Come accade spesso l'apertura dei cancelli avviene in ritardo prolungando la permanenza tra i bagarini e i mitici venditori di maglie tarocche, tra l'altro particolarmente privi di gusto proponendo magliette viola o nere a righe fini rosse emo-style per un gruppo metal. Manca poco alle sette quando si entra, quasi un'ora dopo quanto riportato sul biglietto.
Una decina di minuti e i The Poodles fanno capolino sul palco. Si respira subito un'atmosfera anni '80 grazie alla loro mise e alla loro presenza scenica. Ad aprire le danze l'opener di Metal Will Stand Tall, loro unico album: Echoes From The Past. Il suono è molto buono e i quattro scandinavi dimostrano subito di trovarsi molto a loro agio sul palco, invitando il pubblico a partecipare battendo le mani. La risposta è davvero ottima considerando che ai più il gruppo è sconosciuto, essendo il loro album uscito solo tre settimane fa. Il loro compito è scaldare il pubblico e non si fanno pregare, cosi seguono la title track Metal Will Stand Tall, Number One e Shadows. Il gruppo, sulle ali delle loro canzoni a cavallo tra hard rock e heavy metal, tra retrò anni 80 e soluzioni moderne si scatena; il bassista Pontus Egberg non sta fermo un attimo, il batterista Christian Lundqvist pesta sulle pelli con il trasporto caratteristico dei drummer anni 80, accompagnando ogni ritmo con un espressione facciale, Jakob Samuel canta con espressività e precisione, solo Pontus Norgren resta abbastanza statico ma, cosa più importante, con la sua sei corde fa egregiamente il suo lavoro. É poi il turno di Seven Seas, canzone del loro secondo album in corso di registrazione, e infine della canzone che ha fatto la loro fortuna: Night Of Passion. Nella sola mezz'ora che avevano a disposizione, grazie all'orecchiabilità della loro proposta, linee vocali facilmente memorizzabili e una buona presenza scenica, sono riusciti nell'intento di lasciare un buon ricordo al pubblico, la cui partecipazione è stata crescente nell'arco della loro performance. Raro di questi tempi trovare un opening act in grado di coivolgere cosi tanto, da tenere d'occhio.
É poi il turno dei Krokus, storici rockers elvetici con ben 15 album all'attivo, un discreto successo negli anni 80 limitato dalla pesante ombra degli AC/DC dei quali sono stati definiti spesso cloni. La storica Long Stick Goes Boom apre le danze e si capisce subito che il paragone con gli australiani è abbastanza azzeccato, fosse anche solo per il canto di Marc Storace che assomiglia molto a quello di Bon Scott. Segue un uno-due dall'ultimo album Hellraiser, la title track e la splendida power ballad Angel Of My Dreams. In questo frangente, nonostante la prestazione senza sbavature del gruppo e un suono ottimo la reazione del pubblico è abbastanza fredda. Con la loro esperienza il gruppo sa però come coivogere gli astanti. Tra una canzone e l'altra tengono la comunicazione al massimo e si spostano sui loro classici, visceralmente ottantiani e scritti per essere cantati in coro. Cosi si susseguono Bad Boys Rag Dolls e Screaming In The Night. Già i titoli dovrebbero rendere l'idea, e man a mano il pubblico si fa coinvolgere e si lascia andare a quel mix di chitarre bluesy e chorus catchy. American Woman, cover dei Guess Who, precede la presentazione del gruppo, accompagnata da numerosi applausi, segno di una platea conquistata. Il finale viene affidato a veri e propri classici del gruppo, Easy Rocker, Rock City e Rock 'n' Roll Tonight. E qui si raggiunge il punto più alto del loro show, le canzoni sono coinvolgenti e ottimamente suonate, il pubblico partecipa e continua ad essere invitato a farlo. Si guinge al termine e il gruppo si congeda dopo aver offerto una prestazione di tutto rispetto. Menzione speciale va al chitarrista solista Mandy Meyer e al cantante Marc Storace. Il primo assolutamente impeccabile sulle ritmiche ma soprattutto negli assoli, dimostrando un tocco e un gusto davvero impressionanti, il secondo con una prestazione vocale superlativa e priva del benchè minimo errore. Insomma una prestazione, quella dei due gruppi di supporto che si è rivelata ben più di un contorno al piatto principale.
Ma ora tocca agli Hammerfall, da loro ci separa solo un lungo e pedante soundcheck. Quando viene scoperta la scenografia si capisce che il martello sta per calare sull'Alcatraz. Gli svedesi ci hanno abituati a scenografie spettacolari e d'impatto e anche questa non fa eccezione: una doppia scalinata alta un paio di metri sulla quale sono presenti delle grancasse, ognuna recante una lettera del moniker della band. Da sinistra esse risalgono questa scalinata, si congiungono con la batteria che troneggia nel punto più alto e riscendono dall'altro lato quasi a formare un arcobaleno. Davvero suggestivo. L'intro di Threshold, title track e opener dell'ultimo album, annuncia l'inizio dello show. Il gruppo fa capolino sul palco e inizia la sua esibizione in modo davvero energico. Senza proferir parola proseguono poi con Templars Of Steel, e come al solito sono scatenati sul palco, in particolarmodo Magnus Rosén che non sta fermo un attimo. Il suono è ben bilanciato e mette in risalto ogni strumento, Joacim Cans pur non sembrando in serata di grazia canta più che egregiamente. Si continua cosi il giro delle opener dei loro album; dopo quella di Threshold e quella di Renegade tocca a quella di Crimson Thunder: Riders Of The Storm. Il pubblico sembra apprezzare e partecipa attivamente cantando e dimostrando il loro affetto al gruppo. La storica Legacy Of Kings prende il testimone e dopo aver esaltato gli astanti lo consegna a Rebel Inside, canzone tratta dall'ultimo album che sembra essere conosciuta molto bene dal pubblico che risponde prontamente e con energia a tutti gli inviti al canto lanciati da Joacim. Lo show prosegue con Blood Bound, singolo apripista di Chapter V. E si arriva alla prima delle due "pause", ognuna composta da un assolo e una strumentale, che gli Hammerfall faranno durante il loro show, forse per far riposare le corde vocali del singer. É il momento dell'assolo di batteria di Anders Johansson. Anche se forse l'assolo vero e proprio nel senso classico del termine sono solo le due parentesi che contengono lo show quasi cabarettistico a cui si lascia andare il drummer; infatti il tutto inizia come un vero assolo di batteria, in seguito Anders si alza e scende dalla sua postazione per andare a suonare con le bacchette sul microfono di Stefan Elmgren alternando dei canticchiamenti abbastanza infantili che provocano ilarità generale tra il pubblico. In seguito torna dietro le pelli e, suonandole, fa cantare al pubblico melodie quali quella della famiglia Addams e infine riprende l'assolo di batteria iniziale. Davvero un siparietto gustosissimo. Subito dopo parte Raise The Hammer e A Legend Reborn, ultime due tracce di Renegade inframezzate con la presentazione del gruppo. Un Anders Johansson che imita con la voce il rumore di un Harley annuncia l'inizio della title track dello stesso album. Il gruppo propone poi una delle canzoni che non manca mai nei loro show: Let The Hammer Fall. E si giunge cosi alla seconda "pausa"; il palco viene lasciato a Oscar per un assolo che a dire il vero risulta abbastanza scialbo e privo di mordente.... con tutte le luci per se e una Jackson si poteva e si doveva fare di meglio. Strana inoltre l'assenza di giochi pirotecnici a cui ci aveva abituato l'axeman, forse dettata da limiti della location. La stumentale Reign Of The Hammer precede Hammerfall dopo la quale il gruppo lascia il palco nel classico modo che preannuncia un encore. Infatti dopo pochi minuti il gruppo fa di nuovo capolino sul palco e suona il singolo apripista dell'ultimo album Natural High. La successiva Glory To The Brave crea un'atmosfera rilassata con tanto di accendini a rafforzarla. La splendida Heeding The Call conclude questo primo encore e il gruppo si congeda di nuovo dal palco. Stavolta una piccola parte del gruppo abbocca e lascia il locale non sperando in un secondo encore che invece ci sarà. A chiudere il tutto l'anthemica e ruffianuccia Hearts On Fire cantata a squarciagola da tutto il pubblico.
Si possono rimarcare alcune cose, innanzitutto una prestazione buona del gruppo in generale ma purtroppo non priva di sbavature e indecisioni, specie da parte di Joacim forse ancora limitato dall'operazione alle corde vocali. Elmgren inoltre sugli assoli sembra impreciso e molto lontano dall'essere impeccabile. Nonostante queste imperfezioni i cinque svedesi hanno conquistato il pubblico grazie ad una presenza scenica di tutto rispetto e una buona comunicazione. In conclusione una bellissima serata, con tre ottimi gruppi che hanno saputo allietare ottimamente i presenti e non fare assolutamente rimpiangere i soldi spesi.
Report - Massimiliano "Hedon" Barbieri
Foto - Andrea "AFTepes" Sacchi