- John West - voce, chitarra
- Lonnie Park - tastiera, basso, cori, percussioni
- Jeff Plate - batteria
- Chris Caffery - chitarra
- Kevin Hampton - chitarra
1. Let Us Pray
2. Fade
3. Set Me Free
4. Give Me A Sign
5. Highway Roppongi
6. Over My Head
7. The One That Got Away
8. Falling Down
9. Slipping Away
10. One More Lie
11. Better Believe
12. Puerto Amor
Long Time…No Sing
Il nuovo capitolo solista del talentuoso singer John West (Artension, Royal Hunt, Badlands) si intitola Long Time…No Sing e si avvale dell’ottimo rapporto di amicizia che il musicista ha coltivano con un altro ottimo songwriter, Lonnie Park. I due hanno composto insieme più di metà delle canzoni (qualcosa John l’ha scritto insieme a Chris Caffery dei Savatage, ospite del disco); John ovviamnte si è occupato di cantare tutti i pezzi e di suonarne buona parte delle parti di chitarra, mentre Lonnie si è occupato in particolare delle parti di tastiera e basso.
Il risultato è un discreto album di Rock melodico che rilascia ascoltare e continua agevolmente il discorso iniziato con Earth Maker (concept album sui nativi americani). Il nuovo disco mantiene il mood del disco precedente partendo anche dal punto di vista dell’artwork; la copertina infatti ricorda molto le tonalità autunnali e i tipici colori pellirossa usati per il precedente lavoro.
Al posto dell’indiano però in copertina abbiamo due bambini che suonano un vecchio pianoforte; infatti il nuovo disco è incentrato su sentimenti personali e ricordi del passato di vita vissuta che sfornano autentiche gemme sentimentali come la quasi acustica, strascicata e toccante Highway Roppongi.
La successiva song, l’hard rock Over My Head, riprende le melodie di Earth Maker, con un rock incalzante ma sempre diluito in armonie malinconiche ed evocative. Il lavoro fatto alla chitarra di John è un completamente decisivo che corona le linee vocali sempre trascinanti e coinvolgenti. Un vero pecato che il songwriting non si mantenga di alto livello per tutto il corso dell’album. Pezzi un po’ privi di mordente come Falling Down o The One That Got Away, che presentano la solita linea malinconica ma non ben amalgamata con il gioco di chitarra fin troppo privo di melodia; questi brani finiscono con il risultare episodi noiosi.
Allo stesso modo un pugno di song calibrate sulla stessa confusione melodica pregiudicano in parte il giudizio finale su un album che lascia comunque intravedere autentiche gemme come le due song citate in precedenza.
Niente male come lavoro ma da ascoltare attentamente prima dell’acquisto.