- David Coverdale - voce
- Doug Aldrich - chitarra
- Reb Beach - chitarra
- Uriah Duffy - basso
- Timothy Drury - tastiere
- Chris Frazier - batteria
1. Best Years
2. Can You Hear The Wind Blow
3. Call On Me
4. All I Want All I Need
5. Good To Be Bad
6. All For Love
7. Summer Rain
8. Lay Down Your Love
9. A Fool In Love
10. Got What You Need
11. ‘Til The End Of Time
Good To Be Bad
Per celebrare il trentesimo anniversario di una carriera costellata da grandi successi, come Live In The Heart Of The City, Saints And Sinners, Slide It In e 1987, qui citati in rigoroso ordine cronologico, i Whitesnake decidono finalmente di rilasciare un nuovo album di inediti, anziché il solito, e spesso superfluo, Best Of. Già, finalmente! Perché l'attesa per la nuova creatura di sua maestà David Coverdale è stata parecchio lunga, accompagnata peraltro da aspettative tutt'altro che rosee, dopo il levarsi di quell'ingombrante ombra di inesorabile declino lentamente allungatasi sulla band inglese già sul finire degli anni '80 con l'uscita di Slip Of The Tongue e protrattasi, tra alti e bassi, continui cambi di line up e album controversi come Restless Heart, fino ai nostri giorni. O almeno fino a prima dell'uscita di questo Good To Be Bad.
Il nuovo album infatti ci riconsegna i migliori Whitesnake d'annata, quelli che fanno dell'eleganza, dell'ispirazione e dell'energia, i presupposti ideali per plasmare un hard rock dalle forti tinte blues, ma al contempo melodico ed emozionante, in un lavoro che sembra quasi, ma non solo, un condensato di quello stile che negli anni ha saputo contrassegnare ed imporre il "marchio di fabbrica" proprio della rock band britannica. Ripartono quindi dal loro stesso passato, dal meglio che questo ha saputo dire su di loro, non perdendo tuttavia di vista quella necessaria dimensione d'attualità, qui data da una produzione piena, corposa ed al passo coi tempi, capace di valorizzare l'ottimo lavoro svolto da una coppia d'asce di assoluto valore, formata da Reb Beach (Alice Cooper, Dokken, Winger) e Doug Aldrich (Dio, Hurricane, Bad Moon Rising). E naturalmente anche la prestazione del quasi 57enne David Coverdale (classe '51) è di quelle che lasciano il segno, forse meno graffiante che in passato ma ben dosata e sempre espressiva.
Si parte con l'energico e sontuoso blues di Best Years, brano introdotto da un breve ed efficace crescendo di chitarre e batteria, che porta presto ad un potente e vigoroso mid-tempo condito da aperture melodiche e refrain di sicuro impatto, per passare poi la palla alla grintosa Can You Hear The Wind Blow, dotata di un tiro micidiale e di un guitar-work roccioso e a dir poco superlativo, al blues più spumeggiante di Call On Me, in cui sono ancora una volta la prova delle chitarre ed il timbro graffiante di un Coverdale in gran forma a strappare i più convinti consensi, e alla title-track, pezzo hard n' blues che riprende le sonorità di fine anni '70 rivestendole con suoni più pieni, corposi e potenti, in una sola parola attuali. Sempre legata alla tradizione propria dell'inconfondibile marchio Whitesnake anche la trascinante All For Love, brano caratterizzato dall'urgenza dei ritmi, dall'incalzare dei riff, dalle chitarre elettrizzanti e dalle accattivanti melodie ben rese dalla graffiante interpretazione del singer.
A dispensare emozioni e romanticismo ci pensano le note vellutate di All I Want All I Need, ballad elegante e passionale che sembra riprendere la tradizione favorevole di pezzi straordinari come Is This Love, l'acustica Summer Rain, un piccolo gioiello che riporta alla mente alcune cose del Eric Clapton più poetico, melodico e languido, e che velocemente scivola via con le sue atmosfere soavi, suadenti e sognanti, ed il suo refrain dall'alto tasso emozionale, o ancora la closer ‘Til The End Of Time, altro lento, stavolta in chiave bluesy, sempre caldo e seducente, ma anche un po' monocorde e fin troppo uguale per tutta la sua durata.
Leggera flessione a cui non si fa quasi caso, dato che arriva proprio in chiusura, e soprattutto dopo una seconda parte del platter sempre efficace e particolarmente blues-oriented, in cui riecheggiano vagamente le sonorità e lo stile dei Led Zeppelin, come si può ben percepire in Lay Down Your Love, un po' la nuova Still Of The Night ma in salsa zeppeliniana, nella bellissima A Fool In Love, nella più sporca e ruvida Got What You Need, quest'ultima quasi "ac/dc-iana", anche se il tutto qui viene sempre adornato ed impreziosito da ritornelli ed aperture melodiche di gran classe e di sicuro effetto. Si ricordi poi che, nonostante per un periodo sia stato il frontman dei Deep Purple, David ha anche collaborato con Jimmy Page nel progetto Coverdale-Page con cui ha dato alle stampe l'omonimo album del 1993, anche se, a scanso di equivoci, occorre ricordare, ed anzi ribadire, che il blues è stato un elemento da sempre insito nell'istinto e nell'indole di Coverdale.
Good To Be Bad rappresenta quindi una delle sorprese più gradite e in un certo senso inaspettate, almeno in tali termini, di questa prima parte del 2008, trattandosi di un disco che rilancia lo storico moniker dei Whitesnake ai vertici dell'hard rock. Una sorpresa che ha il dolce sapore di un'ulteriore conferma di tutta la classe e dell'immenso fascino propri dei Whitesnake del grande David Coverdale.