E' anomalo il caso di Brett Anderson, leader della storica band inglese Suede, spesso associata, in modo forzato se si considera il gruppo dal punto di vista prettamente musicale, alla scena britpop che ha travolto l'Inghilterra dei primi anni '90. Ritengo necessario puntualizzare l'improprietà di tale associazione, almeno in riferimento al primo periodo della band, in quanto, come chiunque abbia gettato anche solo un ascolto ai primi due album del gruppo può testimoniare, considero gli Suede eredi di una tradizione musicale britannica di ben altro stampo e che affonda le radici nel glam rock di Bowie e Bolan e nel rock decadente e malinconico di morriseyana memoria, e si avvicinano quindi più ai canoni dell'ondata neo-glam di inizio anni '90 come i primi Manic Street Preachers, , invece che a quelli del beat revival di Pulp, Blur e Oasis.
Tornando ad Anderson, dopo una breve parentesi nel 2004, che lo ha visto tornare a lavorare con lo storico chitarrista degli Suede, Bernard Butler, nel progetto The Tears, il frontman si è dedicato completamente alla carriera solista, lasciandosi indietro gli echi glam e melodrammatici del passato, per scoprire una nuova dimensione, più cantautoriale ed intimista del suo spirito artistico. Nonostante alcuni momenti di notevole rilievo (fra tutti spiccano le due grandi ballate Love is Dead, dall'omonimo esordio solista del 2007 e Back to You, dal secondo album Wilderness del 2008 che vede il Nostro duettare con l'attrice francese Emmanuelle Seigner), i primi due tentativi della carriera solista di Anderson non convincono pienamente e stentano a spiccare nel loro complesso. Per questa ragione, Slow Attack, terzo album di Brett Anderson, pubblicato in sordina nel 2009, grazie alla sua ricca e barrocchesca melodicità, alle sue atmosfere malinconiche e meditative e all'impeccabile produzione di Leo Abrahams, ha lasciato a bocca aperta sia il nutrito stuolo di fan di Anderson che la critica musicale, la quale si era dimostrata poco magnanima nei confronti dei precedenti dischi, e riuscendo addirittura a strappare un eccezionale 7.0/10 dai cinici recensori di Pitchfork Media. Lo stesso Anderson riconosce di aver finalmente trovato un'identità e una direzione come artista solista proprio nello scrivere quest'album, e la performance milanese dello scorso 3 Febbraio 2010 non ha fatto altro che confermare questa affermazione.
Il concerto, che avrebbe dovuto tenersi in un primo momento al Musicdrome e che poi è stato spostato al ben più intimo Tunnel Club, ha consentito ai fan di lunga data dell'artista di ammirare la sua nuova ed inedita maturità artistica ed ai più giovani di fare esperienza della personalità da palcoscenico che tanto ha reso famoso Anderson in passato. La partecipazione da parte del pubblico ha superato ogni aspettativa, non solo da un punto di vista prettamente numerico (sono state registrate circa un centinaio di presenze contro le trenta annunciate sul portale last.fm) ma anche, e soprattutto, da un punto di vista esclusivamente emozionale. Grazie alla spiccata personalità scenica di Anderson e alla sua celebre vocalità, mai in forma tanto smagliante, nessuno dei presenti sembrava essersi accorto che l'anno non era il 1996 e che chi si esibiva è ormai in procinto di compiere 42 anni. Il pubblico ha intonato adorante tutti i brani del nuovo lavoro di Brett, quasi si trattassero di hit ormai assodate, dalla tripletta iniziale dell'album (Hymn, Wheatfields, The Hunted) a gemme del passato come Clowns e Back to You, passando per le commoventi esecuzioni di Ashes of Us, Frozen Roads e Summer, fino al vero e proprio coro che si è innalzato durante l'esecuzione di Love is Dead. E' proprio questa spiccata personalità e l'innata capacità di saper reggere il palcoscenico che hanno sempre permesso ad Anderson, sia durante la carriera con gli Suede, sia da solista, di trascinare anche l'ascoltatore più casuale, cosicché sia impossibile rimanere indifferenti di fronte ad una performance di tale calibro. Ed adesso che alla forma si è unita anche una sostanza di degno rilievo, non possiamo fare altro che attendere con ansia e fiducia i nuovi sviluppi di questa esperienza solista.
Setlist del Concerto:
Hymn, Wheatfields, The Hunted, Ashes of Us, Frozen Roads, Leave Me Sleeping, Summer, Julian's Eyes, The Swans, The Empress, Clowns, Chinese Whispers, A Different Place, To The Winter, Love is Dead, Back to You.
(Encore) Scarecrows and Lilacs, Funeral Mantra
Odile Monod