Terminato lo show dei Grave è la volta degli Unleashed, che portano sul palco del Transilvania Live il loro death metal dai toni epici e vichinghi, ma altrettanto privo di compromessi e pregno di un’attitudine old-school che pochi act possono vantare al giorno d’oggi. Fin dalle prime battute, in forza anche di un inizio rutilante con l’accoppiata Before The Creation Of Time e Neverending Hate, il pubblico è coinvolto al massimo nello show e risponde ai “C’mon warriors!!!” di Johnny Hedlund con un mosh indiavolato. Quello degli Unleashed sarà infatti il concerto che riscuoterà più partecipazione da parte dell’audience, vuoi per una proposta tanto energica, vuoi per un Hedlund che da perfetto frontman interpreta al meglio le emozioni degli astanti, incitandoli e mostrando più volte tutto l’affetto della band verso l’audience italiana. Si prosegue con una serie di brani che vedono il vocalist/bassista sempre in primo piano, coadiuvato dal riffing ferale di Fredrik Folkare e Thomas Olsson: Blood Of Lies, To Asgaard We Fly, per arrivare a The Immortals e l’anthemica Into Glory Ride. Nemmeno il tempo di tirare il fiato e si riprende subito con Death Metal Victory, inno della band vissuto con reale entusiasmo dal pubblico, dal quale i nostri si congedano. La performance degli Unleashed è stata senza dubbio la più emozionante e sentita della serata. Vincitori per attitudine e presenza scenica.
E quando salgono sul palco gli Entombed, sembra di assistere alla replica di un film. Un bel film, questo sì, ma l’impressione che i nostri seguano il solito copione è davvero forte. L’attitudine sembra ormai quella di un gruppo alternative/hardcore/post rock più una decina di sinonimi a vostra scelta, complice anche l’orribile berretto di Alex Hellid, che fa tanto “nu” ma suscita qualche risatina. Il buon Petrov (non si capisce se sia completamente sbronzo o solo un ottimo attore) è un trascinatore indiavolato e offre una performance maiuscola ma il pubblico, vuoi anche per l’eccellente show degli Unleashed appena trascorso, non sempre risponde come ci si aspetterebbe. Il livello esecutivo è ineccepibile, ma il coinvolgimento non arriva mai alle stelle. L’audience si dimena e canta a gran voce in occasione delle “vecchie” Crawl e Revel In Flesh, mentre i brani più recenti sono seguiti più che altro con curiosità. E’ ancora il delirio durante una Left Hand Path attesa da tutti i presenti ma eseguita dai nostri senza una grande convinzione, discorso dal quale va escluso il solito Petrov, che continua a dimenarsi come un forsennato. Si chiude con Supposed To Rot, per la gioia dei seguaci inossidabili degli Entombed, un po’ meno per il resto dell’audience, basta guardare gli sbadigli che iniziano a serpeggiare tra gli headbangers più tiepidi. Performance nel complesso sufficiente, ma agli Entombed va comunque riconosciuta ancora una grande umiltà e disponibilità verso il pubblico, al quale i nostri si offriranno subito dopo lo show per una foto, un autografo o una stretta di mano.
Questa volta la posizione di headliner è affidata ai Dismember, che fin dall’inizio dello show mostrano subito quale sia il loro obiettivo per la serata: divertirsi e stare bene insieme a tutti i convenuti. Lo capiamo dalle mille smorfie e dai continui ammiccamenti tra David Blomqvist e il secondo axe-man Martin Persson, dal loro continuo scherzare con i fotografi e dall’atteggiamento carico ma altrettanto disincantato del pacioso vocalist Matti Karki. Ma attenzione, questo è un concerto death metal e, lungi da loro la voglia di fare del cabaret, i Dismember partono all’attacco con ‘Where Ironcrosses Grow’, scatenando l’entusiasmo dei presenti e infilando una dopo l’altra Casket Garden, Soon To Be Dead, Time Heals Nothing, la splendida Skinfather e la violentissima Skin Her Alive. Si rallenta un istante con Tragedy Of The Faithful, song che contiene un assolo chiaramente debitore agli Iron Maiden ai cui fan la song è dedicata, ma si torna a picchiare duro con Autopsy, che prelude a Dreaming In Red, forse il brano più vario e coraggioso uscito dalla mente del quintetto svedese. Lo spettacolo termina con Override Of The Overture, che ci consegna una band in forma e ne siamo certi, con ancora molte frecce al proprio arco. Imperdibile il siparietto finale, quando i cinque si stringono al centro del palco, ma anziché offrire un ovvio inchino si prodigano in un indiavolato headbanging! E se non è affetto questo qui…
Termina così la prima tappa italiana di un festival dedicato a una nicchia di pubblico che oggi ha certamente avuto modo di godersi una grande serata. Il locale colmo di gente è inoltre indice di come un genere tanto spesso bistrattato e tacciato di esagerazioni di ogni tipo, possa invece vantare una base di fan fedele e partecipe. Speriamo di poter replicare anche il prossimo anno.
Andrea "AFTepes" Sacchi