Totalmente diverso l’ingresso e la resa fin da subito dei leader della scena del Tunnel: gli Isis giunti direttamente dalla California non solo per presentare l’ultimo lavoro, Wavering Rediant, ma più in generale per insegnarci soprattutto cosa vuol dire comporre brani davvero complessi ed intricati. Aaron Turner, il cantante, presenta una nuova veste: l’impressione è quella di osservare un minotauro della famiglia Mastodon, con un look molto simile al selvaggio Brent Hines e dei movimenti a scatti tipici di Troy Sanders, ma al di là dell’effetto scenico il risultato non è cambiato a quanto noi siamo abituati. Come ben sappiamo infatti il loro sound attinge molto da Neurosis e figli ma la sensazione che abbiamo provato fin da subito è quella di una vicinanza al concept musicale degli Opeth, risultando però molto più amalgamati nei cambi di ritmo e nella creazione di un mood unico. Infatti nell'altalena continua tra post-hardcore, alternative, prog e musica ambient, gli americani si sono destreggiati perfettamente riuscendo a produrre un insieme di melodie da incubo, mai strozzate da cambi repentini né da growling improvvisi. Una sensazione di conduzione, di trasporto con la calma necessaria e senza la fretta tipica dei brani da tre-minuti minuti.
Per far ciò è fuori di dubbio che serve un motivo ispiratore molto forte, una ratio che oltre ogni creativa immaginazione permetta a cinque elementi di muoversi all'unisono senza disorientare mai chi è lì ad ascoltare: il cosiddetto fattore inspiegabile che traccia dopo traccia cercava di prendere forma e che possiamo tradurlo nella capacità di assegnare alle diverse influenze un caposaldo inamovibile ed onnipresente tradotto nel senso di sofferenza tipico della scuola depressive metal, protagonista di un dolore interiore che la musica degli Isis ci ha trasmesso. Ecco cos’hanno i nostri che li differenzia dagli altri. Una performance di alto livello, come non poteva essere da meno considerando la qualità dei lavori a nome Isis.
Marcello Zinno