse” si contrappone alle suggestioni atmosferiche di “Inga Litimor” e “Solbønn”, rifinite di battiti elettronici (un tappeto di beats degno del miglior Trip Hop) ed eteree tastiere, donando al disco ulteriore varietà e profondità: conclusione in chiave decisamente intima per un disco che si è rivelato esplosivo per buona parte della propria durata: “Jygri”, in bilico fra tradizione e futuro, è fortemente consigliato agli appassionati di Rock alternativo e Hard che abbiano nei propri gusti musicali una vera passione per le sognanti melodie Folk tipiche del Nord-Europa.
Unica controindicazione all’ascolto di “Jygri”? La superiorità del suo successore, lo sfavillante gioiello “Iselilja”: ma questa è un’altra storia...