- Woody Jackson – Bass, Guitar, Drums, Percussion, Mellotron, Waterphone, Tres, Optigan, Omnichord, Casio SK-I, Vibraphone, Fender Rhodes, Kee Bass, Orchestron, Guitarette
- Antonio Gramentieri - Guitar
- Francesco Giampaoli – Mustang Bass
- Christian Ravaglioli – Farfisa, Piano
- John Convertino – Drums
- Davey Chegwidden – Conga’s, Percussion
- Masahiro Tsuzuki – Temple Block
- Todd Simon – Flugel Horn
- Pablo Calogero – Tenor Saxophone
- Gus Seyffert – Upright Bass
- Keefus Green – Piano
- Jade Vincent – Vocals
1. Prisoner of Fate 3:36
2. Macadam Cowboy 10:02
3. Shadowing 3:19
4. Sleep Awake 0:36
5. The Condor 5:46
6. A Right To 0:32
7. Ambrosia 3:37
8. El Moors 0:29
9. Midnight Moon 8:16
10. A Tear in the Air 2:09
Dos Manos
Ha composto musica per films hollywoodiani molto famosi, videogames e jingle pubblicitari ed ha collaborato a dischi di Daniel Johnston, Beck, Money Mark, Friends of Dean Martinez, Green On Red e Badly Drawn Boy: questo in sintesi il curriculum del musicista e compositore californiano Woody Jackson che con Dos Manos dimostra la sua capacità di abbandonare anche gli assolati sentieri del mainstream a favore di piccole produzioni indipendenti come questa soundtrack che esce per la nostrana Interbang Records.
Il disco, prodotto da David Holmes, vede la partecipazione tra gli altri di John Convertino (Calexico) e dei Sacri Cuori, formazione ‘open’ romagnola di nascita ma americana nel cuore che suona con mostri sacri come James Chance, Howe Gelb, Marc Ribot, Hugo Race, Dan Stuart, Robyn Hitchcock e Steve Wynn.
E dai nomi fatti già si immagina il contenuto di questo lavoro che funziona benissimo anche al di fuori della sua dimensione di colonna sonora.
L’apertura è affidata a Prisoner Of Fate, traccia fatta di polvere, cieli bassi e desertica rassegnazione raccontati dalle corde di una elettrica mariachi molto vibrante, forse più ultimi Ronin che Calexico.
Con la traccia successiva, Macadam Cowboy, si abbandona l’Arizona per proiettarsi in uno scenario downtown rubato da qualche disco di Tom Waits: una camminata notturna su umidi marciapiedi, tra percussioni sfuocate e percepite in lontananza, almeno fin quando i fiati non evocano una cupa world music in stile ‘Jon Hassell’ prima di ritornare nei bassifondi con frammenti di freddo jazz davisiano.
Il bel contrabbasso in evidenza ed il flicorno di Shadowing riprendono queste riflessioni jazzy mentre The Condor, scossa ed incendiata da fremiti latini, viene al contempo congelata da sospensioni di tastiere vintage.
Con il tremolo delle chitarre di Ambrosia la latitudine è ancora quella dei Calexico mentre Midnight Moon, unica traccia in cui ci sono vocals, ci introduce in una fumosa ed elegante atmosfera dark-jazz alla Böhren Und Der Club Of Gore.
Si conclude con A Tear In The Air che riassume tutte le caratteristiche dell’album: lento, cinematico, jazzato, westernato, ambientale e - incredibilmente - con tanta Italia dentro, un’Italia underground diversa da quella dei soliti circuiti indipendenti e che preferisce frequentare amici importanti della musica americana.