Come da programma alle 19.30 esatte i Gehenna salgono sul palco. Davanti a loro ci sono ancora poche persone (a fine serata sarà sold out) e l’esibizione, già di per sé mediocre, ne risente notevolmente. Il sound del quintetto inglese risulta piuttosto monotono, ben inquadrato nei canoni del Metalcore odierno. Fin da subito si ha perciò l’impressione di una band fiacca e poco originale. Il resto lo fa l’acustica della sala, che peggiora ulteriormente la resa sonora a causa di un lieve eco abbastanza fastidioso. Il repertorio dei Gehenna non offre grandi alternative ed i brani suonati nel corso della performance sono i soliti: Seven, Secret Wish, The Rose e qualche altro. L’unico particolare degno di nota sta sulla maglietta Anti-Emo del singer David, recante la scritta: Nice Hair… You Fag!
Terminato l’anonimo show dei Gehenna ecco apparire i The Acacia Strain, provenienti da Chicopee (Massachusetts). Il combo statunitense si rivela subito tutt’altro che simpatico (sputi, insulti e bottigliette d’acqua verso il pubblico) e musicalmente insopportabile. Il loro è un sound costruito unicamente sugli stacchi ritmici, che in sede live infiammano gli animi dei mosh kids. Ne consegue perciò un Metalcore confusionale (a tratti vero e proprio Noisecore) e poco convincente. Il growling di Vincent Bennett, veramente profondo ed estremo, non aiuta per nulla ad assimilare un simile mix. Mi sento profondamente offeso quando entro in contatto con band come queste, band che non hanno assolutamente niente a che vedere con l’Hardcore, ma che, grazie alle solite frangette esaltate, ottengono comunque un successo a dir poco clamoroso. Da evitare come la peste.
E’ finalmente venuto il momento degli headliner e l’atmosfera cambia totalmente. Ad accompagnare l’entrata in scena degli Hatebreed ci pensa la celebre colonna sonora di Rocky Gonna Fly Now: la band si presenta sul palco con il solito look e la stessa attitudine di sempre. Un solo aggettivo per descriverli: grandi. Quando però Jamey Jasta attacca con To The Threshold si comincia a fare sul serio. L’impatto del Moshcore targato Hatebreed ha un effetto più che devastante sul pubblico, letteralmente scatenato. L’irresistibile riffing di Never Let It Die scalda ulteriormente gli animi, mentre è con Destroy Everything che si raggiungono livelli inverosimili. C’è da dire che in Inghilterra i live show vengono suonati a volumi ben più alti rispetto al nostro paese, tanto che numerosissimi kids erano dotati di tappi per le orecchie. La band americana, da parte sua, propone svariate canzoni estratte dal recente Supremacy: Defeatist, Give Wings To My Triumph e As Diehard As They Come. Non mancano comunque i vecchi classici, con i quali si conclude uno show veramente sbalorditivo, più intenso che mai.
Il concerto tenutosi allo Zodiac di Oxford mi ha permesso innanzitutto di verificare la validità dei britannici nell’organizzare eventi dal vivo. In secondo luogo si è rivelato un vero piacere poter assistere ad uno show degli Hatebreed, i quali, contrariamente alle due band che li hanno preceduti, sono riusciti ad unire potenza ed attitudine in maniera impeccabile, regalando ai propri fan quasi due ore di pura rabbia sonora.
Report - Jacopo “Beelzebub” Prada