Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Stefano Puccio
Etichetta: 
Esoteric Records
Anno: 
2011
Line-Up: 

Peter Hammill – voce, chitarra, pianoforte
Hugh Banton – tastiere, organo, basso
Guy Evans – batteria

Tracklist: 

1. Your Time Starts Now
2. Mathematics
3. Highly Strung
4. Red Baron
5. Bunsho
6. Snake Oil
7. Splink
8. Embarrassing Kid
9. Medusa
10. Mr. Sands
11. Smoke
12. 5533
13. All Over the Place

Van Der Graaf Generator

A Grounding in Numbers

Avevamo lasciato la leggendaria compagine di Manchester guidata da Peter Hammill, poco più di due anni fa, alle prese con la realizzazione dell'album dall'eloquente titolo Trisector, il secondo dato alle stampe a partire dalla reunion datata 2005, e per forza di cose album della svolta, per i Van der Graaf Generator. Le incomprensioni nate tra il leader e lo storico sassofonista David Jackson avevano infatti portato all'allontanamento di quest'ultimo e di conseguenza, venendo a mancare una delle colonne portanti sin dai tempi di The Least We Can Do Is Wave to Each Other, alla difficile ma obbligata scelta di rimescolare le carte in tavola, in modo da sopperire nella maniera più adeguata possibile all'assenza di quell'elemento da sempre fondamentale per le composizioni degli inglesi, sia per i tipici cambi di guida tra il sax e le tastiere di Hugh Banton che per le progressioni soliste deliranti, sia per il suo ruolo cardine nell'integrità di quel sound oscuro (e unico) all'interno del movimento progressive rock settantiano. Trisector si rivela però un esperimento decisamente pretenzioso e, se vogliamo, anacronistico (più di quanto non lo fosse già il doppio Present, primo album del post reunion che conteneva circa un'ora di improvvisazioni in studio), ma allo stesso tempo si rivela essere una prova con la quale prendere le giuste misure per confrontarsi adesso con un nuovo formato, seppur non rivoluzionario. Così, dopo un cambio di label (dalla Virgin all'Esoteric Records) e con la registrazione affidata a Hugh Padgham (collaboratore tra altri di Yes e Genesis) viene pubblicato nel Marzo del 2011 A Grounding In Numbers.

Immagine VDGGDate le premesse, appare ovvio che un'ulteriore riproposizione delle caratteristiche degli album anni settanta in questo nuovo lavoro sarebbe stata decisamente forzata e non in linea con i tempi; nella stessa misura, però, A Grounding in Numbers non rappresenta né un taglio netto col passato (perchè i richiami ai vecchi lavori del gruppo ci sono, eccome) né tantomeno porta innovazioni che si proiettano sul futuro. Di cosa si tratta quindi? È in sostanza una riorganizzazione delle esperienze passate, comprese quelle del Peter Hammill solista, riproposte in maniera sintetica - e decisamente meno solenne - in una serie di brani talvolta molto diversi tra loro, sia stilisticamente parlando, sia dal punto di vista del "colore", ma accomunati da un approccio quasi spensierato e privo di particolari pretese: le atmosfere tetre e psicodrammatiche delle origini non sono difatti presenti, sostituite invece da momenti che al massimo rasentano la malinconia nostalgica, e in opposizione all'oscurità dei primi lavori si erge in un certo qual modo l'anima "vitale" dei Van der Graaf Generator, ricca appunto di luce e leggerezza, che in alcuni momenti porta alla memoria persino i King Crimson di Discipline. A fare da collante e da linea guida rimane comunque il lavoro svolto alle tastiere da Hugh Banton, attraverso la proposizione del suo stile personale condito da richiami ora agli Yes ora ai primi Procol Harum, cui si aggiunge l'esplorazione di campi relativamente nuovi - come si può notare nell'ultima parte dell'album in cui del progressive rock delle origini vi è ben poco -. inoltre, l'assenza del sax e del flauto, come già detto elementi fondamentali in passato, porta anche Hammill a proporsi adesso come un chitarrista più audace, e non a caso alcuni episodi dell'album si addentrano persino in campi hard rock mettendo in primo piano appunto la chitarra elettrica, la cui assenza era stata complice in passato a rendere il complesso inglese una delle formazioni più a sé stanti del suo tempo; molto varia è la fase ritmica, e non sarebbe potuto essere altrimenti dato l'animo jazzistico con cui Guy Evans riesce ad adattarsi agilmente ai cambi di coordinate tra i vari pezzi. Il risultato è quindi un album che seppur non possieda nulla di "nuovo" a livello di sound, mette in luce un'atteggiamento diverso, quasi come se i tre musicisti si fossero tolti di dosso il velo esistenzialista di un tempo per dar spazio ad un più genuino e sincero modo di suonare.  

In apertura, Your Time Starts Now riporta alla mente addirittura i Soft Machine, per via dei brevi intro e outro evanescenti molto simili a quelli della mastodontica suite Out-Bloody-Rageous, anche se le somiglianze con i padri di Canterbury si esauriscono in questo: è infatti l'organo a creare il tappeto sul quale irrompe e si destreggia per l'intero brano il classico timbro vocale di Hammill, cosa che si può notare anche in Mathematics, quasi una prosecuzione naturale del brano precedente ed anch'esso immerso in un'atmosfera onirica in cui i fraseggi dell'organo si intrecciano al canto ed agli echi corali. Di indole sicuramente più energica, a confermare quanto espresso in precedenza, è Highly Strung, che vede come protagonista una frizzante chitarra elettrica di stampo Rush che duetta con le tastirere, prima dell'irrompere degli esuberanti chorus, memori dei tempi di Nadir's Big Chance; a stemperare tanta vitalità è però subito dopo l'intermezzo ambient di Red Baron che, caratterizzato da modulazioni elettroniche e da uno stile percussivo marziale fa da preludio alla lenta Bunsho. Sono questa volta delle geometrie chitarristiche ad accompagnare il canto, e sono nuovamente gli album solisti di Hammill, ed in particolare quelli del K Group, le influenze primarie del pezzo. Questo, e la successiva Snake Oil  - dove il ruolo di guida torna alle tastiere - rimandano infatti ad alcuni episodi degli ottantiani Enter K e Patience, lavori che possedevano una certa carica new wave. Carica che traspare visibilmente anche in Embarrassing Kid, energico pezzo hard rock-oriented introdotto da Splink con il quale siamo di fronte ad un altro intermezzo strumentale dalla struttura asimmetrica: una languida e sinuosa chitarra si scontra con fraseggi bizzarri di piano, organo e persino clavicembalo.
Medusa, con un arrangiamento genuino e dal sapore medievale, si distingue per un cantato dal piglio fatalista rappresentando un episodio a sé: Mr. Sands difatti mostra una verve più accentuata per mezzo di ritmiche jazzate e un organo vivace; l'impressione è quella di trovarsi di fronte una formazione capace di muoversi a proprio agio su diversi campi e sfoggiare in ogni caso sonorità fresche che, però, lasciano inevitabilmente trasparire una certa autoindulgenza suprattutto laddove a rimediare alla mancanza di idee è la classe dei musicisti. Smoke e 5533 si differenziano ulteriormente dai brani precedenti per delle singolari ritmiche funk e un'attitudine simile a quella dei King Crimson dei primi anni '80. L'episodio conclusivo dal titolo All Over the Place è tra i più curati del platter, grazie agli arrangiamenti orchestrali e al carico di phatos e di lirismo che contraddistingueva la band nei primi anni di carriera.

I Van der Graaf Generator sono tornati con una maggiore umiltà e più consapevoli del ruolo che avrebbero potuto giocare nel panorama musicale odierno. A Grounding in Numbers è un album che non ha alcun ruolo innovativo nella sostanza ma che guarda in faccia alla realtà, e su questa si pone come una gradevole rivisitazione - seppur tale rimanga - delle diverse sfaccettature di una delle più importanti figure della storia del rock progressivo.

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