sPAZIALE Festival
15-18/07/2007 - Spazio211 - Torino
La seconda parte dello sPAZIALE Festival vede le esibizioni di Mudhoney e Beasts of Bourbon, Bright Eyes, Wilco e le CSS. Quattro serate completamente diverse fra loro ma che attirano un grande pubblico non solo proveniente dal Piemonte.
15 luglio
Mudhoney + Beasts of Bourbon
Mudhoney + Beasts of Bourbon
Ancora una volta sotto ad un bellissimo cielo torinese si riparte alla grande con un po’ di storia del rock/grunge il cui nome è Mudhoney. Un nome senza il quale forse non ci sarebbero stati i Nirvana, forse non sarebbe nata la parola “grunge” e forse il rock sarebbe morto. Ma la serata allo sPAZIALE non inizia così.
Ad aprire le danze ci pensano i Beasts Of Bourbon, una scarica di hard rock ‘n’ roll fatto come si deve, quel rock da birreria suonato davanti ad un pubblico di motociclisti. Provenienti dall’Australia, i cinque si divertono e azzardano man mano che le birre aumentano; il cantante palesemente ubriaco è dotato di una voce grezza e dura ma facile da amare, soprattutto se usata in modo così esemplare. Il chitarrista col cappello da cowboy prova ad incitare la folla poco partecipe e quasi spaventata (giustamente, visto che si teme il collasso da parte di uno qualsiasi dei membri della band); sembra di essere in un pub texano durante l’esibizione di un gruppo rock non molto giovane, di quelli che si vedono nei film. Dopo i 40 minuti a disposizione il singer lascia il palco senza salutare e portandosi via tutte le birre che trova, intanto che “le bestie” concludono il concerto per poi scappare in camerino. Comunque tutto funziona a meraviglia visto che pur non proponendo niente di innovativo il gruppo riesce a far parlare di se e a farsi ricordare dai presenti.
Alle 22.30 tocca ai Mudhoney; Mark e soci iniziano con You Got It e Suck You Dry cantate da chiunque sia sotto al palco. C’è da notare come la voce del frontman sia ancora molto simile a quella delle prime registrazioni della band di Seattle nonostante siano quasi passati due decenni. Una voce alta, senza stecche e che riesce a farsi notare in mezzo a quel suono cattivo del basso suonato rigorosamente senza plettro e di quella batteria attenta ma veloce. Le nuovissime It Is Us e Where Is The Future fanno la loro bella figura, con un grande movimento fra il pubblico che diverrà quasi pogo nel corso dello show. La band non sembra molto partecipe, anzi è svogliata o forse stanca del tour qui giunto alla fine, ma in ogni caso sono le canzoni che interessano e queste canzoni sono eseguite perfettamente. Non c’è un accenno di scenografia, sul palco nient’altro che i quattro Mudhoney e i loro strumenti; si susseguono quindi Inside Job, No One Has, il garage rock di Sweet Young Thing Ain't Sweet No More, e ancora Touch Me I’m Sick. Chi si è fatto il viaggio appositamente fino a Torino di certo non può lamentarsi, già solo per la presenza di tutte queste canzoni in scaletta (come si nota, molto incentrata sui primi dischi). Nonostante questo sul palco non c’è molta grinta e non c’è energia, seppur le canzoni siano dei veri pezzi di storia tanto emozionanti da vedere eseguiti dal vivo. E così vanno via anche Where The Flavor Is, I Have To Laugh e In ‘n’ Out Of Grace, durante la quale Mark lascia la chitarra al “cowboy” dei Beasts of Bourbon in modo da potersi dedicare al microfono. E’ verso la fine della serata che il gruppo sembra un po’ più attivo, con la storica Hate The Police e Here Comes Sickness; la band comunque il suo dovere l’ha fatto e certamente non gli si può dire nulla. Forse c’erano troppe aspettative o forse non si riesce ad accettare un concerto normale da una band fuori dal comune; probabilmente avevamo tutti frainteso questo spettacolo.
Ad aprire le danze ci pensano i Beasts Of Bourbon, una scarica di hard rock ‘n’ roll fatto come si deve, quel rock da birreria suonato davanti ad un pubblico di motociclisti. Provenienti dall’Australia, i cinque si divertono e azzardano man mano che le birre aumentano; il cantante palesemente ubriaco è dotato di una voce grezza e dura ma facile da amare, soprattutto se usata in modo così esemplare. Il chitarrista col cappello da cowboy prova ad incitare la folla poco partecipe e quasi spaventata (giustamente, visto che si teme il collasso da parte di uno qualsiasi dei membri della band); sembra di essere in un pub texano durante l’esibizione di un gruppo rock non molto giovane, di quelli che si vedono nei film. Dopo i 40 minuti a disposizione il singer lascia il palco senza salutare e portandosi via tutte le birre che trova, intanto che “le bestie” concludono il concerto per poi scappare in camerino. Comunque tutto funziona a meraviglia visto che pur non proponendo niente di innovativo il gruppo riesce a far parlare di se e a farsi ricordare dai presenti.
Alle 22.30 tocca ai Mudhoney; Mark e soci iniziano con You Got It e Suck You Dry cantate da chiunque sia sotto al palco. C’è da notare come la voce del frontman sia ancora molto simile a quella delle prime registrazioni della band di Seattle nonostante siano quasi passati due decenni. Una voce alta, senza stecche e che riesce a farsi notare in mezzo a quel suono cattivo del basso suonato rigorosamente senza plettro e di quella batteria attenta ma veloce. Le nuovissime It Is Us e Where Is The Future fanno la loro bella figura, con un grande movimento fra il pubblico che diverrà quasi pogo nel corso dello show. La band non sembra molto partecipe, anzi è svogliata o forse stanca del tour qui giunto alla fine, ma in ogni caso sono le canzoni che interessano e queste canzoni sono eseguite perfettamente. Non c’è un accenno di scenografia, sul palco nient’altro che i quattro Mudhoney e i loro strumenti; si susseguono quindi Inside Job, No One Has, il garage rock di Sweet Young Thing Ain't Sweet No More, e ancora Touch Me I’m Sick. Chi si è fatto il viaggio appositamente fino a Torino di certo non può lamentarsi, già solo per la presenza di tutte queste canzoni in scaletta (come si nota, molto incentrata sui primi dischi). Nonostante questo sul palco non c’è molta grinta e non c’è energia, seppur le canzoni siano dei veri pezzi di storia tanto emozionanti da vedere eseguiti dal vivo. E così vanno via anche Where The Flavor Is, I Have To Laugh e In ‘n’ Out Of Grace, durante la quale Mark lascia la chitarra al “cowboy” dei Beasts of Bourbon in modo da potersi dedicare al microfono. E’ verso la fine della serata che il gruppo sembra un po’ più attivo, con la storica Hate The Police e Here Comes Sickness; la band comunque il suo dovere l’ha fatto e certamente non gli si può dire nulla. Forse c’erano troppe aspettative o forse non si riesce ad accettare un concerto normale da una band fuori dal comune; probabilmente avevamo tutti frainteso questo spettacolo.
16 luglio
Bright Eyes + Jaymay
Bright Eyes + Jaymay
Il giorno dopo i Mudhoney sullo stesso palco è esattamente l’opposto: suoni dolci ed eterei con Jaymay e Bright Eyes, niente chitarre cattive e distorte e poca birra. Jaymay è una ragazza newyorkese molto giovane che si serve esclusivamente di una chitarra e della sua splendida voce. Umilissima e senza pretese dedica mezz’ora per eseguire i suoi sette brani, ringraziando emozionata e cercando di parlare in italiano alla fine di ogni pezzo. Presenti in scaletta tra le altre Corduroy, la più conosciuta Sea Green See Blue, Song For Paul, Big Ben, e You Are The Only One I Love. Ma la sua mezz’ora acustica finisce e sul palco ci sono due batterie, tantissimi microfoni e decine di mazzi di fiori che aspettano gli headliner.
Bright Eyes, ovvero Conor Oberst, questa volta fa le cose in grande: insieme a lui infatti ci sono undici musicisti tra chitarre, violini, percussioni e tastiere.
La scaletta comprende gran parte dei brani tratti dall’ultimo Cassadaga, partendo con Clairaudients (Kill Or Be Killed), Hot Knives, Make a Plan To Love Me, Middleman e Four Winds. Il cantante, affascinante per quel suo modo di comportarsi e per quella sua timidezza che cerca di celare con alcune battute, è completamente avvolto nella musica. C’è spazio per Cartoon Blues e le vecchie I Won’t Ever Be Happy Again e The Calendar Hung Itself; gli occhi sono tutti puntati sul cantautore che continua a spostarsi con la sua chitarra ma lui non sembra badare alla gente. Inoltre è sorprendente vedere due batteristi sullo stesso palco, fra l’altro sono due ragazze che spesso suonano contemporaneamente (altre volte fanno a turni) e una delle due è Janet Weiss, ex Sleater Kinney. C’è tanta emozione e le canzoni sono molto sentite dal pubblico (purtroppo non molto numeroso) per un concerto in grande stile che sta arrivando alla conclusione con No One Would Riot For Less, False Advertising, I Believe in Symmetry e Lime Tree. Posati gli strumenti e lontani dai riflettori per qualche minuto, Conor e i suoi musicisti (tutti elegantemente vestiti di bianco) ripartono concedendo un bis con Gold Mine Gutted. Tante suggestioni e sogni vissuti ad occhi aperti evocati dal sound profondo e sincero dei Bright Eyes; sicuramente uno show spettacolare e coinvolgente anche per chi non aveva mai sentito prima questa band.
Bright Eyes, ovvero Conor Oberst, questa volta fa le cose in grande: insieme a lui infatti ci sono undici musicisti tra chitarre, violini, percussioni e tastiere.
La scaletta comprende gran parte dei brani tratti dall’ultimo Cassadaga, partendo con Clairaudients (Kill Or Be Killed), Hot Knives, Make a Plan To Love Me, Middleman e Four Winds. Il cantante, affascinante per quel suo modo di comportarsi e per quella sua timidezza che cerca di celare con alcune battute, è completamente avvolto nella musica. C’è spazio per Cartoon Blues e le vecchie I Won’t Ever Be Happy Again e The Calendar Hung Itself; gli occhi sono tutti puntati sul cantautore che continua a spostarsi con la sua chitarra ma lui non sembra badare alla gente. Inoltre è sorprendente vedere due batteristi sullo stesso palco, fra l’altro sono due ragazze che spesso suonano contemporaneamente (altre volte fanno a turni) e una delle due è Janet Weiss, ex Sleater Kinney. C’è tanta emozione e le canzoni sono molto sentite dal pubblico (purtroppo non molto numeroso) per un concerto in grande stile che sta arrivando alla conclusione con No One Would Riot For Less, False Advertising, I Believe in Symmetry e Lime Tree. Posati gli strumenti e lontani dai riflettori per qualche minuto, Conor e i suoi musicisti (tutti elegantemente vestiti di bianco) ripartono concedendo un bis con Gold Mine Gutted. Tante suggestioni e sogni vissuti ad occhi aperti evocati dal sound profondo e sincero dei Bright Eyes; sicuramente uno show spettacolare e coinvolgente anche per chi non aveva mai sentito prima questa band.
17 luglio
Wilco + Alessandro Raina
Wilco + Alessandro Raina
E’ un vero peccato non poter parlare di Alessandro Raina ma addirittura prima delle ore 21.30 il concerto era già concluso per cui non tutti hanno avuto la possibilità di vedere l’esibizione. Ci sono stati molti commenti positivi riguardo al sound del trio milanese capitanato dall’ex cantante dei Giardini di Mirò; in ogni caso, le possibilità di rivederlo on stage non sono poche quindi ci sarà senz’altro modo di ammirare il gruppo in un’altra occasione.
I Wilco invece salgono sul palco dello sPAZIALE per un’unica data italiana che ha portato a Torino quasi tanta gente quanta ne avevano portati i Sonic Youth nello stesso luogo una settimana prima. Senz’altro un bel traguardo soprattutto perché la band di Chicago non gode di fama e pubblicità radio/televisiva, cosa che invece dovrebbe avere visto che le carte in regola le ha eccome. Tutta la loro considerazione resta quindi underground, in un passaparola che continua da anni grazie ad album come Yankee Hotel Foxtrot, A Ghost Is Born e l’ultimo Sky Blue Sky. Ed è da questi dischi che si basa il live della serata, iniziato con Either Way, You Are My Face, I Am Trying To Break Your Heart e Kamera che si susseguono senza neanche una parola di presentazione. Ma non è il dialogo che conta, i Wilco sfornano dei brani eccellenti così come lo sono su disco, anzi dal vivo rendono decisamente di più, merito di un’attitudine più rock che pop rock. Continuano con A Shot In The Arm, Side With The Seeds, Handshake Drugs e la vecchia I’m Always in Love, finchè Jeff prende la parola iniziando a dialogare con un fan esaltato in prima fila che richiede alcune canzoni non presenti in scaletta. Se prima la discussione avveniva fra sorrisi e battute, col passare del tempo il ragazzo insiste infastidendo il frontman, il quale si vede costretto a farlo allontanare dalla zona del concerto. Così dopo questo siparietto che concede ai Wilco di trovare più confidenza, la serata diventa più personale e intima, procedendo con la bellissima Via Chicago, le nuove Impossible Germany, Sky Blue Sky e Shake It Off con un Nels agitatissimo alla chitarra e di grande presenza scenica. Il cantante ammette di essere felice di poter suonare da headliner, visto che nelle ultime date hanno sempre partecipato a festival con corte setlist. Così eseguono ancora Jesus Etc, Theologians, Walken e I’m The Man Who Loves You con la quale finisce la prima parte dello show. Ma appena trascorso qualche minuto inizia l’encore: troviamo Hate It Here, Hummingbird, Poor Places, Heavy Metal Drummer e Spiders finché non salta la corrente. Tutta la zona dello sPAZIALE si ritrova al buio nel punto più bello della canzone e così il pubblico continua a cantare riprendendo il brano, mentre il batterista continua imperterrito a suonare anche senza essere microfonato; tutti gli altri componenti vanno a bordo palco con maracas e percussioni non lasciandosi scoraggiare dal problema (pochi altri gruppi si sarebbero comportati in modo così dignitoso). Tornata la corrente dopo una lunga attesa il brano viene ripreso nel punto esatto un cui era rimasto; il concerto dovrebbe essere concluso per problemi di orari, ma c’è ancora tempo per The Late Greats.
I Wilco emozionatissimi ammettono di trovarsi di fronte ad un pubblico grandioso e ringraziano di cuore per come è andata la serata che anche se ha presentato diverse difficoltà è riuscita a regalare grandi emozioni. E se ne vanno così, due ore di un concerto che verrà sicuramente ricordato come uno dei più belli di questo luglio 2007 sotto la Mole.
I Wilco invece salgono sul palco dello sPAZIALE per un’unica data italiana che ha portato a Torino quasi tanta gente quanta ne avevano portati i Sonic Youth nello stesso luogo una settimana prima. Senz’altro un bel traguardo soprattutto perché la band di Chicago non gode di fama e pubblicità radio/televisiva, cosa che invece dovrebbe avere visto che le carte in regola le ha eccome. Tutta la loro considerazione resta quindi underground, in un passaparola che continua da anni grazie ad album come Yankee Hotel Foxtrot, A Ghost Is Born e l’ultimo Sky Blue Sky. Ed è da questi dischi che si basa il live della serata, iniziato con Either Way, You Are My Face, I Am Trying To Break Your Heart e Kamera che si susseguono senza neanche una parola di presentazione. Ma non è il dialogo che conta, i Wilco sfornano dei brani eccellenti così come lo sono su disco, anzi dal vivo rendono decisamente di più, merito di un’attitudine più rock che pop rock. Continuano con A Shot In The Arm, Side With The Seeds, Handshake Drugs e la vecchia I’m Always in Love, finchè Jeff prende la parola iniziando a dialogare con un fan esaltato in prima fila che richiede alcune canzoni non presenti in scaletta. Se prima la discussione avveniva fra sorrisi e battute, col passare del tempo il ragazzo insiste infastidendo il frontman, il quale si vede costretto a farlo allontanare dalla zona del concerto. Così dopo questo siparietto che concede ai Wilco di trovare più confidenza, la serata diventa più personale e intima, procedendo con la bellissima Via Chicago, le nuove Impossible Germany, Sky Blue Sky e Shake It Off con un Nels agitatissimo alla chitarra e di grande presenza scenica. Il cantante ammette di essere felice di poter suonare da headliner, visto che nelle ultime date hanno sempre partecipato a festival con corte setlist. Così eseguono ancora Jesus Etc, Theologians, Walken e I’m The Man Who Loves You con la quale finisce la prima parte dello show. Ma appena trascorso qualche minuto inizia l’encore: troviamo Hate It Here, Hummingbird, Poor Places, Heavy Metal Drummer e Spiders finché non salta la corrente. Tutta la zona dello sPAZIALE si ritrova al buio nel punto più bello della canzone e così il pubblico continua a cantare riprendendo il brano, mentre il batterista continua imperterrito a suonare anche senza essere microfonato; tutti gli altri componenti vanno a bordo palco con maracas e percussioni non lasciandosi scoraggiare dal problema (pochi altri gruppi si sarebbero comportati in modo così dignitoso). Tornata la corrente dopo una lunga attesa il brano viene ripreso nel punto esatto un cui era rimasto; il concerto dovrebbe essere concluso per problemi di orari, ma c’è ancora tempo per The Late Greats.
I Wilco emozionatissimi ammettono di trovarsi di fronte ad un pubblico grandioso e ringraziano di cuore per come è andata la serata che anche se ha presentato diverse difficoltà è riuscita a regalare grandi emozioni. E se ne vanno così, due ore di un concerto che verrà sicuramente ricordato come uno dei più belli di questo luglio 2007 sotto la Mole.
18 luglio
CSS + My Awesome Mixtape
CSS + My Awesome Mixtape
Come si dice in inglese: “last but not the least”; il festival torinese è giunto al traguardo e questa volta si balla con My Awesome Mixtape e le tanto attese CSS.
I My Awesome Mixtape sono un gruppo bolognese dal sound indescrivibile e influenzato da molti generi musicali diversi. Capitanati da un cantante timido e con gli occhiali da nerd, i sette ragazzi eseguono mezz’ora di indie pop elettronico che a tratti ricorda la nuova ondata di gruppi come Architecture in Helsinki o I’m From Barcelona. La mancanza di chitarra e batteria non si fa affatto sentire visto che ci sono loop e basi registrate, inoltre quasi tutti i componenti del gruppo hanno un microfono con cui cantare. Comunque non si rimane fermi sul dancefloor e i ragazzi hanno uno stile convincente per cui anche senza parlare più di tanto e senza troppo movimento gli occhi sono tutti puntati su di loro.
Alle 23 le CSS sono pronte e salgono una ad una on stage accolte da una trentina di palloncini collocati per tutto il palco, sui microfoni e addirittura in mezzo al pubblico. Una scenografia mai vista prima che incuriosisce e preavvisa che il party sta per cominciare. Spiazzando tutti con una canzone inedita presente in scaletta con il nome Jager Yoga (forse farà parte del prossimo album?) le ragazze danno l’impressione di essere allegre e di aver voglia di divertirsi. Il look della cantante (davvero eccentrico) non smentisce la voglia di stupire della band brasiliana e così si riparte con il singolo Alala. Poi ci aspetta l’ironica Meeting Paris Hilton («Do you like the beach, bitch?») e This Month Day 10. Dispiace che alla fine del brano non abbiano attaccato Superafim come sul disco, comunque al suo posto c’è la divertentissima Alcohol cantata sia da Adriano (il batterista) che da Love Foxx, la cantante. Si è già arrivati a metà concerto e c’è spazio per una certa Lindja, la più famosa Fuck Off Is Not The Only Thing You Have To Show e due brani intitolati Patins e Pretend. Probabilmente l’esecuzione non è delle migliori ma la serata procede all’insegna del divertimento e tutti si lasciano trasportare senza troppi problemi. Infatti segue Off The Hook (l’ultimo singolo tratto dall’album di debutto) e una nuova canzone in perfetto CSS-style: I Wanna Be Your J-Lo. Gli ultimi due brani sono Music Is My Hot Sex e Let’s Make Love And Listen Death From Above per concludere un’ora scarsa di spettacolo che si pensava continuasse ma che invece è finito così, lasciando l’amaro in bocca. Che dire… chi doveva divertirsi si è divertito e chi doveva criticare la loro validità tecnica l’ha criticata; quello che importa è che le CSS hanno venduto una serata piacevole e spensierata, ideale per la conclusione di uno degli sPAZIALE meglio riusciti di tutti questi anni.
I My Awesome Mixtape sono un gruppo bolognese dal sound indescrivibile e influenzato da molti generi musicali diversi. Capitanati da un cantante timido e con gli occhiali da nerd, i sette ragazzi eseguono mezz’ora di indie pop elettronico che a tratti ricorda la nuova ondata di gruppi come Architecture in Helsinki o I’m From Barcelona. La mancanza di chitarra e batteria non si fa affatto sentire visto che ci sono loop e basi registrate, inoltre quasi tutti i componenti del gruppo hanno un microfono con cui cantare. Comunque non si rimane fermi sul dancefloor e i ragazzi hanno uno stile convincente per cui anche senza parlare più di tanto e senza troppo movimento gli occhi sono tutti puntati su di loro.
Alle 23 le CSS sono pronte e salgono una ad una on stage accolte da una trentina di palloncini collocati per tutto il palco, sui microfoni e addirittura in mezzo al pubblico. Una scenografia mai vista prima che incuriosisce e preavvisa che il party sta per cominciare. Spiazzando tutti con una canzone inedita presente in scaletta con il nome Jager Yoga (forse farà parte del prossimo album?) le ragazze danno l’impressione di essere allegre e di aver voglia di divertirsi. Il look della cantante (davvero eccentrico) non smentisce la voglia di stupire della band brasiliana e così si riparte con il singolo Alala. Poi ci aspetta l’ironica Meeting Paris Hilton («Do you like the beach, bitch?») e This Month Day 10. Dispiace che alla fine del brano non abbiano attaccato Superafim come sul disco, comunque al suo posto c’è la divertentissima Alcohol cantata sia da Adriano (il batterista) che da Love Foxx, la cantante. Si è già arrivati a metà concerto e c’è spazio per una certa Lindja, la più famosa Fuck Off Is Not The Only Thing You Have To Show e due brani intitolati Patins e Pretend. Probabilmente l’esecuzione non è delle migliori ma la serata procede all’insegna del divertimento e tutti si lasciano trasportare senza troppi problemi. Infatti segue Off The Hook (l’ultimo singolo tratto dall’album di debutto) e una nuova canzone in perfetto CSS-style: I Wanna Be Your J-Lo. Gli ultimi due brani sono Music Is My Hot Sex e Let’s Make Love And Listen Death From Above per concludere un’ora scarsa di spettacolo che si pensava continuasse ma che invece è finito così, lasciando l’amaro in bocca. Che dire… chi doveva divertirsi si è divertito e chi doveva criticare la loro validità tecnica l’ha criticata; quello che importa è che le CSS hanno venduto una serata piacevole e spensierata, ideale per la conclusione di uno degli sPAZIALE meglio riusciti di tutti questi anni.
Paolo "Freeman" Brondolo