Rockline.it ha il piacere e l’onore di assistere all’esibizione di una vera e propria leggenda del Folk irlandese: i Dubliners, che chiudono il loro ben quarantacinquesimo anno di carriera con due date al Vicar Street di Dublino, durante le quali ripropongono parte del loro repertorio di canzoni tradizionali.
Innanzi tutto, è d’obbligo ringraziare il manager della band e l’organizzazione del concerto, che tenendo fede alla tradizionale cortesia irlandese (in realtà meno frequente di quanto si pensi a Dublino) ha collaborato con Rockline con una cortesia e una disponibilità davvero difficile da trovare nell’ambiente musicale.
Il Vicar Street è una location è molto particolare e indicativa dello spirito della band: un teatro piuttosto raccolto, con tavolini nella platea e una piccola ma molto ben studiata galleria; coronano il tutto tre bar dai prezzi accettabili, al quale ogni partecipante, tenendo fede allo spirito alcolico irlandese che, credeteci, non è affatto uno stereotipo, passerà almeno una volta durante la serata. Il pubblico, decisamente variegato, è anch’esso degno d’interesse e curiosità: da una sostanziosa componente di vecchi Irlandesi, famigliole e gente decisamente perbene si passa infatti a ragazzi esaltati, ubriaconi e turisti provenienti da ogni parte d’Europa (e non solo); l’atmosfera, nonostante il grande quantitativo di alcool, rimane comunque sempre molto composta, completamente diversa da ciò che è un concerto Folk nel nostro paese, quasi ci fosse una sorta di rispetto sacrale nei confronti del complesso dublinese.
Con nostra grande sorpresa, infatti, i Dubliners, dopo essere entrati alla spicciolata dall’ingresso principale insieme agli spettatori, si concedono addirittura una sosta al bar a chiacchierare, e dopo un’oretta salgono sul palco accolti con gran clamore dal teatro completamente pieno; della formazione originale del ’62, dopo l’abbandono di Ronnie Drew e la tragica scomparsa di Luke Kelly, rimane in realtà solamente il banjista Barney McKenna, affiancato da membri di lunga data come il violinista e flautista John Sheahan, il cantante Sean Cannon e il chitarrista Eamonn Campbell, e dalla new entry Patsy Watchorn (voce e banjo).
Si parte subito con una veloce e frizzante strumentale accompagnata dal bodhran, il tradizionale tamburo irlandese, per poi continuare con la classicissima Sporting Paddy, seguita a ruota da Banks Of The Roses e All Me For The Grog...e non c’è niente da dire, si può solo ammirare questi cinque musicisti, che a più di settant’anni riescono a trasmettere tutte le emozioni e la passione del suonare la musica tradizionale del proprio paese, anche a chi non conosce a memoria tutti i testi; nonostante alcuni momenti morti, i grandi classici del complesso vengono riproposti quasi tutti, dalle drinking songs alle canzoni d’amore, da Black Velvet Band a Rocky Road To Dublin, passando per la stupenda e coinvolgente Anne Liffey, per concludere la prima ora di musica con la commovente Auld Triangle, cantata a cinque voci.
Il tempo di una pinta di Guinness e si ricomincia, con un’altra quindicina di brani che comprendono, oltre alle cadenzate canzoni tradizionali improntate sull’uso della voce, come Paddy On The Railway o la malinconica Rare Auld Times, pezzi strumentali che, se da un lato si rivelano un poco prolissi, dall’altro danno modo di apprezzare l’esperienza maturata da questi grandi musicisti nell’arco di una carriera, in particolare nei velocissimi arpeggi di banjo di MacKenna, nelle commoventi melodie di violino e di tin whistle, il caratteristico flauto irlandese, e negli scatenati accordi di Eamonn Campbell.
I Dubliners riservano per la conclusione i loro cavalli di battaglia, quelle canzoni che ogni presente dovrebbe conoscere: si parte con la stupenda Dirty Old Town, scritta dal poeta irlandese Brendan Behan, per proseguire con Wild Rover, Whiskey In The Jar (resa celebre dalla versione in split con i Pogues) e chiudere con la canzone dublinese più popolare in assoluto: Molly Malone.
Che dire dunque: nonostante il prezzo esorbitante della serata (neanche troppo esagerato se comparato all’altissimo costo della vita nella capitale irlandese), vedere i Dubliners on stage nella loro città è un’esperienza culturale che vale la pena fare, e che ci sentiamo di consigliare ad ogni appassionato della musica e della cultura irlandese: una dimostrazione di dove può arrivare la vera passione per la musica, e un intenso tuffo nelle forti e commoventi tradizioni di una città che ormai, beffando il nazionalismo tanto caro alla vecchia Irlanda, sembra aver venduto la sua anima e la sua storia ai turisti che la affollano.
Lorenzo “Glordindel89” Iotti e Niccolò “Iora” Ioriatti