Voto: 
8.7 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Genere: 
Etichetta: 
Ipecac Recordings
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Luca Mai - sax baritono
- Massimo Pupillo - basso
- Jacopo Battaglia - Batteria 

Guests:
- Mike Patton - voce in Soulympics, Orc
- Buzz Osbourne - chitarra in Chthonian
- Giulio “Ragno” Favero - chitarra, basso, squarewaves
- Alessandro “Pacho” Rossi - percussioni 


Tracklist: 


1. Ostia
2. Chthonian
3. Carbon
4. Beata Viscera
5. Erinys
6. Soulympics
7. Axion
8. Mimosa Hostilis
9. Obsidian
10. Orc 

Zu

Carboniferous

I romani Zu non necessitano di troppe presentazioni: cominciano a suonare nel 1997 come compositori ed esecutori di musica per rappresentazioni teatrali, e da lì in poi si ramifica un percorso ricco di traguardi, che vede tra le principali tappe la registrazione di un album con l’amato/odiato Steve Albini (Igneo), la partecipazione a tour intercontinentali che hanno toccato anche Asia e Africa, e la fratellanza sviluppatasi nel 2006 con la Fantomas-Melvins big band, una grande famiglia con cui hanno girato gli Stati Uniti condividendo palchi ed esperienze. 
All’alba del 2009 gli Zu pubblicano un nuovo disco sotto Ipecac Recordings, etichetta di proprietà di Mike Patton, che molti conosceranno semplicemente come ex-cantante dei Faith No More, ma che negli anni ha dato alla luce una gran varietà di collaborazioni e nuove realtà musicali, arrivando anche a fondare una propria etichetta discografica con Greg Werckman nel 1999.

Carboniferous
è il titolo di questo lavoro, che fin dai primi secondi di Ostia, traccia che apre l’album, riesce a colpire dritto allo stomaco l’ascoltatore con ritmiche granitiche dotate dell’ossessività dell’hardcore più primitivo, creando un surrogato di musica Rave destabilizzante e martellante che non lascia scampo. Sintetizzatori lobotomizzati ronzano insistentemente richiamando le atmosfere di Come To Daddy di Aphex Twin, prima che la musica stessa si disintegri sotto le note stridenti del sax e venga inghiottita in un pozzo di noise magmatico.
Chthonian si presenta con rumori metallici e freddi, elementi che contraddistinguono l’album nella sua interezza, donandogli un fascino oscuro e industriale come se fosse un contenitore di musica composta da macchine. Un maggior spazio alla melodia viene concesso, e sudice e grasse linee di basso si intromettono per disegnare sentieri musicali sinistri e particolarmente teatrali.
Carbon sembra volersi avvicinare maggiormente ai vecchi lavori degli Zu concentrando le proprie energie in un tappeto ritmico nervoso ma compatto, che si aggancia a basso e sax permettendo ben poco spazio di manovra ma abbandonando in parte i suoni artificiali ed inquietanti dei primi brani. Beata Viscera prosegue il medesimo discorso mescolando sezioni lente e sinuose, dalle melodie delicate e quasi ballabili con risvolti rumoristi tipici degli Zu, incorporando improvvisazioni ai limiti del Jazz-Core per poi ritornare alla melodia solo nel finale.
L’Hardcore giunge alla sua forma più molesta e minacciosa con Soulympus, traccia che include la voce di Mike Patton, che come una bestia chiusa in gabbia si scatena isterica attraverso vocoder o presunti tali che la trasformano, la manipolano, aggiungendo angoscia e schizofrenia ad un composto già di per sé selvatico ed instancabile.
Pochi secondi prima che il pezzo si concluda arrivano accenni di melodia sempre dettati dalla voce, assoluta protagonista di questo episodio, che si congeda con modulazioni elastiche e disperate, questa volta senza l’aiuto di filtri elettronici.
La seconda sezione di Axion, Jazz velocizzato da basso e batteria tesi e pronti ad esplodere, si nota soprattutto per il suono romantico e sognante del sax che, dopo la parentesi tutta spigoli e rabbia di Mimosa Hostilis, si allaccia idealmente alla tribale Obsidian, incedere lento e scarno che muta in una tirata sonica dai caratteri epici.
Chiude il discorso la tenebrosa Orc, una tossica sequenza di suoni striscianti e minacciosi che si lasciano alle spalle la brutale carneficina che li ha preceduti decidendo di liquefarsi silenziosamente nel buio.  

Gli Zu, come al solito, non lasciano troppo spazio ai dubbi: la loro musica o la si ama o la si giudica incomprensibile ed irritante. Il noise figlio di John Zorn viene qui celebrato e vestito delle migliori onorificenze, viene distrutto e rimontato, creando un Frankenstein sonoro di rara grandezza e maestosità.
Carboniferous è un album meno “digeribile” dei suoi predecessori, è spigoloso ed incombente, violento e nero come la pece. I tre musicisti romani sono riusciti a creare qualcosa che sicuramente dividerà gli ascoltatori tra chi predilige il più classico Free Jazz e chi invece accoglie a braccia aperte questo nuovo esperimento, che come atmosfere e dinamiche si avvicina molto all’ultimo lavoro dei Morkobot, aggiungendo ulteriore tecnica e stile.
In questo disco si può ritrovare il Post-Metal dei Pelican, il Noise dei Naked City, la torbida classe dei Morphine, suonati con un furore figlio dell’Hardcore e schiacciato dalla pesantezza dei Meshuggah.
Un’iniezione di schizofrenia bipolare direttamente prelevata dai Fantomas fa il resto, realizzando una musica che sembra eruttata da un vulcano, che ribolle e si incendia, che avvolge e scioglie tutto ciò che ha la (s)fortuna di venire in contatto con essa.
In definitiva ci troviamo di fronte ad un lavoro di magistrale ed oggettiva compattezza, di spiazzante potenza sonora, suonato con indiscutibile tecnica: alcuni lo considereranno una mezza delusione a causa dei suoni saturi e distorti, altri un ottimo disco per tutti i motivi già discussi. Noi faccio sicuramente parte dei secondi.     

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