As I Lay Dying + Darkest Hour
15 09 2007 - Backstage - Monaco

Dopo la pubblicazione del discusso An Ocean Between Us, i quotati As I Lay Dying decidono di imbarcarsi in un nuovo tour europeo, accompagnati da alcuni fra i migliori gruppi del panorama Metalcore mondiale. Stiamo parlando di Darkest Hour e Himsa, a cui si aggiungono, nelle date “continentali”, i fenomenali Maroon. Un bill senza precedenti, per una serie di concerti che si preannuncia imperdibile.


Quando quattro fra le più interessanti realtà di tutto il mondo si uniscono in un'unica tournee è impossibile resistere alla tentazione di accorrere ad una delle date in programma. Purtroppo per gli appassionati di casa nostra, l’Italia non rientra nella lista dei paesi percorsi dal tour. I motivi? Sconosciuti, almeno ufficialmente. Se però osserviamo che le date in Germania sono ben sei, compresa una nella relativamente piccola Münster (duecentosettantamila abitanti), viene da chiedersi perché gli organizzatori non abbiano deciso di transitare attraverso Milano ad esempio. Il fatto è che in Germania raramente si verificano problemi tecnici, logistici o strutturali. Qui in Italia, al contrario, siamo alle prese quotidianamente con simili pecche organizzative, ritardi di ogni genere, cancellazioni dell’ultimo minuto. Tenendo a mente questi aspetti, risulta chiaro il perché della decisione di non offrire al pubblico italiano alcun concerto dal vivo. In un tour così corposo non c’è spazio per gli errori, anche se minimi.

Le date di Monaco e Zurigo sono, di conseguenza, la meta più ovvia per i fan italiani che scelgono di investire tempo e denaro pur di seguire i propri beniamini anche all’estero. Lo show a cui presenzierà il sottoscritto è, chiaramente, quello di Monaco di Baviera, concerto sicuramente fortunato dal punto di vista delle vendite, a tal punto da mettere in rischio la mia stessa partenza a causa di un più volte annunciato e poi smentito sold out. Trattandosi di un’organizzazione diversa rispetto al concerto degli Earth Crisis a giugno e quindi di un rivenditore autorizzato differente (in Germania, al contrario del nostro sfortunato paese, esiste la concorrenza fra società), non riesco ad acquistare i biglietti in prevendita, a causa di un prezzo spropositato per le spese di spedizione. Mandare i ticket in Italia o in Uganda ha lo stesso costo: trentacinque euro. Decisamente troppo. Fortunatamente, grazie ad un caro amico residente a Monaco, riesco ad avere i biglietti in anticipo e parto alla volta della Germania.

Il concerto, dapprima organizzato nella solita Halle, è stato poi spostato nel più grande Werk, motivo per cui riescono ad entrare anche molti ragazzi privi di biglietto comprato in prevendita. Addirittura in anticipo rispetto agli orari prestabiliti (è mai accaduto in Italia?), lo show prende il via con l’esibizione dei padroni di casa Maroon. La band capitanata dall’estroverso singer Andre Moraweck (singolare il suo taglio di capelli in pieno stile Hitlerjugend) sale sul palco consapevole di poter contare sull’appoggio del pubblico germanico. Purtroppo i suoni impiegano qualche minuto prima di raggiungere livelli discreti ed i primi brani proposti (Endorsed By Hate, Annular Eclipse, The World’s Havoc) ne risentono inevitabilmente. La batteria copre infatti le due chitarre, ponendole di fatto in secondo piano. La performance non ha una lunga durata (mezz’ora circa) e non consente perciò al gruppo teutonico di mettere in mostra tutto il proprio potenziale. Ciò non toglie che Andre offra una buona prova dietro al microfono, rinunciando tuttavia alle clean vocal. Prima di terminare l’esibizione con la devastante Wake Up In Hell, il combo di Nordhausen pesca ed esegue un estratto dal nuovo ed imminente studio album The Cold Heart Of The Sun: The Iron Council. Curiosamente, nonostante manchi oltre un mese alla data di pubblicazione del disco, gran parte del pubblico conosce già alla perfezione il brano, accompagnando addirittura Andre durante il coinvolgente refrain. Merito della rete, su cui già da qualche tempo è reperibile il disco. Staremo a vedere se le vendite ne risentiranno, per ora ci limitiamo a salutare i Maroon sperando di rivederli presto all’opera, magari in Italia per una volta.

Dopo un rapidissimo cambio di palco è il turno degli Himsa, band forse non così seguita nel nostro paese, ma ugualmente valida sia su disco (ottimo il recente Summon In Thunder) che dal vivo. Il principale artefice del successo legato agli Himsa è senza dubbio il leader nonché singer John Pettibone, artista molto attivo in campo musicale (tante le sue partecipazioni in U.S.A. e Canada). John appare fin da subito il più carico fra i cinque musicisti, tanto da catturare pure l’attenzione di chi non conosceva o riteneva poco interessanti gli Himsa. Musicalmente parlando, il sound del gruppo risulta piuttosto differente rispetto a quanto ascoltato su disco: si percepiscono maggiori influenze Hardcore ed una discreta dose di melodia, a discapito delle ritmiche infuocate ed i riff spaccaossa di Summon In Thunder. Persino chi non ha mai apprezzato il Metalcore più aggressivo si dimostra benevolo nei confronti del gruppo statunitense, trascinato fino all’ultimo pezzo da uno scatenato John. Rivederli sul palco non sarebbe affatto male, specialmente se il tempo a loro disposizione fosse maggiore.

Dopo due gradevolissimi show di riscaldamento è ora venuto il momento di fare sul serio: i Darkest Hour montano la propria strumentazione ed in pochi minuti partono all’attacco. Risulta evidente l’abissale divario tecnico che separa le due precedenti band dai Darkest Hour, capaci, grazie anche ad un’enorme esperienza accumulata negli anni, di proporre una performance al limite dell’umano. I suoni si rivelano quasi perfetti ed i due axemen, Mike Schleibaum e Kris Norris, non sbagliano un colpo, alternando riff assassini ad assoli fenomenali. Il frontman John Henry, da parte sua, corre da un lato all’altro del palco in modo assolutamente schizofrenico (che abbia bevuto o fumato prima dello show?), incitando il pubblico assiepato dietro le transenne a scatenarsi. Tecnicamente mostruoso è invece Ryan Parrish, batterista del gruppo dal 1999, presentatosi sul palco in mutande ed occhiali, ma abilissimo ad imprimere il giusto ritmo all’esibizione. Ad esclusione della finale The Sadist Nation, i brani eseguiti dal vivo provengono unicamente dagli ultimi due lavori del gruppo: Undoing Ruin e Deliver Us. Fra questi vale la pena ricordare Doomsayer (The Beginning Of The End), Demon(s), Stand Up And Receive Your Judgement, Deliver Us e With A Thousand Words To Say But One, Convalescence, Sound The Surrender. Il concerto termina poi fra gli applausi generali, applausi meritatissimi per una fra le migliori realtà della musica Rock internazionale.

L’attesa per gli headliner della serata è quasi finita ed il Werk è veramente stracolmo, ben oltre ogni più rosea aspettativa. Quando Tim Lambesis si presenta sul palco, anticipato dai quattro amici e compagni di formazione, esplode un autentico boato, seguito immediatamente dalla tiratissima Through Struggle, estratta da quello che per molti resta l’episodio più riuscito all’interno della carriera del gruppo americano: Shadows Are Security. Se già con i Darkest Hour eravamo a livelli altissimi, qui siamo di fronte a qualcosa di ineguagliabile (merito anche di suoni semplicemente perfetti). Se molti appassionati sono rimasti delusi dall’ultimo studio album targato As I Lay Dying (non certo il sottoscritto), il combo di San Diego si prende la sua rivincita offrendo al pubblico bavarese uno show privo della benché minima sbavatura. I pezzi di An Ocean Between Us si dimostrano perfettamente all’altezza della situazione, alla faccia di tutti coloro che avevano voltato le spalle al complesso dopo la controversa pubblicazione di fine agosto. Il growling di Tim si rivela assolutamente micidiale, le chitarre della coppia Sgrosso - Hipa ben coordinate e taglienti, la batteria di Jordan Mancino incisiva ed il basso del nuovo arrivo Josh Gilbert costante e pulito. E’ proprio l’ultimo arrivato in casa As I Lay Dying a sorprendere i presenti, grazie ad un cantato pulito degno di singer veri e propri. I cinque statunitensi hanno quindi un’arma in più rispetto alla concorrenza, arma che durante i concerti dal vivo apparirà quanto mai evidente! Di conseguenza, anche i brani più melodici del combo (Forever e The Darkest Nights, tanto per fare due nomi) potranno essere eseguiti dal vivo senza le classiche stonature che affliggono il mondo del Metalcore. Nulla da dire nemmeno sulla presenza scenica dei nordamericani ed in particolar modo quella di Tim, agevolato notevolmente da un’altezza fisica impressionante. Fra gli highlight dell’esibizione vale la pena segnalare un solo di batteria ad opera del precisissimo Jordan, mentre pesa, anche se in minima parte, la mancata esecuzione della splendida Forsaken. Insomma, uno show come non lo si vedeva da tempo in ambito Metalcore, un concerto chiuso, fra il tripudio generale, con il classico Confined.

La soddisfazione che si prova uscendo dal Backstage Werk è davvero enorme, soprattutto se per assistere al concerto si è dovuto affrontare qualche sacrificio in termini di tempo e denaro. Band perfette ed organizzazione impeccabile, binomio che raramente capita di trovare in Italia. In fondo è giusto che gli As I Lay Dying non abbiano fatto tappa nel nostro paese durante il proprio tour; e lo sarà fino a quando, anche in Italia, i concerti Metal verranno organizzati con un minimo di serietà, magari prendendo spunto dalla Germania. Per il momento, chi può scappa all’estero, chi invece non ne ha la possibilità è costretto a perdersi eventi straordinari, come quello di stasera ad esempio.

Setlist As I Lay Dying:
Through Struggle, Forever, Within Destruction, An Ocean Between Us, Meaning In Tragedy, Falling Upon Deaf Ears, Separation, Nothing Left, The Darkest Nights, Distance Is Darkness, Repeating Yesterday, Visions (Drum Solo), The Sound Of Truth, 94 Hours, Confined, Cotton-Eyed Joe (Outro)

Report - Jacopo "Beelzebub" Prada

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