Mastodon, un nome che da molti è già indicato come rivoluzione in campo metal ed estremo in generale. Il four-piece della Georgia, con dischi come Leviathan ma, soprattutto, l'ultimo Blood Mountain, si è conquistato il favore di critica e pubblico ed anche il plauso di chi non è nemmeno un fan della loro proposta. Sì perché, al di là che piacciano o no, i quattro american, con lo show di martedì, dimostrano di essere tra le formazioni di maggior talento ed originalità nel panorama metal mondiale. Violenti, schizofrenici, a volte ipnotici e meditativi, altre volte cerebrali, altre ancora viscerali e brutali, la band guidata dal cantante/chitarrista Brent Hines ha catturato il pubblico, ipnotizzandolo. Cambi di tempo virtuosistici e geniali da parte del batterista Brann Dailor, una delle punte di diamante del combo di Atlanta, che per tutta l'esibizione terrà il pubblico in pugno con la sua incredibile ed affascinante proposta. La voce di Hines, multiforme proprio come la musica dei Mastodon, passa da un estremo all'altro di un range emozionale vastissimo, sempre pronto ad adattarsi ai cambi del four-piece americano. Show per intenditori, show che che mesmerizza; altro non c'è da dire, se non che i Mastodon, che piacciano o meno, continuano a confermarsi una delle next-big-thing dell'attuale panorama metal estremo.
La rinascita. Ecco come potrebbe essere sottotitolato lo stupendo The Blackening dei Machine Head, i quali, in tutta onestà, dopo l'esordio monumentale di Burn My Eyes del 1994, non erano più riusciti a riproporre un disco di tale livello (anche per un allontanamento dal metal dovuto a scelte artistiche alquanto discutibili). Con questa release, siamo di fronte ad un capolavoro degno dell'esordio, che non fa che aumentare l'impatto live che la band ha sempre dimostrato e riesce a dimostrare anche stasera. Si parte proprio con un uno-due del nuovo disco, con la riformata coppia dei Vio-Lence Demmel-Flynn a macinare i veloci, potenti e tecnici riff di Clenching The Fists Of Dissent e Beautiful Mourning. L'impatto genera subito conseguenze devastanti: pogo ferocissimo e Made In Bay-Area. Supportati dalla batteria di McClain, in grandissima forma sulla doppia cassa, la formazione di San Francisco sfodera una prestazione stellare, dove tencica, ferocia ed impatto sono i comuni denominatori, assieme ad un Flynn ottimo anche alla voce e nell'interazione con il pubblico. The Blackening è sicuramente l'ospite d'onore della set-list, ma i quattro californiani non is risparmiano e scaricano altre gemme come Imperium e Old sui presenti. Le stesse track del periodo meno esaltante della band, come Ten Tons Hammer e Take My Scars da The More Things Change o altri estratti da The Burning Red e Supercharger, con questo nuovo corso di rinascita thrash metal moderno, dove si aggiungono velocità anche superiore agli esordi ed assoli più tecnici, di gusto e dal sapore quasi classicheggiante (grazie a Phil Demmel), appaiono rinvigorite e maggiormente efficaci. Una macchina perfetta di distruzione e creazione i Machine Head, che messo a ferro e fuoco il Live Club, decidono di sferrare, dopo la rituale richiesta di bis, il colpo di grazia con l'anthem per eccellenza, Davidian, un riff titano e quasi epico che scatena l'ennesimo assalto in slam-dancing e la gioia dello stesso Flynn che regala al volo bottigliette lanciate di acqua. Commenti superflui: i Machine Head segnano, non un ritorno al passato del thrash, ma l'ennesimo passo in avanti di un genere che, per crescere, deve riscoprire sempre i suoi capisaldi. Imperiosi e senza compromessi.
Report - Andrea "Vash_Delapore" Evolti
Foto - Lorenzo "Glorfindel89" Iotti