Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Sacred Bones
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Zola Jesus - tutti gli strumenti

Tracklist: 


1. Six Feet (From My Baby)
2. Crowns
3. Sinfonia and the Shrew
4. Sink the Dynasty
5. Devil Take You
6. Lullaby in Tongues
7. Smirenye
8. Clay Bodies
9. In Hiding from the Crow
10. Tell It to the Willow

Zola Jesus

The Spoils

Il secondo album di Zola Jesus (nome d'arte di Nika Roza Danilova) si intitola The Spoils e vede un interessante aggiornamento della sua musica, fattasi più atmosferica e caratterizzata. Se viene mantenuta la matrice di base, con dissonanze industriali e droni noisy (sorta di versione moderna degli umori inquieti della no-wave, filtrata con l'ottica del nuovo millennio) il tutto riprodotto rigorosamente con suoni in lo-fi, la compositrice americana apre la sua musica alle contaminazioni più gotiche e inquiete, elevando al massimo le sue angoscie esistenziali ed il suo disagio, facendo ruotare tutto attorno ad una spiritualità minimale ma profondamente vissuta.
Il risultato suona così molto più ispirato, creativo e a fuoco che nei precedenti lavori, per quanto si mantenga una certa acerbità dovuta all'insicurezza tipicamente adolescenziale (e femminile nella sua insicurezza) di Nika, appena maggiorenne.

La stampa underground anglosassone ha coniato il termine "lo-fi goth" per la sua musica: in certi momenti il disco suona come se i Suicide e gli Swans incontrassero i Joy Division con un pizzico della sepolcralità di Nico e di infiltrazioni dark ambient che strizzano l'occhio ai Lycia e di rimando ai Dead Can Dance, dei quali però manca tutta la dimensione mistica/ancestrale (che in Zola Jesus è sostituita invece da una claustrofobia "sintetica" condotta dalla drum-machine ossessiva e dai riempimenti tastieristici alienanti, per il suo retaggio post-industriale).
Ciò che svetta in ogni caso, comunque, più della qualità dei suoni volutamente bassa, è sempre la forte angoscia che pervade l'album, amplificata più che attenuata dallo scarnificare gli arrangiamenti fino all'essenziale e accompagnata dalla ricerca spirituale di una risposta al mal di vivere dell'autrice.
La musica di Zola Jesus non suona mai solenne, a dominare le atmosfere è la sensazione di un'angoscia claustrofobica che la voce dolente sembra esprimere solo in parte, però fra le sue sofferte litanie si intravede una sorta di conforto, quello dato dalla ricerca spirituale effettuata dalla stessa Zola e che nei momenti più "distesi" passa da linee vocali afflitte ad altre più eteree, rievocando una sorta di dream-pop deviato.

Il disco è inizialmente più legato alle distorsioni claustrofobiche e al noise ossessivo, minimale e alienato, ma le connotazioni più dark aumentano progressivamente, a volte semplicemente scandendo l'atmosfera per renderla più inquietante, altre volte emergendo più nettamente.
L'iniziale Six Feet è condotta dal battito ossessivo e straniante della drum-machine, sulla quale si adagiano riverberi elettronici cacofonici e lontani canti celestiali in lontananza (sostituiti poi da delle strings più oniriche che contribuiscono a creare un effetto dolceamaro).
Crowns è ancora più estremizzata, suona come una meccanica e angosciata tortura dove i riempimenti noise più dissonanti straziano l'ascolto. Tuttavia, la successiva Sinfonia and the Shrew riesce ad essere anche più inquietante riducendo al minimo i droni alienanti e aprendosi a vocalizzi più spettrali che celestiali, in una sorta di ambient spaziale sporcato di cenni noisy.
Le trame ambient sono ancora più accentuate nelle strings dark di Sink the Dynasty, purtroppo non andando al di là di qualche midi banale e dozzinale, e solo l'interpretazione afflitta di Zola Jesus e tutto l'arrangiamento di contorno conferiscono vigore emotivo alla canzone.
Si prosegue meglio con Devil Take You, dove i tappeti di tastiera si fanno più rarefatti e d'accompagnamento, senza cercare una drammaticità forzata, mentre le percussioni sono più dosate e ritmate, lasciando che sia la dolente voce a porsi al centro dell'attenzione.
Lullaby in Tongues è una parentesi atmosferica sulla scia di Sink the Dynasty, ma con tonalità un po' più sacrali.
Il goth di Smireneye fino a questo momento suona praticamente rilassato (e anche melodioso nella tastiera d'accompagnamento) in confronto ai primi pezzi, ma non significa che vengano abbandonate le ritmiche industriali e i vocalizzi funerei.
Clay Bodies è un ambient/noise metallico e dissonante, la breve In Hiding from the Crow è più macabra e spaziale.
Infine abbiamo Tell It to the Willow, intensa summa esistenziale del disco dove i riempimenti dark ambient accompagnano l'ossessività industrial/noise di drum-machine ed effetti elettronici, in un lento crescendo di suoni tenebrosi e atmosfere raggelanti.

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