In ogni caso, il Day III è stato ricchissimo di sorprese, positive e negative, che possiamo rammentare attraverso i mini-report dei diversi concerti che si sono susseguiti…
Kayser
Dalla Svezia approdano i Kayser ad aprire la terza giornata, sotto il caldo sole di Toscolano, e a presentare le canzoni del loro album di debutto Kaiserhof (2005) e del successivo ep Good Citizen. Impetuoso e penetrante con le sue valide sezioni ritmiche, il quintetto di Ängelholm propone un Post Hardcore intrecciato a numerosi elementi Thrash, che colpisce per la sua direzione esplosiva e per l’approccio potente garantito dal cantante Spice (ex Spiritual Beggars). I riff di chitarra sono ritmati e coinvolgenti, i patterns di batteria e le linee vocali si adattano alle composizioni in modo efficace. Le poche canzoni esibite dalle 11 alle 11.30 hanno rappresentato delle buone prove di performance live, capaci di trascinare in un vortice estremo gli spettatori disposti sotto il palco dell’Evolution già dalla prima esibizione della giornata.
Una bella scoperta quella dei Kayser, gruppo della scuderia italiana Scarlet Records, sempre capace di scoprire e produrre realtà interessanti del panorama internazionale.
E.B. - 65/100
Secret Sphere
Proviene da Alessandria la prima delle due formazioni italiane della giornata, ovvero i Secret Sphere, sestetto dedito ad un Power Metal dai tratti sinfonici ed attivo ormai dal lontano 1997. Sono stati messi in evidenza soprattutto alcuni pezzi del quarto capitolo discografico Heart and Anger, pubblicato anch’esso come i predecessori sotto l’etichetta tedesca Nuclaer Blast. I suoni della performance all’Evolution sono stati alquanto scadenti perché non capaci di valorizzare la voce del cantante Roberto Messina e la tastiera di Antonio Agate. Anche il livello di song-writing è stato abbastanza deludente, poiché troppe sezioni sono risultate monotone e prive di mordente. Abbastanza buono l’approccio della batteria e del riffing delle chitarre, troppo emergenti però rispetto al binomio voce-tastiera.
Con dei suoni meglio equalizzati, i Secret Sphere avrebbero sicuramente dato una prova più esaltante, ma il pubblico degli affezionati sotto il palco non è mancato e, anzi, ha supportato costantemente il quintetto piemontese.
E.B. - 60/100
Sadist
La terza e conclusiva giornata dell’Evolution Festival e non si poteva chiudere in maniera migliore, che con la performance stellare di una band risorta per portare avanti il suo incredibile talento: i Sadist. Dopo sei anni di silenzio una delle più importanti ed innovative formazioni di prog-death della scena mondiale ritorna on stage, per farci riassaporare i capolavori di Above The Light e Tribe, ai quali seguirà un nuovo album (probabilmente entro la fine dell’anno) che riprenderà la strada tracciata dai due storici platter. Happiness And Sorrow, Escogido, The Reign Of Ashmat danno il via ad un concerto che, nonostante i problemi di suoni alle tastiere di Tommy (causati dallo spostamento in scaletta per un ritardo degli Ensiferium), vedrà proprio il virtuoso chitarrista/tastierista ligure sugli scudi, pronto a sciorinare numeri di alta scuola. La figura imperiosa e la voce incredibilmente duttile di Trevor narrano le atmosfere esoteriche di Escogido e gli incubi di Desert Divinities. Andy ed Alessio, nella strumentale (capolavoro di atmosfera mistica) From Bellatrix To Beetelgeuse e nella danza di guerra di Tribe, si dimostrano una sessione ritmica di virtuosa e solidissima. Il finale è un presagio inquietante ma anche una dichiarazione d’intenti: Sometimes They Come Back, ispirato all’omonimo racconto di Stephen King. Loro sono tornati…per continuare ciò che è stato iniziato e miglior modo non poteva esserci. Straordinari.
A.E. - 80/100
Ensiferum
Giunti in ritardo a causa del traffico, gli Ensiferum hanno pochissimo tempo a loro disposizione, troppo poco. Dopo uno dei soundcheck più veloci del festival i vichinghi finlandesi partono a tutta con un’acclamata Hero In A Dream. Tastiere praticamente assenti e cori abbastanza imprecisi non impediscono al pubblico di scatenarsi ed alla band stessa di divertirsi sul palco. I ritmi spesso cadenzati di Tale Of Revenge non sono il massimo per un’esibizione di soli cinque brani, ma basta la carica di un Petri in grande spolvero per spazzare via ogni dubbio. La nuova Dragonheads ed un’esplosiva Windrider anticipano Iron, pezzo conclusivo e semplicemente devastante. Uno show intenso, ma troppo frettoloso a causa di vari fattori esterni alla band finnica, la quale invece ha fatto di tutto per non tradire le attese.
J.P. - 65/100
Finntroll
Dopo la sufficiente ma non esaltante esibizione degli Ensiferum, la maggior parte del pubblico è rimasto sotto il palco, mentre nuovi curiosi si assiepavano per seguire uno dei gruppi più attesi della giornata, nonostante la bassa posizione nella bill: i finlandesi Finntroll, alla prima apparizione italiana con il nuovo singer Vreth, che in qualità di nuovo entrato era il principale motivo d’interesse per i fans fra il pubblico. Il magrissimo e giovanissimo vocalist (che sostituisce un Wilska ben più “formoso”) non ha tradito le aspettative, grazie ad una buona performance; in generale si è trattato di un buonissimo spettacolo, il cui punto di forza e, contemporaneamente, di debolezza, è stata la poca importanza sonora delle tastiere (esattamente come era successo poco prima agli Ensiferum), suonate da un anonimo session-man: questo ha penalizzato un po’ le parti prettamente folk, ma ha dato un taglio più aggressivo e ‘carico’ ai pezzi del gruppo, efficaci in questa veste più spoglia ma comunque energetica.
Nel repertorio Folk Metal del gruppo, ampio spazio è stato dato all’ultimo disco Nattfödd, i cui brani hanno riscosso un successo clamoroso: se, come prevedibile, l’apice dello show si è raggiunto con la live-oriented Trollhammaren, ad aver riscaldato il pubblico sono state anche la scarica d’energia della breve Ursvamp (subito prima della chiusura con la folkeggiante Det Iskalla Trollblodet) e, inaspettatamente, anche un brano più oscuro e cadenzato come la title-track Nattfödd, sostenuta con grandi cori dai Troll-fans (per la cronaca, Vreth era a suo agio anche sulle parti recitate a metà brano); a completare il quadro degli estratti da questo disco, l’esaltante Människopesten e la grandiosa Fiskarens Fiende, che ha reso molto bene (il ritornello non ha fatto prigionieri) nonostante la poca partecipazione del tastierista.
Disseminate lungo il concerto, anche tre chicche per i fanatici (tra cui il sottoscritto) del secondo disco del gruppo, Jaktens Tid, da cui il gruppo ha eseguito una versione emozionante della titletrack e una devastante Slaget Vid Blodsälv - inoltre presente anche Krigsmjöd, più pesante e lenta, che ha molto ben impressionato.
Elevando di parecchio il livello qualitativo rispetto ai connazionali che li han preceduti, i sei Troll finlandesi hanno offerto un ottimo spettacolo, azzeccando (non so quanto volontariamente) la decisione di dare più importanza alle chitarre che non alla tastiera; inoltre, positivo l’esordio del nuovo cantante, forse solo leggermente statico, ma comunque adatto al ruolo. Rock’n’Troll.
G.N. - 70/100
The Gathering
Sotto la cappa di calore di Toscolano Maderno ormai sempre più pesante, i The Gathering fanno il loro ingresso sul palco fra pochi fan entusiasti, t-shirt casual e jeans in contrasto con il 90% degli spettatori, a testimoniare che non sono una band metal, non lo sono più da molto tempo. Sono pochi ad attenderli principalmente perché l'abbandono di sonorità Metal (anche se pur sempre un Metal più lento e atmosferico) da quasi dieci anni li ha allontanati dalla scena al punto da diventare abbastanza estranei allo scenario di un festival Metal. Ma andrebbe detto anche che sono stati piazzati nel pomeriggio afoso, con poco tempo a disposizione, quasi ad essere una semplice band che timbra il cartellino e via. Subito partono uno dopo l'altro i primi due brani dell'album nuovo, Home, e cioè Shortest Day e In Between, puliti e ben suonati, con la folla che apprezza il repertorio del nuovo album. Molti temevano lanci di bottiglie come accadde già in passato a bands come gli Anathema, ma per fortuna non accade nulla di tutto ciò: i fans si lasciano trasportare dalla voce di Anneke, limpida, espressiva e lucidissima, un'Anneke che continua a sorridere davanti a loro e a cercare di animare la giornata nonostante il caldo si faccia sempre più opprimente. Ma essendo l'Evolution un festival Metal, i The Gathering, sapendolo, passano a proporre i brani vecchi, capisaldi come la cantatissima Strange Machines o la sorpresa On Most Surfaces. Soltanto brani vecchi, che delude molti fan che si aspettavano brani anche dagli ultimi album, ad eccezion di How to Measure a Planet? che viene rappresentato con brani come l'applaudita Liberty Bell, ma la loro scelta è comprensibile. Anzi, in canzoni come Eléanor o In Motion # 1 gli animi si accendono pur se i brani vengono eseguiti frettolosamente data la scarsità di tempo, e Anneke riesce a instaurare ugualmente una sorta di magia con il pubblico, e nei momenti di doppia-cassa gli spettatori sotto al palco si entusiasmano divertiti, purtroppo limitatamente dato il caldo (e dato che brani del genere renderebbero molto meglio di notte o in serata per le loro atmosfere). Nei brani più vecchi si intravedono solo un paio solo o poco più di corna alzate, a conferma ulteriore della tesi proposta in precedenza, e cioè che sono estranei ad un festival Metal. Questo insieme alla scarsità di tempo concesso a loro e al caldo eccessivo condiziona fortemente la loro prestazione, non una delle migliori della giornata e fortemente deludente per il pubblico nei dintorni che non aveva in loro uno dei motivi di principale interesse. Difatti per molti spettatori i The Gathering sono risultati spenti e non all'altezza di molti altri loro show. Ma per quei pochi fan accorsi sotto al palco per assistere al concerto, non è andato tutto tanto male, i suoni sono stati lo stesso puliti, le esecuzioni precise e Anneke è come sempre una cantante eccezionale e anche modesta col suo sorridere, il suo abbigliamento e il suo avvicinarsi continuamente ai fan piuttosto che rimanere sul palco con attitudine distaccata. Forse bisognerebbe organizzare i loro concerti con un approccio differente.
A.M. - 68/100
Armored Saint
Armored Saint: purtroppo un nome che a molti non dice nulla. Già questo mostra le gravi lacune che molti metal kid hanno nel loro bagaglio culturale musicale. Per fortuna Bush, Vera & Company (proprio il singer degli Anthrax ed il bassista dei Fates Warning) in questa giornata finale dell’Evolution, si presentano sul palco pronti a colmare questi buchi culturali…ma, soprattutto e dar fuoco alle polveri. Sfoderando grinta, perizia tecnica e talento, il quintetto di Power americano si produce in uno spettacolo elettrizzante, carico di adrenalina come purtroppo se ne vedono pochi al giorno d’oggi. I brani vengono tratti dal periodo aureo della band a stelle e strisce, cioè quello degli album come The March Of The Saint, Symbol Of Salvation, Raising Fear e Delirious Nomad, con un John Bush che si dimostra uno dei migliori screamer e front man in circolazione, capace di guidare il pubblico in assalti selvaggi di slam dancing ed headbanging e di fendere l’aria con veri e propri dardi vocali, abrasivi e micidiali. Un set di circa un’ora ad alta intensità emotiva e qualità musicale. Poco altro da dire: di fronte a tali ‘fenomeni’ si riscoprono le radici della potenza dell’arte metal. Tra i migliori di tutta la manifestazione…un delitto non procurarsi i loro cd.
A.E. - 75/100
Atheist
L’Evento. Tredici anni dopo lo scioglimento, il gruppo floridiano si è riunito per alcune date in giro per i maggiori festival europei; sono stati il principale motivo dell'arrivo a Toscolano per molti fra coloro i quali si stringevano contro le ringhiere scandendo a gran voce il nome il nome della storica band, e salutando con ovazioni imponenti l’arrivo sul palco del funambolico e carismatico bassista Tony Choy (rasato, abbronzato e con maglietta dell’Italia), del fenomenale drummer Steve Flynn (con canottiera, berretto e pantaloncini bianchi; non particolarmente elegante diciamo...) e dell’istrionico singer Kelly Shaefer (per lui capelli ossigenati, bandana e occhialoni da sole: roba che neanche l’Axl Rose dei tempi migliori...). A concludere la line-up c’erano i due chitarristi degli Gnostic (l’attuale progetto di Steve Flynn), ovvero Sonny Carson, cui spettavano le parti di chitarra di Shaefer (dedicatosi alla sola voce), e Chris Baker, rimpiazzo dello storico guitarist della band, Rand Burkey, impossibilitato da problemi legali a partecipare al tour; buona la prestazione alle 6 corde dei due, decisamente molto bravi nelle loro parti anche se immobili come fossili sul palco.
Davanti a un pubblico entusiasta ed elettrizzato (e mentre diversi membri delle altre band del festival, tra cui Schmier dei Destruction, si radunavano ai lati del palco), il concerto inizia nel migliore dei modi, con uno Shaefer ispirato e molto carico, e una sezione ritmica impressionante: Choy è in gran forma e molto a suo agio nel coinvolgere un pubblico prettamente Metal nonostante abbia suonato tutt’altro negli ultimi dieci anni.
Al terzo brano, il fattaccio e la principale macchia nell’organizzazione dell’Evolution, altrimenti impeccabile. E’ una versione assolutamente intensa del classico Unholy War, e mentre il pubblico inizia a credere che sia tutto vero quello che vede e sente, l’incantesimo si spezza improvvisamente: un’asse del palco scivola, o si sposta, sotto i piedi di Tony Choy, che si ritrova incastrato sotto al palco con un basso inutilizzabile e un probabile infortunio. Il pubblico, incredulo, si innervosisce e i membri della band cercano di divagare, mentre Choy viene estratto e portato nel backstage: Flynn ci delizia con un assolo improvvisato, Shaefer tenta un impacciato discorso prima di precipitarsi a controllare le condizioni dell’amico dietro al palco.
Poco dopo, Choy riemerge scherzoso e sorridente, con un basso a quattro corde (successivamente gliene porteranno un altro a cinque), esaltando un pubblico timoroso di perdersi la performance degli Atheist. Tony, nonostante diverse smorfie e un paio di pause per mettere acqua fredda sulla mano destra (vistosa la fasciatura nel post-concerto), torna più in forma di prima, e guida il quintetto durante tutto il concerto: un suo assolo, accompagnato da Flynn, riscuote l’ammirazione dei fans che lo osannano a gran voce.
Uno dopo l’altro, i classici della band emozionano il pubblico, e in ordine sparso ricordo, fra le altre, una clamorosa Mother Man richiesta a gran voce e puntualmente eseguita, una An Incarnation’s Dream con un Flynn superlativo, una Mineral che ha lasciato tutti senza fiato, una I Deny dedicata al bassista scomparso Roger Patterson, e la conclusiva Piece of Time, epitaffio ad un concerto che gli amanti di queste leggende del Technical Death porteranno per sempre nei loro cuori.
Pochi problemi, tra cui il volume delle chitarre soliste non sempre ben calibrato e un poco sporco, e uno Shaefer leggermente impreciso in alcuni (pochi) passaggi, non inficiano il giudizio sullo show offerto da questi mostri sacri del Metal. Che brividi.
G.N. - 85/100
Amon Amarth
Uno degli show più attesi dell’Evolution Festival è sicuramente quello degli Amon Amarth, i quali si presentano sul palco dopo la consueta, magnifica, introduzione. A aprire le danze The Pursuit Of Vikings, estratta da Fate Of Norns, così come la titletrack e Ancient Sign Of Coming Storm, tutti pezzi dai ritmi epici. Il pubblico sembra gradire ugualmente le sonorità cadenzate dell’ultimo album, ma bisogna ammettere che qualche canzone più tirata non avrebbe certo fatto male a nessuno. Scelta azzeccata invece per quanto riguarda la splendida Thousand Years Of Oppression, uno dei brani più emozionanti mai scritti dagli Amon Amarth e che dal vivo pare ancora meglio rispetto alla versione in studio. Esplode la violenza sonora con Releasing Surtur's Fire, suonata egregiamente dai cinque svedesi. Che Hegg fosse un buon cantante lo sapeva già chiunque, ma nessuno si aspettava una tale performance dal feroce berserker di Tumba, esemplare sia nelle parti cantate che dal punto di vista scenico. Tra brindisi e battute con il pubblico si arriva poi all’interminabile Victorious March, accolta dal pubblico in modo veramente focoso. Fortunatamente i suoni risultano pressoché perfetti durante tutto l’arco dell’esibizione, conferendo al sound del gruppo persino una maggiore potenza. Salutando i presenti con Death In Fire, gli Amon Amarth terminano così, alla grande, una delle loro rare tappe nella penisola italica, lasciando senza minima ombra di dubbio una buonissima impressione di sé.
J.P. - 80/100
Moonspell
L’arrivo dei Moonspell sul palco si fa attendere qualche minuto, mentre i tecnici montano la scenografia rossa che farà da sfondo per tutto il concerto. L’ingresso della band è seguito da un boato, provocato da tutti i fan accorsi sotto il palco per gustarsi la prestazione del gruppo portoghese. Da subito si evince la natura gotica e teatrale dei Moonspell e del suo leader, Fernando Ribeiro, giusto sul palco con un lungo abito rosso e nero. L’inizio è dei migliori: si parte subito con In Memoriam, seguita dalla bellissima Finisterra. Il pubblico comincia a scaldarsi e si continua con una canzone divenuta ormai un classico della band, ovvero Memento Mori, che ha riscosso grande successo nel pubblico presente. Lo show prosegue toccando molte release della band, andando a raggiungere l’apice con la mastodontica Opium. E’ proprio con questa canzone che l’atmosfera gotica e deprimente propria dei Moonspell avvolge tutto il campo sportivo di Toscolano Maderno.
In quasi tutte le traccie la sezione ritmica è sempre precisa e attenta in tutti i passaggi, e i suoni di tutto il concerto sono buoni. Proprio per questo non c’è uno strumento che supera gli altri come volume o come impatto, andando a creare un sound corposo e compatto. Si passa a tracce strumentali come Proliferation a pezzi più diretti e famosi come Sanguine, entrambi tratti dall’ultimo album Memorial.
La chiusura dello show è affidata a una vera e propria carrellata di classici, come Nocturna, acclamatissima dal pubblico e Vampiria, altro inno immortale della band. In parole povere i Moonspell hanno confezionato un buonissimo concerto, senza momenti bui o noiosi.
P.C. - 75/100
Death Angel
Cosa c’era negli anni ’80 che rendeva ogni musicista metal così ‘speciale’, unico, diverso?
Lo spirito, la cultura musicale, la scena, il periodo? Chi vi scrive non sa dare la risposta perché in quegli anni non aveva ancora iniziato ad ascoltare metal (se non verso il 1990), ma di sicuro qualcosa di magico c’era e c’è tuttora. I Death Angel, gruppo storico della Thrash Metal Bay Area, con la loro prestazione da quasi co-headliner dei Saxon, hanno letteralmente sbaragliato ogni concorrenza, conquistandosi lo scettro di una delle migliori bands dell’Evolution. Più di un’ora di furente, virtuoso ed inarrestabile techno-thash, con il quintetto filippino-americano guidato da uno dei migliori singer thrash (e non solo) mai apparsi sulla scena, l’istrionico Mark Osegueda, vero concentrato di entusiasmo e fuoco sacro. Assieme alla chitarra di Cavestany, Osegueda è uno dei motori dei Death Angel, che scaricano su di un pubblico scatenato, pezzi come Evil Priest, Welcome To The Third Floor e Kill As One, senza tralasciare l’incipit da infarto di The Ultra-Violence. Tecnicamente superbi, carismaticamente travolgenti, i cinque americani mettono k.o. il pubblico con pezzi tratti dai primi tre storici dischi (The Ultra-Violence, Frolic Through The Park e Act III) ed anche dall’ultima produzione The Art Of Dying. Non c’è tregua, non ci si può fermare: si corre per battere il diavolo e lo si fa senza una sbavatura, urlando di gioia ed energia. In assoluto i migliori, alla faccia di tante band nuove, alla moda e ‘cool’ che appaiono, di fianco a loro, solo patetiche e ridicole. Ancora una volta…Thrash ‘Till Death.
A.E. - 90/100
Saxon
Dopo i Death Angel, penultima band di questo terzo e ultimo giorno dell’Evolution Festival, è il turno del vero e proprio headliner della giornata, ovvero gli inglesi Saxon. Il loro concerto inizia alle 23:30, dopo mezz’ora di attesa passata a guardare i tecnici che montano il palco per preparare l’arrivo di Biff e soci. L’ingresso dei Saxon è trionfale, infatti il quintetto Heavy Metal viene acclamato a gran voce dalla folla, sorridente nel vedere come dei cinquantenni riescano a salire sul palco con un energia pari a quella di vent’anni prima.
Il concerto della band, tuttavia appare penalizzato pesantemente da dei suoni non all’altezza, soprattutto per quanto riguarda la chitarra di Scarratt, più di una volta troppo bassa rispetto alle altre, oppure totalmente assente. Risolti questi problemi lo show continua, con la band che rispolvera grandi classici come Motorcycle Man o la bellissima Heavy Metal Thunder. Biff parla spesso e volentieri col pubblico, congratulandosi con l’Italia per la vittoria ai recenti mondiali (come il 90% delle band del festival) e lasciandosi andare ad alcune battute che strappano non pochi sorrisi. Si alternano classici più recenti come Lionheart e più datati come Crusader, tutti eseguiti discretamente, forse ancora una volta penalizzati da suoni non dei migliori, ma che comunque riescono a prendere i fan accorsi da tutta Italia e molti gruppetti di curiosi. La canzone migliore eseguita dal quintetto inglese però rimane The Eagle Has Landed, anche grazie a degli effetti riuscitissimi (un'aquila che cala sul palco). In definitiva lo show dei Saxon è stato discreto, sicuramente non storico, ma comunque godibilissimo. Per essere dei cinquantenni non è male.
P.C. - 70/100
Foto: Edoardo "Opeth" Baldini", Paolo "Odal" Cazzola