Un'occasione particolare quella di mercoledì 24 gennaio al Thunderoad di Codevilla (PV): vedere in azione, infatti, una vera e propria leggenda vivente come Ian Paice, batterista dei Deep Purple, uno dei drummer che ha rivoluzionato l'approccio a questo strumento per la musica rock, non capita tutti i giorni, specie se a suonare con lui c'è una band di musicisti tutti italiani.
Matt Filippini, chitarrista che ha recentemente pubblicato il suo lavoro
Moonstone Project (e che ha partecipato ai lavori di band ed artisti quali
Edge Of Forever, André Matos, Loredana Berté e
Time Machine), collabora da alcuni anni con Ian Paice, il quale è stato guest (assieme a nomi come Glenn Hughes e Carmine Appice) proprio in questa release e in questo mini-tour italiano (la data di mercoledì recuperava quella annullata di Dicembre per problemi meteorologici che hanno bloccato in Inghilterra Paice). La presenza del batterista inglese, ovviamente, catalizza l'attenzione degli appassionati accorsi in buon numero nel club pavese e, di conseguenza, anche la scaletta non si rivela incentrata sul lavoro dell'ax-man italiano, ma sui classici del rock ed hard-rock mondiale che hanno svariato dal 'piatto forte'
Deep Purple, a
Whitesnake, Bad Company e Jimi Hendrix. Pubblico tutto per Ian, si diceva, e forse è stato questo (oltre al fatto che si trattava di una all-guest band, se si esclude Alex Del Vecchio, tastierista e compagno di formazione di Filippini negli
Edge of Forever) che ha messo un po' in secondo piano ed anche sottotono, il resto dei musicisti. Va premesso, immediatamente, che la performance, la quale si snoda attraverso pezzi classici 'purpleliani' come
Black Night, Highway Star, Speed e
Child In Time, sotto il profilo tecnico è stata pressoché impeccabile, senza sbavatura di sorta, se si esclude un errore in
Fire di Hendrix. La questione è che la differenza di carisma e personalità che corre tra ottimi musicisti ed una leggenda vivente è notevole e palpabile: Paice, durante tutti i pezzi, scandisce il suo 'Io' musicale ad ogni colpo sul rullante, anche in virtù del fatto di suonare una scaletta all'80% composta di pezzi che lui stesso ha creato.
Matt Filippini, pulitissimo nelle esecuzioni, risulta penalizzato da un suono di chitarra troppo chiuso e scarico, che annacqua il suo ottimo lavoro in fase ritmica e solista, ma risulta, anche, eccessivamente trattenuto e delle volte minimale, come se no volesse invadere lo spazio della serata dedicata a Paice. Stesso discorso anche per il bravissimo Roberto Tiranti, basso dei New Trolls e, soprattutto voce (e da qualche mese anche basso) della prog/power metal band Labyrinth. Splendida voce, dicevamo, ma forse non adattissima a classici dell'hard-rock oppure, anche lui 'intimidito' (e chi non lo sarebbe) dal suonare fianco a fianco con Paice. La sua performance in Child In Time e Fool For Your Love dei Whitesnake è estremamente esplicativa: ottimo sotto il profilo tecnico, con anche una buona interpretazione, ma sembra sempre 'bloccato' nel coinvolgimento emotivo. Mentre Paice rimane al centro della scena con scioltezza, il resto della formazione, che lo supporta, ricordiamolo, in maniera impeccabile, fa inconsciamente un passo indietro, forse un atto di rispetto non programmato ma sentito intimamente. Non è da escludere che, essendo gli unici due componenti affiatati Filippini e Del Vecchio, quest'ultimo molto bravo nell'uso del suono Hammond, la possibilità di provare sia stata estremamente scarsa e che quindi non si sia creato un feeling da vera band. E' mancato un po' di nerbo nel vivere i pezzi, certo, ma per il resto ci si è potuti godere più di un'ora di ottimo hard-rock d'annata, suonato bene e, soprattutto, vedere in azione Paice, con il suo uso dei piatti unico e la sua energia, che ha segnato la storia del rock e di questo strumento; il resto delle critiche era cercare un po' il pelo nell'uovo anche se non si può negare che, lasciando da parte un po' i timori, il resto dei musicisti avrebbe potuto far vedere in toto tutto il loro altissimo valore.
Andrea "Vash Delapore" Evolti